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1917 di Sam Mendes

13 febbraio 2020 Recensioni 3 Commenti
1917

01 Distribution, 23 Gennaio 2020 – Potente

Durante la Prima Guerra Mondiale, a due giovanissimi soldati viene affidata una missione quasi impossibile. Dovranno attraversare le trincee nemiche per sventare un attacco che è, in realtà, una trappola. Quella di Blake e Schofield sarà una disperata corsa contro il tempo…


Ci sono due modi, per analizzare una pellicola complessa e affascinante come 1917. Da una parte ci si appella a quello che è l’edonismo tecnico e il desiderio di mostrare le capacità registiche di un fuoriclasse come Sam Mendes, e, dall’altra, la considerazione che la “macchina da guerra” messa in piedi dal regista e dalla produzione è materiale vivo e pulsante.

Dopo averci ammaliato con i pruriti sessuali e anche le miserie umane dei sobborghi dell’America contemporanea, per mostrane la bellezza al di là del putrido, e sorvolando le incursioni migliori del brand di 007, Mendes si conferma un cavallo di razza dietro la macchina da presa, dimostrando di aver appreso la lezione dei maestri come Sergio Leone o Sam Peckinpah nel’unire epos e lirismo con un surplus di violenza che poche volte si sono visti al cinema. Non c’è il desiderio di gratuità, ma si rispetta il senso del necessario.

Della tecnica strabiliante del film, tutto un unico piano sequenza, se ne parla da prima dell’uscita della pellicola e il compito del critico non è solo vergare in bella grafia le lodi ma anche i difetti che l’opera contiene. In questo caso, l’utilizzo di una lente di ingrandimento per trovare l’intruso è superfluo perché tutti gli elementi che compongono l’opera filmica sono talmente ben allineati e coerenti che, alla fine della fiera, il risultato è pressoché perfetto.

Mendes non racconta, come avrebbero fatto altri, gli orrori o le atrocità ma va al di là del già visto per mostrare l’aspetto pornografico della guerra: cadaveri galleggianti, ratti, escrementi, sangue di colore livido. Il prontuario dell’angoscia non è sbattuto in faccia ma misurato e, alla fine, il regista rende la guerra simile a un incubo senza regole, ingigantendo tutto questo con la potenza delle immagini; trasformando a bella posta i suoi protagonisti in due supereroi.

Se la prima parte di 1917 è tesa e angosciante, anche realistica nella sua messa in scena claustrofobica della trincea, la seconda fa esplodere il senso di irreale e ipertrofico dell’atto bellico, osservato da un punto di vista infantile (il film nasce dai racconti del nonno del regista). A rendere la pellicola un “quasi” capolavoro ci sono due attori bravissimi nel loro essere empatici e distanti allo stesso tempo, una fotografia turgida, una colonna sonora lirica e di ampio respiro e un utilizzo dello spazio e del tempo che non si vedeva da anni (due ore che paiono 30 minuti).

La sceneggiatura, ogni tanto, soffre di qualche piccola caduta. È normale ed è anche giustificato, perché Mendes sa raccontare più con le immagini che con le parole. Questo è il punto di forza di 1917: un ben calibrato pugno allo stomaco dello spettatore, e al cinema stesso.


La locandinaTitolo: 1917 (Id.)
Regia: Sam Mendes
Sceneggiatura: Sam Mendes, Krysty Wilson-Cairns
Fotografia: Roger Deakins
Interpreti: Dean-Charles Chapman, George MacKay, Daniel Mays, Colin Firth, Pip Carter, Andy Apollo, Paul Tinto, Josef Davies, Billy Postlethwaite, Gabriel Akuwudike, Andrew Scott, Spike Leighton, Robert Maaser, Gerran Howell, Adam Hugill
Nazionalità: USA – Regno Unito – India – Spagna, 2019
Durata: 1h. 59′


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Attualmente ci sono 3 commenti a questo articolo:

  1. Marco ha detto:

    Concordo con le lodi tessute in recensione.
    Straconsiglio anche per chi, come me, i film di guerra non tanto ci è avvezzo (anche se ne ho visti molti😁).

    Albe te l’hai visto?
    Preferisci questo o “Dunkirk”?

  2. Alberto Cassani ha detto:

    Non è un film che si può guardare a cuor leggero. Mi sono fermato molte volte a contemplare la scheda su Prime Video, ma per adesso non ho ancora trovato il coraggio di schiacciare “play”.

  3. Vigile ha detto:

    Ho letto svariate recensioni di questo film, quasi tutte parlano del realismo delle scene, del piano sequenza etc e anche la vostra non fa eccezione. Beh, allora io ho visto un altro film. Il famoso piano-sequenza é invece formato da tre o quattro piani sequenza uniti da dei raccordi ma questo va anche bene, il succo non cambia, perché la narrazione é veramente unitaria. Ma piu’ sorprendente per me é il fatto che nessuno sottolinea la dimensione onirica che pervade il film dalla prima scena all’ultima, la stilizzazione delle immagini e del racconto, . Si passa da un’ infilata surrealista di trincee, a paesaggi desertici, a spazi devastati dove incombe il silenzio della morte, a paesaggi lunari, fantascientifici, dai chiaroscuri ocra e neri e ombre marziane lunghissime, mobili, minacciose.
    I personaggi secondari sono silhouettes, apparizioni fugaci, i nemici sono ombre fantasmatiche che accompagnano il viaggio del protagonista in un tunnel psicologico e visivo carico d’angoscia.
    Stento a vedere il realismo in queste scene che scorrono spinte da un destino immanente, se non nel dettaglio delle uniformi o nel suono degli spari. Non percepisco realismo nell’aereo che si schianta, nell’incontro con altri soldati, nel soldato che canta nel bosco, nell’attacco lanciato dalle trincee, ma rappresentazione simbolica della guerra. Sembra di vivere in un sogno, o in un incubo, come dir si voglia.
    Si susseguono i riferimanti filmici manifesti, da “Full metal jacquet”, alla parte finale di “Apocalypse now”, a “O’ brother”, a “Salvate il soldato Ryan”.
    Comunque un’opera che lascia il segno, al di la delle interpretazioni personali e, in fondo, trovo che l’aggettivo “potente” del titolo della recensione sia molto calzante;

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