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I due volti di Werner Herzog

5 settembre 2009 Articoli 2 Commenti
Werner Herzog

Sbarcato al Lido di Venezia con il remake del “Cattivo Tenente” diretto da Abel Ferrara nel 1992, Werner Herzog è stato poche ore dopo protagonista anche del primo “film sorpresa” di questa edizione del Festival, un thriller prodotto da David Lynch…


Succede che il terzo giorno di Venezia 66 si trasforma in una giornata herzoghiana. Le proiezioni si aprono con Bad Lieutenant e si chiudono con un film sorpresa che si rivela essere My Son, My Son, What Have Ye Done?. Nel mezzo, riflessioni su un Herzog diverso, approdo più recente di un percorso in continua metamorfosi. Due film dello stesso regista nello stesso concorso: è appropriato che sia capitato a Herzog, che ha ringraziato la “follia” del direttore e la città tutta per averglielo proposto, nonostante quarant’anni di rifiuti nei confronti dei suoi film.

In comune i due film hanno molto. Sono entrambi “di finzione”, anche se Herzog rifiuta questo distinguo. Sono entrambi “americani”, che per la natura itinerante del regista non è cosa da poco, e rappresentano un rinnovato dialogo con il paese in cui vive ma la cui industria non ama. Sono film che, per caso, parlano spesso di animali, e non di animali qualsiasi, ma di animali colti nella loro “stupidità”, che per Herzog non è argomento triviale (e a volte un canale per lo studio della natura, come gli orsi di Grizzly Man o il pinguino di Encounters at the End of the World). Sono, soprattutto, film eterozigoti, che Herzog “condivide”, con Abel Ferrara e David Lynch.

Bad Lieutenant riprende titolo e canovaccio del durissimo film di Ferrara del 1992, con Harvey Keitel. Con Ferrara Herzog dialoga in totale opposizione, davanti alla macchina da presa ma anche dietro. È probabile che le schermaglie tra i due siano la solita bufala («Vogliono rifare Il cattivo tenente? Devono bruciare tutti all’inferno» – «Ferrara? Non so chi sia»), e dopo la visione si capisce anche il perché.
Il “tenente” di Herzog, un Cage plastico ed esagitato come suo costume, pare a tratti un’imitazione satirica di Harvey Keitel: la pistola sghemba a guidarne il corpo, ma più grande. La postura viziata dal mal di schiena e l’aria sfatta per l’inettitudine contro la sofferenza intestina di Keitel. La tensione tra indagine redentoria e rovina personale virata spesso in commedia. La risonanza religiosa, che nel 1992 assomigliava a quella di Mean Streets shakerata e stappata, annullata per Herzog in una dominazione terrena, simile a una storia di Paperino, in cui tutto va storto per la goffa sfortuna ma poi le cose si sistemano da sole.
Il cardine di questo rovesciamento sono gli inserti assurdi che Herzog, spietato manipolatore finto ingenuo, ha girato in prima persona, scrutando il volto di un’iguana a suon di musica o abbandonando un dialogo tra due personaggi per seguire la semi-soggettiva di un alligatore sul ciglio della strada. Un preludio alla sconsiderata follia di cui il film si impregna sempre più, la follia di intraprendere un’operazione del genere riuscendo a renderla assolutamente godibile per lo spettatore e concettualmente preziosa come contraltare del film di Ferrara.

A poche ore di distanza dalla prima visione, la “coppia” diventa Herzog-Lynch, l’uno regista l’altro produttore non solo esecutivo di My Son, My Son... Pur consapevoli che di sola suggestione si tratta (Lynch non ha avuto input diretto sulla lavorazione, ha solo accolto con piacere la proposta di Herzog e lo script), è facile intravedere nel film un alternarsi di poetiche dei due registi. Concepito come manifesto di un cinema economico ma costruito su grandi attori, questo thriller mancato, che parla di omicidi, ostaggi e incursioni SWAT senza mai mostrarle, è costruito sull’incomprensione reciproca e sul racconto di sé. Per seguire la “pazzia” di Brad, giovane tormentato che uccide la madre, Herzog sceglie un respiro quieto, alternando flashback su luoghi “altri” (a partire da quel Perù tanto sentito dal regista) all’ambientazione alienante di San Diego.

È un film di sintesi, in cui i viaggi herzoghiani si sciolgono idealmente nelle torsioni di Lynch; sensazioni oblique di una storia tutta in fuoricampo, in cui l’oscurità viene sfiorata gentilmente lasciando dubbi sulla riuscita finale: meno d’impatto rispetto a Bad Lieutenant, ma forte di un’energia sotterranea. Due film che rapportati alla sua filmografia ci dicono di un Herzog minore, eppure uniti dal caso in una complementarietà fortissima.


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Attualmente ci sono 2 commenti a questo articolo:

  1. Fabrizio ha detto:

    A me “Il cattivo tenente” non ha entusiasmato. Si vede che è gestito da una mano capace di renderlo un qualcosa di diverso dal solito cop-movie/thriller che altrimenti sarebbe stato, ma non mi ha convinto.

  2. Riccardo ha detto:

    Di Herzog ho visto soltanto nosferatu e mi è piaciuto molto, bravissimo kinski anche se la faccia da depresso fa scappare qualche risatina.
    film molto gotico e angosciante che inquieta l’animo e non la vista.
    straordinarie le musiche di popol vuh.

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