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"To the Wonder" di Terrence Malick

2 settembre 2011 Recensioni 14 Commenti
To the Wonder

01 Distribution, 4 Luglio 2013 – Tronfio

Dopo aver visitato, all’apice del loro amore, Mont Saint Michel, Marina e Neil arrivano in Oklahoma, dove presto nascono i primi problemi. Marina incontra un prete in lotta per la sua vocazione, mentre Neil ritrova il legame con un’amica d’infanzia…


Ben Affleck e Rachel McAdams in una scena di To the WonderFrom the Wonder to the Wonder. Parte dalla meraviglia di Mont Saint Michel e qui si conclude, questa «esplorazione dell’amore nelle sue svariate forme» che Terrence Malick presenta in concorso al Festival di Venezia 2012. Realizzato poco tempo dopo il giustamente apprezzato e premiato The Tree of Life, ne ricalca da vicino lo stile visivo (peraltro già comune al precedente La sottile linea rossa) ma in questo appare eccessivo e fuori luogo. La ricerca dell’amore – per un uomo nel caso di Marina, per Dio in quello del prete – evidentemente non si presta alla stessa prosopopea con cui si racconta la storia del Mondo, e questo errore di registro si manifesta ancor più marcatamente se a recitare frasi sconnesse ma insistentemente profonde sono attrici mediocri come la Kurylenko o impresentabili come Romina Mondello.

Se i pensieri dei diversi personaggi – in una voce fuori campo utilizzata diversamente dalle altre pellicole malickiane – sono sempre rivolti al loro immediato presente, le immagini riprese benissimo da Emmanuel Lubezki legano tra loro passato e presente, accompagnando lo scorrere del tempo e spiegando da sole le ragioni degli spostamenti in giro per il mondo. In questo il film è perfettamente riuscito, anche se a conti fatti immagini che vorrebbe essere evocative sono in realtà poco altro che cartoline patinate. E’ invece l’intento principale della pellicola che non viene raggiunto, o per lo meno: è il messaggio principale a non raggiungere lo spettatore, perché la linea che divide l’amore di Dio da quello profano avrebbe avuto bisogno di qualche incrocio tra Marina e Padre Quintana in più per essere sufficientemente visibile. O magari sarebbe bastato rendere meno aulico il flusso di coscienza con cui si esprimono i personaggi.

Applausi convinti ma subito zittiti dai fischi, alla proiezione per la stampa più attesa di tutto il Festival.


La locandina di To the WonderTitolo: To the Wonder (Id.)
Regia: Terrence Malick
Sceneggiatura: Terrence Malick
Fotografia: Emmanuel Lubezki
Interpreti: Olga Kurylenko, Ben Affleck, Rachel McAdams, Javier Bardem, Romina Mondello, Tatiana Chiline, Tony O’Gans, Charles Baker, Marshall Bell, Charles Baker, Darryl Cox, Cassidee Vandalia
Nazionalità: USA, 2012
Durata: 1h. 52′


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Attualmente ci sono 14 commenti a questo articolo:

  1. spaceodissey ha detto:

    Citami una sola frase “insistentemente profonda” e stasera ti offro la cena.

  2. Alberto Cassani ha detto:

    Ma come? “Io sono l’esperimento di me stessa”…! Applausi a scena aperta. Comunque hanno detto che c’era materiale per un film di 10 ore, magari si poteva lavorare un po’ di più sulla scelta di cosa lasciar fuori…

  3. Federico ha detto:

    Leggendo questa recensione e la frase “ne ricalca da vicino lo stile visivo” mi viene da chiedere, ma non è che Malick alla fin fine abbia un solo modo di fare film e oltre a quello non sa andare? Va bene avere una poetica e uno stile riconoscibile ma alla fine li fa tutti con lo stampino questi film (almeno per lo stile adottato). Se gli capita la storia che meglio si adattano (vedi The tree of life) gli esce un film magnifico, altrimenti fa solo tanta noia (vedi i film precedenti).
    Incapace a reinventarsi?

  4. Alberto Cassani ha detto:

    In realtà si è già reinventato, perché la costruzione visiva dei suoi ultimi tre film è diversa da quelli che ha fatto in precedenza. C’era anche lì un’attenzione particolare alla natura, ma veniva utilizzata diversamente. E’ che è andato progressivamente diminuendo l’aspetto narrativo delle sue pellicole, e si è innamorato un po’ troppo delle immagini “belle” a scapito della coerenza dell’insieme.

