Stai leggendo:

"The Girlfriend Experience" di Steven Soderbergh

22 luglio 2009 Recensioni 3 Commenti
The Girlfriend Experience

Inedito in Italia – Pretenzioso

Chelsea è un’accompagnatrice, e nonostante il look da ragazza della porta accanto si propone come compagnia sofisticata. Quando un nuovo cliente le propone un week-end fuori città decide di accettare, mettendo così a rischio la relazione col fidanzato, che dura da un anno e mezzo…


Sasha Grey in una scenaSecondo dei sei film a bassissimo budget previsti dal contratto sperimentale di Steven Soderbergh con la 2929 Productions di Mark Cuban per la distribuzione contemporanea in sala, in home-video e in video-on-demand, The Girlfriend Experience ha poco in comune con il precedente Bubble se non la scarsa commerciabilità. Se il primo era un giallo secco ed essenziale, questo è un film patinato e pretenzioso, che vorrebbe rifarsi a modelli alti per parlare della difficoltà che ci sono al giorno d’oggi nelle relazioni interpersonali ma anche della crisi economica che il mondo sta attraversando.
Sasha GreyLo fa però nella maniera sbagliata, sotterrando fin dall’inizio lo spettatore con chili di chiacchiere senza neanche dargli il tempo di capire cosa sta succedendo, senza dargli prima modo di conoscere i personaggi. Colpa anche della scelta di Soderbergh di non raccontare il film in senso cronologico ma, come gli è solito, andare avanti e indietro nel tempo per dare maggior peso a determinati eventi. Non è un caso che nella seconda parte, quando la narrazione si concentra maggiormente sui personaggi e la cronologia si fa più chiara il film diventi più interessante.

Sasha Grey ed Elon DershowitzLa scatenata pornostar Sasha Grey è perfetta per il ruolo della protagonista, ma ci mette pochi minuti per far capire di non saper recitare, e chi gli è a fianco non si dimostra migliore di lei. Soderbergh costruisce alcune scene di buon valore, secondo i canoni cinematografici che gli sono tipici, ma la pellicola non decolla proprio perché certe scene possono funzionare solo se funzionano gli attori. Ed è strano che Soderbergh, ottimo direttore di attori professionisti, non abbia saputo dirigere correttamente questo cast di non professionisti né quello di Bubble. Oltre alla regia Soderbergh ha curato anche fotografia (come Peter Andrews) e montaggio (come Mary Ann Bernard) e allora, anche se i difetti più grandi sono in fase di sceneggiatura e la sceneggiatura è stata improvvisata quasi totalmente sul set, se il film non convince la colpa è tutta sua.


La locandina statunitenseTitolo: The Girlfriend Experience
Regia: Steven Soderbegrh
Sceneggiatura: David Levien, Brian Koppelman
Fotografia: Peter Andrews (alias Steven Soderbergh)
Interpreti: Sasha Grey, Chris Santos, Philip Eytan, Glenn Kenny, T. Colby Trane, Peter Zizzo, David Levien, Mark Jacobson, Alan Milstein, Sukhdev Singh, Ted Jessup, Dennis Shields, Steve Klapper, Caitlin Lyon, Christina Nadeau, Glenn Kenny
Nazionalità: USA, 2009
Durata: 1h. 18′


Percorsi Tematici

  • Non ci sono percorsi tematici collegati a questo articolo.
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  

Attualmente ci sono 3 commenti a questo articolo:

  1. […] per il cinema. Su The Girlfriend Experience segnalo invece due recensioni di tono opposto su CineFile e […]

  2. PaolaTv ha detto:

    The Girlfriend Experience
    di Steven Soderbergh

    ovvero:
    Cos’è il cinema sperimentale?
    di Giorgio Viali

    The Girlfriend Experience (2009) è un film da vedere. Non fosse altro per l’amore per Steven Soderbergh. Seguire questo regista nelle sue varie produzioni è comunque obbligatorio.

    Non è un bel film!
    Non è un film avvincente!
    Non è un film interessante!
    Non è innovativo!
    Non è un film da vedere una sola volta!

    E’ un film vuoto.
    E’ un film pretenzioso.
    E’ un film insensibile.
    E’ un film di distanze.
    E’ un film di vuoti.

    Un film curato.
    Un film d’autore.
    Un film freddo.

    La prima impressione negativa, la prima osservazione contrariata, la prima incomprensione visiva riguarda il montaggio.
    In un’epoca in cui il cinema (d’autore) cerca di riappropriarsi di una continuità di sguardo, di una continuità di ripresa, a tutto scapito del montaggio, questo film si incarna e trova ragione d’essere solo nel montaggio.
    Rinunciando alle imperfezioni della continuità, rinunciando alla specificità dello sguardo, rinunciando alla responsabilità dello sguardo stesso.
    Oggi la strada obbligata sembra essere quella di un’integralità dello sguardo stesso, una sorta di sguardo(prodotto)(cibo)(alimento visivo) integrale. Non raffinato. Grezzo. Pieno di fibre visive. Pieno di grezze visioni non frammentate e triturate.
    Questo film invece si affida completamente al montaggio. Si disarma. Si arrende. Cede qualsiasi qualità, qualsiasi dignità alle scelte del montaggio. Montaggio realizzato dallo stesso regista…
    Intendiamoci… montaggio impeccabile, ben fatto, che obbliga lo spettatore a gustare il film stesso solo con una doppia o tripla visione, per cogliere riferimenti e pezzi di montaggio altrimenti incompresibili.

