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Ed Wood: il peggiore di tutti

28 febbraio 2003 Articoli 6 Commenti
CineFile

Uno è sempre considerato matto quando perfeziona qualcosa che gli altri non afferrano…


Edward D. Wood Jr nasce a Poughkeepsie, nello stato di New York, il 10 Ottobre 1924. Fin da bambino prova a girare dei lavori in otto millimetri poi, dopo una pausa dovuta alla sua partecipazione alla Seconda Guerra Mondiale – dove, come lui stesso racconta, indossava sotto l’uniforme da soldato lingerie femminile – riprende il suo sogno di girare film a tutti i costi. Ripudiato da ogni studio cinematografico, decide di organizzarne lui stesso uno suo raccattando soldi e attrezzature a destra e a manca da chiunque possa offrirglieli. Gira così The Streets of Laredo, un cortometraggio western rimasto incompiuto e senza colonna sonora. Per l’assenza di un budget adeguato, lo stesso Wood si includerà nel suo lavoro come attore, ma non sapendo cavalcare si limiterà ad interpretare un cowboy a piedi. Nel 1951 realizza la sua seconda opera, The Sun Was Setting, anch’essa incompiuta ma già avente una colonna sonora; una pellicola assurda di stampo drammatico, con una trama che non si regge minimamente in piedi, caratteristica comune di praticamente tutte le opere del regista. Prima di girare il suo primo film completo, Wood ci delizia con un altro corto, praticamente sconosciuto, di una povertà estrema, tanto da avere un solo personaggio presente in pellicola, parliamo di Trick Shoooting with Kenne Duncan (che ritroveremo anche nel ruolo del mitico Dr. Acula nel film Night of the Ghouls e nel film Sinister Urge).
Finalmente, dopo queste tre prove, Wood ci regala il suo primo film completo, ispirato a lui stesso, inizialmente chiamato Behind Locked Doors poi Transvestite e successivamente battezzato Glen or Glenda (1953): il regista dirige una storia che è un po’ l’inno a quello che lui stesso fa, girato con l’idea di farne una sorta di documentario, in realtà salta fuori un film dalla sintassi sconnessa come nel suo migliore stile.

Dopo l’ennesimo flop con Plan 9 from Outer Space (1959), Wood scrive la sceneggiatura di The Bride and the Beast, in cui una giovane ragazza è attratta dal gorilla del padre, ovviamente gorilla non inteso come guardia del corpo.

Oggi, ad anni di distanza dalla sua morte avvenuta il 10 Dicembre 1978, la sua storia ed i suoi film sono tornati ad essere considerati dall’interesse generale, grazie al regista contemporaneo Tim Burton, il quale ne ha girato un degno e fedele omaggio, incentrando di nuovo l’attenzione sul cinema di Wood, anche se una piccola parte di cultori del cinema di questo genere lo ha sempre sostenuto, riconoscendolo come padre del cinema indipendente e degli amati B-movie.
Ed Wood, prima deriso e ripudiato, poi successivamente amato e preso come esempio, è il primo di una schiera di registi che senza una tecnica eccelsa, nessun tipo di credito artistico e con mezzi di fortuna, si gettano nel meccanismo del cinema ad ogni costo.
Se in tempi moderni abbiamo avuto registi come Andy Milligan, John Waters (approdato infine ad Hollywood con il suo ultimo lavoro), Fred Olen Ray (una carriera di alti e bassi, ma lo definirei l’Ed Wood del 2000), gli italiani Claudio Fragasso, Joe D’Amato, Bruno Mattei e molti altri, fino ad arrivare ai caserecci ed estremi Jorg Buttgereit, Andreas Schnaas, Olaf Ittembach ed altri registi che non riescono neppure a girare in pellicola ma si avvalgono di videocamere S-VHS, 8mm o Hi-8, tutto questo nel bene e nel male è merito del compianto Ed Wood. Ancora una volta grazie.

