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"Cut" di Amir Naderi

1 settembre 2011 Recensioni 2 Commenti
Festival di Venezia 2011

Inedito in Italia – Violento

Shuji, grande appassionato di cinema e regista dilettante, scopre che suo fratello è stato ucciso perché non aveva restituito il prestito ottenuto per finanziare i suoi film. Si trova così ad avere 12 giorni per raccogliere i 14 milioni di yen da restituire alla yakuza, e per riuscirci accetta di farsi picchiare a pagamento da chiunque voglia…


Takako Tokiwa e Hidetoshi Nishijima in CutSe all’inizio della vicenda Shuji ha come scopo primario reperire il denaro che può salvargli la vita, e quindi permettergli di continuare a sostenere il vero Cinema, con il passare dei giorni il suo percorso va in una direzione diversa, assume le caratteristiche di una vera e propria espiazione, una via crucis da percorrere senza alibi o facili vie di uscita per sfuggire a uno solo di quei pugni. Qualunque altro percorso non avrebbe valore. Ed è infatti solo quando finalmente il debito è pagato, quasi a costo della vita, quando il suo sangue di Shuji si mescola, idealmente e fisicamente, con quello del fratello sul davanzale del bagno del locale, che Shuji è realmente libero: libero di tenere di nuovo la testa alta, di ritornare a gridare nel suo megafono l’amore per il cinema, libero di indebitarsi di nuovo per girare ancora e ancora i film che sono la sua ragione di vita.

Hidetoshi Nishijima e Takako Tokiwa in CutCerto, il film di Naderi ha alcuni difetti, il più importante dei quali è senza dubbio l’eccessiva durata, soprattutto nella parte centrale, quando i giorni scorrono scanditi dai rumori dei pugni che mortificano la carne del protagonista. E questa dilatazione temporale è sicuramente voluta e cercata da Naderi per comunicare allo spettatore anche dal punto di vista tecnico il percorso di vita di Shuji. Ma Cut ha molti aspetti davvero pregevoli e interessanti: primo tra tutti l’amore sviscerato del protagonista per il cinema e le sue continue ma non pesanti citazioni di quasi tutti i registi che hanno fatto la storia di quest’arte: Fellini, Ozu, Kurosawa, Bresson, Reed, Melies… E la lista sarebbe davvero lunghissima. E’ proprio il cinema che lo tiene in vita, che ritempra il suo corpo e il suo spirito ogni mattina quando torna dalle sue notti allucinanti, quando Shuji proietta sul proprio corpo le immagini che gli sono più care, ragione della sua stessa vita.

Takako Tokiwa e Hidetoshi Nishijima in CutCoraggioso quanto memorabile il finale, scandito dai 100 colpi che servono a Shuji per saldare il suo debito, ognuno dei quali è legato, contato uno ad uno, a uno dei 100 film della sua vita, e che si chiude – e come poteva essere altrimenti? – con Quarto potere. Buona la fotografia, che passa con naturalezza dal bianco e nero più netto al seppiato sgranato al colore e a un’implacabile messa a fuoco proprio quando ci racconta, attraverso l’obiettivo, il martirio della carne e la resurrezione dello spirito di Shuji.


La locandina originale di CutTitolo: Cut
Regia: Amir Naderi
Sceneggiatura: Amir Naderi, Shinji Aoyama, Yuichi Tazawa
Fotografia: Keiji Hashimoto
Interpreti: Hidetoshi Nishijima, Takako Tokiwa, Takashi Sasano, Shun Sugata, Denden, Takuji Suzuki, Ikuji Nakamura, Satoshi Nikaido, Jun’ichi Hayakawa
Nazionalità: Giappone, 2011
Durata: 2h. 12′


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Attualmente ci sono 2 commenti a questo articolo:

  1. Checco ha detto:

    “Per cortesia, inserite gli spoiler tra i tag”… si, peccato che a me pare venga svelato il finale nella recensione stessa del film… mi sbaglio? Qualcuno che lo ha visto può dirmi se quel che qui si scrive pregiudica esageratamente la visione del film? Grazie…

  2. Alberto Cassani ha detto:

    Checco, è vero che Paola avrebbe potuto esprimersi in maniera diversa, ma in tanti film – tra cui questo – sapere o meno cosa sta per succedere non pregiudica assolutamente la visione. Prosaicamente, potremmo dire che è il percorso che conta, non l’arrivo (cosa comune a tutti i film di Naderi, peraltro). Prova a pensare a un film tratto da una storia realmente accaduta e ben nota a tutti: sapere già come si conclude la vicenda di solito non rovina la visione, anzi permette agli autori di giocare con le aspettative del pubblico. In questo caso, nel momento in cui il protagonista sceglie in che modo raccogliere i soldi, il suo destino è segnato: quello che è importante guardare è il coraggio con cui lo affronta fino in fondo. Quale che sia, sullo schermo, l’ultima scena.

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