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Festival di Locarno 2009

15 agosto 2009 Articoli 0 Commenti
Festival di Locarno

Ribelle, indipendente, resistente. Questi sono stati gli aggettivi che Marco Solari, presidente del Festival di Locarno, ha voluto utilizzare nell’occasione della cerimonia di apertura della 62a edizione che si è tenuta dal 5 al 15 Agosto del 2009. Ne ha voluto ricordare la storia, la nascita risalente al 1946, la sua indole subito ben delineata di essere un Festival per niente legato al divismo ma un luogo dove si voleva fare cultura. Con una punta di nazionalismo ha anche rimarcato la differenza tra questo e il Festival di Venezia, nato nel ’32 in pieno “ventennio” e per questo a lungo strumento del regime fascista. Locarno no. Il Festival nasce subito dopo la Seconda Guerra Mondiale e si rivolge, per quanto riguarda il cinema italiano, al Neorealismo, al cinema romano che ha fatto la storia del cinema italiano del dopoguerra. Frédérik Maire, il Direttore Artistico uscente, ha confermato le parole del Presidente e lo ha fatto esplicitamente ma ancora di più con le scelte dei film selezionati.

I film in concorso sono stati 18, e il vincitore del Pardo d’Oro è stato il film cinese ma realizzato con fondi europei She, a Chinese, che con semplicità e immediatezza affronta il tema della Cina moderna, ma anche quello della giovinezza, della ricerca di se stessi e di un proprio ruolo nel mondo, delle speranze perdute e di quelle ritrovate. Premio Speciale della Giuria e Premio Per la Miglior Regia sono andati a Buben, baraban, film russo che racconta di una vita spenta, che ritrova un senso e della successiva pesante disillusione. Un film amaro ma profondo, freddo come fredda è la Russia ma forte come lo è il bisogno di ciascuno di condividere le proprie emozioni e di cambiare in meglio la propria vita. Altro film molto interessante è stato Nothing Personal, che ha vinto il Pardo per la Migliore Opera Prima, mentre la protagonista Lotte Verbeek ha vinto il Pardo per la Migliore Interpretazione Femminile. Film curioso, divertente ma importantissimo è stato poi Akadimia Platonos, il cui protagonista Antonis Kafetzopoulos ha vinto il Pardo per la migliore interpretazione maschile. Il film parla di razzismo minuto, quello di tutti i giorni, quello più nascosto e più insidioso e lo smonta pezzo per pezzo, restituendo valore alle persone per quello che sono con il loro bisogno di rapporti umani sinceri. Vale la pena menzionare anche Summer Wars, non tanto per il suo contenuto, comunque non disprezzabile, quanto perché si tratta di film d’animazione giapponese che ha riscosso un lungo e affettuoso applauso da parte del pubblico. E’ questa la prima volta che un film del genere viene inserito in concorso, una scelta non casuale ma legata alla presenza a Locarno della sezione “Manga Impact”.

Tra i film della sezione principale merita un discorso a parte La Paura di Pippo Delbono, peraltro presentato fuori concorso. Un film-documentario interamente girato con un telefono cellulare, in cui si racconta dell’Italia e della sua ignoranza televisiva, del razzismo e delle piccolezze culturali di molti. Uno specchio in cui fa male guardarsi e un film da cui si esce con un misto di vergogna per quanto si è visto, ma anche di orgoglio per la consapevolezza di appartenere alla stessa nazione che ha dato i natali a cotanto artista. Evidentemente questa è un’operazione culturale di estrema importanza, dietro la quale si cela non soltanto la presentazione di una retrospettiva sul cinema e sul teatro di Delbono, che ha caratterizzato la manifestazione locarnese con la proiezione di altri suoi film, ma anche una presa di posizione esplicita all’interno del dibattito sulla qualità culturale della società italiana.
Pippo Delbono nasce come uomo di teatro ma ben presto si fa conquistare dal cinema. La sua arte è legata a un certo modo nuovo di fare teatro, dove l’utilizzo del corpo e della voce sono centrali. Amico di Pina Bausch, che ha partecipato a un suo spettacolo, ne è fortemente influenzato, così come il suo incontro con il tema della morte e della malattia mentale. Con lui recita Bobò, attore sordomuto che ha vissuto per 47 anni in un ospedale psichiatrico. Bobò è l’assoluto protagonista dei film di Pippo Delbono, perché rappresenta la purezza e la innocenza rispetto ad un mondo impazzito.

Il concorso dedicato ai “Cineasti del presente” ha presentato film interessanti dal punto di vista narrativo e in generale da quello tecnico. Per quanto riguarda i premi, il Pardo d’Oro è andato a The Anchorage, che francamente è interessante ma un po’ troppo intellettualoide Assolutamente meritato e meritorio, invece, il Premio Speciale della Giuria assegnato a Piombo Fuso dell’italiano Stefano Savona, un documentario girato nella Striscia di Gaza durante l’omonima operazione militare israeliana che ha sconvolto la Palestina a cavallo tra il 2008 e il 2009. Oltre a questi due, altri cinque film hanno catturato l’attenzione di chi era presente alla rassegna: Kaerlighedens Krigere, film svedese in bianco e nero di un rigore raro, con momenti di grande cinema; Köprüdekiler, dalla Turchia un racconto corale sulla Turchia moderna con le sue contraddizioni e la sua cultura; Mirna del regista italiano Corso Salani, la storia di una ragazza argentina ripresa nella sua solitudine e nella sua ricerca di se stessa; e infine due film film musicali diversissimi l’uno dall’altro, Sogno il mondo il venerdì di Pasquale Marrazzo, una storia che con qualche limite racconta di una Milano spersonalizzata, nervosa e nevrotica, e Un Trasport en commun, film franco-senegalese molto divertente e solare e che narra di un gruppo di persone in viaggio insieme.