Un uomo più o meno normale che ha intrapreso il lavoro del regista senza aver la ben che minima cognizione di ciò che significasse. Vittima del sistema hollywoodiano o genio sprecato e incompreso? Era il meglio del peggio o il peggio del meglio? Era colui che ha mandato in tilt il divismo di Hollywood e qualsiasi barlume di gusto estetico: piatti per i dolci con la carta stagnola come dischi volanti, scenografie che cascano a pezzi, attori realmente imbarazzati, dialoghi incomprensibili, scene ridicole… Tutto questo con la convinzione di un fanciullo che, forse oggi, in questi tempi di emozioni a basso budget alla Blair Witch Project, sarebbe stato miliardario… e un ospite ideale per Maurizio Costanzo.

Mi ricordo sempre che quando studiai Caligola, studiavo giudizi psicologici sul personaggio. Non leggevo «Caligola fece senatore un cavallo», leggevo «Caligola era matto: fece senatore un cavallo». La follia è un dato psicologico, non storico. Anche nel caso di Ed si va troppo erroneamente oltre. Si parla poco di cinema, troppo di personalità, poco di umanità, troppo di psicologia. Pochi hanno parlato dell’amore.
Ci sono tanti tipi di amore. Per Dio, per la madre, per gli oggetti, per la moglie, per un cane. Amori che sfociano in errori, in ossessioni, in privazioni della dignità individuale. Amori delusi. Amori spesso non ricambiati.
Edward D. Wood Jr era innamorato del cinema. A livelli incredibili. E il cinema non lo ha mai cagato. Era disposto a tutto, era proteso verso la forma cinematografica con tutto se stesso: in perenne conflitto con la sua persona, con il suo contesto sociale, con le sue ansie, le sue paure, la sua coscienza, la sua dignità.

Ho detto che si parla troppo dei personaggi sotto la loro connotazione psicologica? Bé, lasciate che ci cada anch’io: la cosa più sbagliata è asserire che era folle. La cosa più giusta è asserire che era una persona normale, con tutta la vacuità e l’ambiguità che questo termine si porta dietro.
Il travestitismo non può essere un’indicazione sufficiente per consolidare una teoria su una patologia mentale: c’è, di fatto, chi ama vestirsi da donna e lo giustifica in modi molto più ipocriti e meno probabili. Anche direttori di aziende importanti o avvocati illustri lo avranno fatto, almeno una volta in feste e carnevalate, e poi la moda odierna, che distinzioni fa? Negli anni ’50, come sarebbe stato considerato il ventenne che trovate appena girato l’angolo con un orecchino al lobo destro? E quell’altro giovanotto coi capelli lunghi?
Ed, con il suo maglioncino d’angora, si calmava. Tranquillizzava i suoi nervi dal continuo annaspare per cercarsi spazi. Ma il cinema è cinema, e la psicologia si lascia a chi fa un mestiere che comincia per psi-. Che sia uno psichiatra o uno psicologo o uno psicanalista, è un mestiere che non ha nulla a che fare con la cin- di cinema.

Wood ha vissuto nell’eterno timore di un asfittico anonimato e ne è uscito nel modo che ai più potrebbe sembrare indigesto: è il peggiore. Badate bene, non uno dei peggiori o un mediocre, ma “il peggiore”. Questo grazie a due critici underground come Harry e Michael Medved, che lo bollarono così nel 1980, due anni dopo la sua misera morte (determinata da un attacco cardiaco dovuto al cospicuo consumo di superalcolici). Ed morì senza soldi, senza casa, senza affetti.