  5. Sebastiano ha detto:

    Malick non mi ha mai convinto, nemmeno con The tree of life, e a quanto pare non ci riuscira’ con questo “atteso” film.
    Federico ha scritto la cosa giusta.
    Una sola osservazione: avere un solo modo di fare film non sarebbe un difetto, se fosse il modo giusto.

  6. Vik ha detto:

    E’ interessante questo concetto del “diminuire l’aspetto narrativo delle sue pellicole”. Non ho visto quest’ultimo film, quindi mi limito a collegare questa mia opinione al resto delle opere di Malick. In tutti, dico in tutti i suoi film, lui ha sviluppato un stile a cui rimane fedele perché rispecchia il suo mondo di fare cinema. E diciamo la verità, il suo cinema non è per tutti, quindi chi non lo ha capito, o chi non ha neanche la voglia di farlo è inutile che diventi ripetitivo a dare sfogo a correnti di critiche che hanno come obiettivo solo di rendere un immagine mediocre dei suoi film, per di più a priori, per un semplice gusto soggettivo. Io non credo che ha diminuito il suo aspetto narrativo, direi più che lo ha trasformato, lo ha reso un flusso di riflessioni e di splendide immagini, ed è cosi che deve essere percepito anche dal pubblico. Non gli interessa dare delle risposte confezionate o dare soluzioni, perché le ambizioni vanno oltre, su argomenti molto complessi, come la fede e Dio, o lo stesso amore.Sono modi di vedere e di pensare, sono domande che si pone lui in prima persona. Sono intimiste, e vengono raccontate attraverso questa visione poetica della natura , della sua bellezza e della sua ferocia. In commento ho letto che le opere prima di Tree of life sono noiose…La sottile linea rossa sarebbe noioso? Uno dei più bei film di guerra che sia mai stato girato? Oppure I giorni del Cielo?? Non ho capito a cosa ti riferisci…Comunque, a me non mi sorprende che lui continua a andare avanti con questo suo stile in questo film a Venezia, e non lo sarò se lo farà anche nei prossimi due che ha in cantiere. Vedremmo a dicembre, e poi, sul singolo film, potremmo dire qualcosa di più.

  7. Sebastiano ha detto:

    Vik, premetto che il tuo commento e’ piu’ che rispettabile e un po’ ti invidio.
    Questo per chiarire subito che non ho intenzione di smentirti o farti cambiare idea, ma chiarisco la mia opinione.
    Parto da un tuo concetto: quando scrivi che il suo cinema non e’ per tutti, metti in evidenza un punto che va a grande sfavore di Malick e di tanti altri come lui.
    Il fatto e’ che chi fa un lavoro perche’ venga visto, letto, ascoltato pubblicamente deve mettere in conto o di farsi capire da tutti o di prendersi tutte le critiche da chi non ci arriva, per quanto si sforzi.
    Non voglio complicare il discorso: Malick mi annoia, a morte, e insisto col dire che, per quanto mi riguarda, e’ tutta colpa sua.

  8. Roberto ha detto:

    Non vedo l’ora che esca, anche se dalla recensione si capisce bene che stavolta Malick ha “toppato”.
    Quando ho letto la trama, nella presentazione al Festival, mi sembrava possibile un ritorno del regista alle ambientazioni on the road de La rabbia giovane dalla poetica provenzale in cui dovrebbe iniziare la pellicola.
    Rivedere girare con la mano del filosofo un percorso di immagini simile per certi versi a quello del film di Sorrentino (This must be the place) sarebbe stata un’ottima occasione, sprecata mi pare, per illustrare un sentimento diverso.

  9. Alberto Cassani ha detto:

    Probabilmente ha ragione Vik nel dire che non è vero che la narrazione si è rarefatta, nel cinema di Malick. Diciamo che è andata rarefacendosi la narrazione “classica”, ha lasciato sempre più spazio alla riflessione e sempre meno al racconto comunemente inteso. Non si può negare che l’intreccio di “La sottile linea rossa” abbia molta più importanza rispetto a quello di quest’ultimo, per quanto in entrambe le pellicole sia evidente che ciò che interessa al regista sia altro. Poi la “Sottile linea rossa” è un film che io ho odiato, come dimostra la mia recensione scritta e riscritta all’epoca, ma aveva un insieme cinematografico a mio parere molto più coerente rispetto a “To the Wonder”. Qualcuno l’ha definito un film minore, ma mi pare proprio un film frutto di troppe indecisioni (e forse compromessi).

    A Roberto dico che non è assolutamente un road movie, alla “Meraviglia” ci sono sono il prologo e l’epilogo, tutto il resto del film (a parte un momento a Parigi) è ambientato nella triste Oklahoma.