La sezione “Manga Impact”, interamente dedicata al cartone animato giapponese, è stata certamente quella più divertente di tutto il Festival. Divertente di sicuro, ma non in modo banale e non sempre. Non mancano momenti drammatici e altri di riflessione profonda sulla bontà della società contemporanea e sulla natura umana. Mobile Suit Gundam I racconta la nascita di Gundam, non solo divertimento ma anche morti e tragedie. E poi ci sono i due film della serie Tengen Toppa Gurren Lagann, rispettivamente Childhood’s End e The Light in the Sky Are Stars, in cui, dietro ad immagini e situazioni spettacolari si nasconde, non si crederà, una profonda riflessione filosofica e quasi teologica. Infine merita una citazione The Sky Crawlers di Mamoru Oshii, già presentato al Festival di Venezia del 2008 e totalmente diverso dai precedenti per quanto riguarda ambientazioni e ritmo ma simile nella profondità dei temi trattati.

Un altro protagonista incontrastato del Festival è stato il cinema cinese. Non soltanto perché il Pardo d’Oro è stato assegnato ad un film proveniente dalla Cina, ma anche perché la sezione “Open Doors” era completamente dedicata a quel paese. Un paese dove le contraddizioni stanno diventando sempre più forti e drammatiche, dove a fronte di situazioni sempre più agiate peggiorano le condizioni di altri luoghi e altri lavoratori. Un paese che, a fronte di una cultura del sacrificio che gli appartiene, cova un malcontento e una rabbia che non potranno non esplodere. Un paese bisognoso di democrazia e libertà.
Mu Bang è un documentario che racconta la vita di alcuni taglialegna cinesi, un film duro, drammatico e per certi versi sconvolgente. Le condizioni di vita a cui sono costretti questi lavoratori sono del tutto inaccettabili. Petition – La Cour des Plaignants è un altro documentario che, girato nel corso di 10 anni, segue la vita ai margini di coloro che, avendo subito un danno, si rivolgono all’ufficio querele centralizzato di Pechino per ottenere giustizia; un documentario anche questo durissimo che pone un interrogativo gigantesco sulla situazione socio-politica della Cina. Bu Fa Fen Zi è invece un film più tradizionale, anzi: un film moderno dal punto di vista del ritmo, del montaggio, della musica. Narra la storia di tre ragazzi che, alla ricerca di un futuro diverso da quello che gli si prospetta, scelgono di seguire la strada della piccola (o grande) criminalità. Anche da questo lungometraggio, tuttavia, si palesano le contraddizioni della società cinese: i ragazzi vivono in un paesino nato a ridosso di una miniera di carbone, in un paesaggio nero, devastato dall’inquinamento e dalla sporcizia. Da questo i ragazzi vogliono fuggire ma scelgono il modo peggiore.

Quest’anno nessun film italiano era in Concorso nella selezione ufficiale. Nella sezione “Cineasti del Presente”, invece, partecipavano tre film – tra cui il vincitore del Premio Speciale della Giuria Piombo Fuso – mentre nella sezione “Ici & Ailleurs” erano presenti diversi corto e lungometraggi italiani. Hausing è un documentario piuttosto scoraggiante che racconta delle condizioni di vita degli inquilini delle case popolari di Bari; Il figlio di Amleto, del regista recentemente scomparso Francesco Gatti, è un interessante documentario che racconta la vita dell’artista Sergio Battarola e l’ambiente culturale milanese.

Per concludere, la sempre gremita “Piazza Grande” rappresenta come al solito il momento mondano del Festival. In questa sezione sono stati presentati tra gli altri (500) Days of Summer, commedia brillante girata con intelligenza che racconta una storia d’amore giovanile che si trascina per 500 giorni, in cui tutte le fasi dell’amore si succedono una all’altra fino ad arrivare ad un ironico finale. Same Same But Different è stata, invece, la vera delusione del Festival. Non tanto per il film in sé, che scorre e non ha grossi difetti, quanto per i valori che propaganda, del tutto contrastanti con quelli propri del Festival. Tratto da una storia vera, racconta di due amici che fanno un viaggio in Cambogia e cercano divertimento e sesso. La vicenda si complica e porterà a fare delle scelte importanti. Il film non prende posizione contro il turismo sessuale ma lo presenta per quello che è. Si trasferisce la tragedia di un popolo, costretto alla prostituzione dalla povertà, in una vicenda privata, in cui un uomo si scopre di animo gentile ma senza l’elaborazione di una critica per quello che si è fatto.


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