Una parabola triste, quella di Ed. Uno schiavo del successo mancato, uno schiavo di un alcolismo che non gli ha ripagato nemmeno un cent investito a spedire storie assurde, ma che lui riteneva vere. La verosimiglianza dei suoi film è la metafora di una vita consumata come una pellicola troppo usurata.
E su tutto, la sua spaventosa lucidità. Il ripetere le battute degli attori, le fughe davanti alla polizia perché non aveva richiesto il permesso dell’occupazione del suolo pubblico per il cavalletto, la sua capacità di definire come “dettagli” una scenografia che cade o il filo della canna da pesca che regge l’astronave. Dettagli che si dovrebbero confondere in quell’immenso oceano di magia che è il cinema. Ma i nostri occhi, sempre più protesi alla burla e allo sbeffeggiamento; i nostri occhi, che hanno visto alieni far esplodere la casa bianca e dinosauri che inseguono jeep; i nostri occhi, che hanno visto Stallone cucirsi una ferita e Schwarzeneggher scatenare la terza guerra mondiale; i nostri occhi, che hanno accettato soap-opera mentre bombardano Pearl Harbor e si sono puppate i marziani di Brian de Palma con la bandiera americana; i nostri occhi, che si sono sorbiti Russell Crowe con le allucinazioni, pensano che i film di Ed Wood siano delle boiate incredibili? Tenetevi pure Mission to Mars e datemi 500 Plane 9; tenetevi i vostri Tom Hanks sull’Apollo 13 e datemi 1.000 Nights of the Ghouls; tenetevi le vostre Beautiful Mind e lasciateci 2.000 Glen or Glenda.

Siamo soggetti alla sazietà di un cinema apollineo, edulcorato dal plasma di MTV e farcito di una stomachevole “grande fratellanza”. Vedere delle “schifezze”, vedere la Serie Z, ci conferisce questo divertimento macabro e disadorno, come di chi al liceo prendeva per il culo quello più piccolo, il più ingenuo, quello che ti dava il morsino di schiacciata anche se gliela sputavi nel viso. Ci fa sentire ricchi e facili intenditori, ma anche terribilmente presuntuosi e superficiali.

Ed Wood aveva capacità di sintetizzare, di non accusare stanchezze, di lasciar trasparire una passionalità velata di nostalgia. Per il talento che non aveva e che non avrebbe potuto esprimere, per la magia di un’arte deturpata da un sistema che schiaccia qualsiasi individualità artistica in nome del dio dollaro, che sia Wood o che sia Welles.
Ed spendeva ben poco per le sue idee, ma non vi rinunciava mai (pensate invece a una puttana come Ridley Scott che dopo Alien e Blade Runner realizza vaccate miliardarie come Hannibal e Black Hawk Down). Si è battezzato per accontentare una confraternita di battisti, ma non ha attenuato la carica fantascientifica della sua opera più convinta: quel Plane 9 from Outer Space che più passa il tempo e più è un calcio in culo a tutti i mereghettini in giro per il mondo. Pieno di debiti, vendette i diritti del film a un dollaro, ma riuscì a farne un altro: Nights of the Ghouls, in 3 giorni e mezzo. Il suo “buona, stampiamola!” è un inno alla sacrosanta libertà di confezionare cazzate limpide, orride congerie di divertimento infantile, accozzaglie di balzana visionarietà dagli effetti debordanti.

Anch’io sono uno di quelli che l’ha conosciuto grazie a Tim Burton. Era il 1995, ed è stato il primo regista che sentii realmente reale; è il primo che ho sentito vicino a me, come un compagno di cinema che mi dice «Oh, si fa un film?» e si lascia andare senza condizionamenti dettati dalla moda o dal gradimento del pubblico, con un trasporto adolescenziale verso le sperimentazioni dei sottogeneri, dell’explotaition (in)volontariamente bieca e sciocca.

Il trash risiede laddove il pubblico non ha la facoltà di comprendere o dove gli intenti di un autore sono inevitabilmente mediocri? Il trash è una forma espressiva compiuta e teorizzabile o un semplice taglia e cuci di situazioni errate in partenza? È un’icona dell’anti-Hollywood o un anti-genio?
Ed Wood era solo un uomo che sfidava i limiti di se stesso e i limiti produttivi che gli venivano imposti. È l’entusiasmo di un regista che ruba una piovra ai grandi magazzini e rompe il motorino che la muoveva. È colui che, se aveva degli scarti, come una mandria di bufali incazzati trovava dentro di sé il modo di giustificarli, ma non lo applicava assolutamente alle immagini. Era un poeta interiore, inetto ma geniale nella sua perfetta inettitudine. E nella capacità di esserci riuscito.
Ed aveva una troupe di fedelissimi: un direttore della fotografia daltonico, un veggente che scazzava a bestia, un lottatore di wrestling completamente inespressivo, le sue fidanzatine… gente disposta a fare di tutto per Ed, persino a recitare in un suo film. Ed dava istruzioni agli attori mentre girava. Prima non spiegava mai nulla, non c’era tempo: i film si giravano in 3 o 4 giorni.