  10. Federico ha detto:

    Ora che qualcuno dice che la sottile linea rossa non è noioso siamo alle comiche. E’ una palla colossale. Se vuoi fare filosofia con il cinema va bene, ma ti devi ricordare che il cinema viene al primo posto e quindi trama, personaggi, attrattiva, tutte cose che qui non esistono…altrimenti scriviti un libro e non ci ammorbare per ore e ore.

  11. Vik ha detto:

    Probabilmente abbiamo visto due cose diverse Federico. Che non può piacere un film ci sta tutto,niente deve piacere per forza, ma dire che è una palla colossale credo che sia per me un giudizio incomprensibile, specialmente quando non è accompagnato anche con le conseguenti ragioni che ti portano a dare tale definizione. Di tematiche ce ne sono, e ce ne sono più di una (e per molti sembra che sia questo il problema nei sui film). C’è la battaglia di Guadalcanal (con tutti gli elementi classici di un film che rappresenta la guerra),e se non mi ricordo male, è una sceneggiatura basata su un libro che riprende fonti attendibili per esattezza storica. Ma questo per Malick sembra che sia solo l’incipit, per andare oltre, per visionare ed esplorare nell’inconscio personale di molti soldati sulla brutalità della guerra, sulla loro vita, i loro amori e sopratutto la morte che gli circonda, l’orrore che prevale e che deforma le anime.La natura è sempre presente nelle sue opere, e non solo per un aspetto puramente estetico (che c’è tutto) ma anche per mettere in evidenza quella connessione di cui ho parlato anche prima con l’uomo. Per me The Red Thin Line è il vero capolavoro assoluto di Malick (personalmente gli ho amati tutti, riconoscendo anche i punti meno riusciti). C’è una frase di Kipling che ho trovato nel libretto, e da qui sembra essere tratto il nome del film che dice:Tra la lucidità e la follia cè solo una sottile linea rossa….e personalmente credo che avvolge un po’ tutto il film se proprio lo vogliamo drasticamente sintetizzare.
    Sebastiano, Io non credo che Bergman/Tarkovskij facessero film per tutti (giusto per prendere esempi tra qualche grande autore ), e credo che annoierebbero in moltissimi, e altri non capirebbero, e comunque tutti hanno il diritto di criticarlo, su quali sono le loro aspettative o gusti.Non era questo il punto. Il criticare ripetitivamente con le stesse ragioni, o presunte tali, quando un autore estremamente definito nel suo stile non piace o non suscita interesse, mi sembrano critiche sterili.
    Alberto, lui si sa che passa molto tempo nel montaggio, ed è quasi ossessionato, e credo non per indecisione o confusione. Quanto si parla di “reinventare” la narrazione , o creare un stile del tutto personale basato sul raccontare concetti attraverso le immagini, il montaggio si trasforma come un puzzle dove ogni pezzo deve stare in un determinato posto e deve corrispondere ad un determinato concetto, il prologo di “Tree of life” per chi è stato attento,ne è un esempio. Non vorrei esagerare, è una mia opinione ma può essere anche considerato come un archetipo del genere.

    Vi saluto.

  12. Vik ha detto:

    Ps. mi scuso per essermi allungato, o per possibili errori di ortografia.

  13. Alberto Cassani ha detto:

    Vik, possiamo anche dire che Malick abbia le idee chiare sui film che vuole realizzare, ma mi sembra ovvio che se giri materiale per un film da 10 ore e poi ne presenti uno da un’ora e mezza (come nel caso di questo “To the Wonder”) il risultato è molto diverso da ciò che avevi in mente all’inizio. Le ragioni che possono portarti a certe scelte sono molteplici, e non necessariamente frutto di indecisioni come le si intende comunemente, ma non c’è dubbio che i suoi progetti cambino direzione più volte nel corso della lavorazione (quasi sempre in fase di montaggio, in effetti). Immagino che in realtà il cuore del film resti immutato dall’inizio del processo creativo alla fine, ma evidentemente lui lavorando si rende conto che ci sono modi di esprimere ciò che voleva dire migliori rispetto a quelli che aveva pensato all’inizio. In effetti, ad esempio, metà delle cose che sono raccontate dalla sinossi lunga del press-book (non so scritta da chi e quando) sono totalmente assenti dal film così come l’abbiamo visto. Il fatto è che, probabilmente, lui ordina i pezzi del puzzle in modo che abbiano un senso più chiaro per lui, non necessariamente per quello che dovrebbe essere il suo pubblico. E questo ovviamente indispone molti.

  14. Marco ha detto:

    Personalmente rimane un film fatto di belle immagini, nient’altro.
    D’accordo con le critiche mosse da Albe.

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