    Forse il modo per approcciarsi a questo film è quello di considerarlo uno sguardo semplice sulla realtà. Un tentativo da parte del regista di raccontare la quotidianità. Il tentativo di documentare semplicemente. Non si tratta di un documentario, intendiamoci. Ma c’è forse la scelta di documentare. Di rinunciare volutamente e consciamente alle pulsioni del proprio sguardo per raccontare da lontano e in modo imparziale e freddo quanto accade.
    L’amore che il regista sembra inserire in questo film ha a che fare con la scelta di non avvicinarsi e con la scelta della rinuncia ad una prossimità che avrebbe potuto modificare ed urtare. Se non addirittura compromettere e modificare.

    La musica è indubbiamente un aspetto positivo e sgargiante e avvincente di questo film. E il modello di persistere, di continuare i dialoghi fuori campo a lungo. Un trasbordare continuo di un dialogo nella scena successiva. Un modello audio-visivo a cui non siamo abituati.

    Parte del film è composto da riprese effettuate in modo amatoriale (il viaggio a Las Vegas). Sinceramente non l’ho trovato per niente interessante. Anzi fuori luogo e poco innovativo. Non convincente. Superfluo. Inutile.

    E’ un film che merita però attenzione per il nuovo modello distributivo che rappresenta. Potrebbe darci un’idea di come evolverà il mercato dell’intrattenimento visivo prossimo futuro.
    Cinema non più e non solo per la grande distribuzione cinematografica. Ma per un nuovo modello digitale di distribuzione più veloce e immediata.
    Da questo possiamo ricavare due osservazioni. Che il mercato di questo tipo avrà sempre meno bisogno di autori e registi famosi e grandi (dinosauri) che sono poco funzionali ai nuovi modelli produttivi e distributivi. Sempre più possibilità di produrre e distribuire prodotti velocemente fruibuili e con una scadenza ravvicinata, che non terranno in nessun conto l’autore.
    Che non permetteranno e non prenderanno in considerazioni la ricerca e la sperimentazione. Ricerca e sperimentazione che saranno sempre più a carico esclusivo del singolo autore. Ricerca e sperimentazione sempre più fuori del mercato. Non inutile, non importante, ma non retribuita. Ognuno dovrà sempre più farsene carico personalmente.

    Un altro aspetto evolutivo ha a che fare con la non settorialità del mondo dell’intrattenimento. La possibilità che andrà sempre più accentuandosi di utilizzare, usare, un personaggio famoso in tutti i possibili ambiti dell’intrattenimento. Sasha Grey, in questo film, rappresenta questo tentativo di inserimento, di un’operazione di trapianto temporaneo di un personaggio famoso in un altro ambito.
    Cinema sperimentale inteso allora solo come sperimentazione per il mercato. Apertura di nuovi modelli di vendita di un prodotto-personaggio mediatico.
    Non come vera ricerca e sperimentazione visiva.

    Leggendo altre recensioni:
    Da verificare!

    Mi è parso buono il riferimento a: Colazione da Tiffany.

    Inizialmente è stato proiettato incompiuto e grezzo al Sundance Film Festival, successivamente è stato presentato in anteprima al Tribeca Film Festival.

    Soderbergh ha girato il film ispirandosi a capolavori come Deserto rosso di Antonioni e Sussurri e grida di Bergman, ma The Girlfriend Experience ha ricevuto commenti contrastanti: Roger Ebert, forse il più famoso critico americano, l’ha definito il miglior film dell’anno, altri l’hanno stroncato completamente.

    Anche se i difetti più grandi sono in fase di sceneggiatura e la sceneggiatura è stata improvvisata quasi totalmente sul set, se il film non convince la colpa è tutta sua.

    Cos’è il cinema sperimentale?
    [www.fictionsperimentale.com]
    di Giorgio Viali

  3. Alberto Cassani ha detto:

    Non capisco il senso di citare qui sotto tutto l’articolo di Viali, che peraltro nella seconda parte mi sembra scritto come promemoria personale più che per essere letto da altri.

    Ma comunque, la distribuzione alternativa Soderbergh l’aveva già sperimentata con “Bubble” e la utilizzerà ancora in altri 4 film, ma non credo possa fare da apripista più di tanto, visto il tipo di film che produce con questo modello. Sarebbe più interessante vedere cosa succede con film commerciali distribuiti secondo questo modello: questi qui suscitano un interesse talmente basso nel pubblico che i dati non possono essere indicativi. Però penso che questo sarà più o meno il metodo di distribuzione del futuro, sempreché la sala continui a esistere.

Scrivi un commento

Devi essere autenticato per inserire un commento.