Nonno ideale di Wood, nonché perfetto tardo parallelo, è Bela Lugosi. Il Dracula più famoso dell’immaginario collettivo era, negli anni ’50, un tossicodipendente che aveva continuo bisogno di alcol e morfina, più un’iniezione a base di formaldeide che un giorno gli costò la vita. Bela era quello che era più brutto dal vivo che sullo schermo, quello che tutti pensavano fosse morto, quello che fu il primo grande divo straniero (era ungherese) dell’era d’oro di Hollywood, eterno antagonista di Boris Karloff (che era accusato da Bela di scarsa attitudine recitativa perché per fare il mostro di Frankenstein basta muoversi legnosamente e fare «eeeeeuueueuueueu»), andava in giro provando le bare delle pompe funebri e si fece seppellire col mantello di Dracula.

Ed era anche un velocissimo scrittore. Sollevò i suoi problemi finanziari scrivendo raccontini pulp di sesso e violenza e dirigendo qualche porno. Ora Ed è, e Ed sarà, famoso. Allora chi è il fallito? I produttori dell’epoca, di cui non si ricorda neanche il nome, o Edward D. Wood Jr?

Cechov diceva che c’erano solo due tipi di letteratura: buona o cattiva. Per il cinema melius abundare: c’è quello buono, quello cattivo e quello di Ed Wood.


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Attualmente ci sono 6 commenti a questo articolo:

  1. VILMA ha detto:

    HO ADORATO LEGGERE CIO’ CHE LEI HA SCRITTO . DAVVERO . COMPLIMENTI , ANCHE A ME WOOD PIACE MOLTO .GRAZIE

  2. M.A.G.D ha detto:

    Un Articolo molto piacevole da leggere, domanda, è stato scritto da Quel Paolo Ruffini di Colorado?

  3. Alberto Cassani ha detto:

    Sì. All’epoca lavorava per MTV a Milano e ci vedevamo spesso alle anteprime stampa.

  4. Andrea T. ha detto:

    Guardando “Fuga di cervelli” direi che l’allievo è in procinto di superare il maestro….

  5. Plissken ha detto:

    Molto bello questo articolo, anche da parte mia complimenti al Ruffini. Prima di visionare il film burtoniano di Wood avevo letto qualcosa, qualche trafiletto o poco più, ma senza onestamente curarmi di approfondire la storia di un personaggio che non mi diceva nulla.
    Burton è stato molto abile a tratteggiare, romanzando, la figura di questo regista con un trasporto simile a quello presente in questo articolo, che presumo aggiunga dati in parte più “didascalici” rispetto alla trasposizione cinematografica del suddetto.

    Ho avuto modo di vedere due pellicole e mezzo (ad un certo punto non ce l’ho fatta a proseguire…) di Wood e oggettivamente i suoi film sono di quanto peggio io abbia visto, anche se assurgono ad un certo stato dell’arte per la spontaneità e l’indubbio umorismo che traspare via via dalle soluzioni artigianali/domestiche adottate (descritte anche nell’articolo), umorismo ancora più efficace in quanto involontario.

    Nonostante io stenti a credere che Wood fosse del tutto “normale” mi ritengo a mia volta un suo ammiratore, proprio in virtù del suo amorevole attaccamento al mezzo filmico, implementato a qualunque costo.

    Un quesito che mi assilla in tal frangente è: se Wood fosse contemporaneo, come lo giudicheremmo senza l’apporto del “dottor tempo” che ne palesa la figura sotto di un’aura romantica?

  6. Giorgio ha detto:

    Bellissimo questo articolo, mi era venuta voglia di scrivere un’articolo su Ed Wood su Filmtv ma dopo essermi riempito delle sue belle parole mi sento sazio e non so più se lo scriverò.
    complimenti

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