Stai leggendo:

"Le paludi della morte" di Ami Canaan Mann

14 giugno 2012 Recensioni 4 Commenti
Enrico Sacchi, 9 Settembre 2011: Sufficiente
01 Distribution, 15 Giugno 2012

Fuori da Texas City c’è uno sterminato inferno di paludi nel quale si sono perse le tracce di numerose vittime di maniaci e assassini. Due detective si dividono tra due casi diversi, ma tutte le indagini portano nel cuore delle paludi che entrambi i poliziotti vogliono disperatamente evitare…


Ultimo in concorso a Venezia 2011, il secondo lavoro della figlia di Michael Mann è l’ennesima opera dichiaratamente di genere presentata in quest’edizione, e sebbene non abbia i numeri per aspirare a premi importanti, non si tratta di un film del tutto privo di sorprese, da un punto di vista prima di tutto cinematografico. Lo sceneggiatore e la regista si ispirano ai numerosi casi di cronaca nera verificatisi nelle paludi ai lati della I-45, prendendone spunto per disegnare l’inquietante ambientazione che fa da sfondo alla vicenda dei due poliziotti protagonisti. Se lo sceneggiatore Don Ferrarone gioca da manuale con la tipica aura maledetta di una location del genere attraverso l’evoluzione della storia e i buoni dialoghi, la regista riesce a esaltare visivamente gli aspetti più comuni di quel Texas e il significato che quelle paludi hanno su protagonisti ed estranei.

La storia di un’indagine oscura che diventa un’ossessione personale per i poliziotti coinvolti è da sempre un tema su cui è difficile spaziare in modo straordinario, ma questa particolare variazione non è una delle più disprezzabili, grazie anche alla moltiplicazione degli obiettivi dei detective. Il duo di poliziotti protagonisti è infatti coinvolto contemporaneamente in più casi, e il tempo che dedicano a ciascuno di essi è anche tempo sottratto alla risoluzione di altri omicidi. Questa scelta rende la storia meno banale di quel che potrebbe sembrare e soprattutto consente di aumentare la pressione sugli eroi principali fino a un ottimo livello, che rende la storia appassionante e permette di tollerare alcuni buchi di scrittura e montaggio. Se infatti si evita fortunatamente la trappola del collegamento forzato fra i casi, alcuni piccoli elementi rimangono irrisolti o abbandonati (il mazzo di chiavi) e altri sono spunti buttati via, come la piattissima relazione di uno dei protagonisti con l’ex-moglie.

La regia di Ami Canaan Mann può ancora migliorare nella realizzazione delle scene d’azione, sebbene abbia un’interessante propensione per il brutale, ma in compenso sfrutta al meglio la colonna sonora e i pochi momenti dedicati alla vita privata dei personaggi. I due protagonisti, potenzialmente semplici macchine da indagine, sono invece resi come figure tridimensionali e interessanti, di cui si può davvero percepire una maturazione e una dannazione parallelamente allo svolgersi della trama principale. Per quel che riguarda gli attori, Jessica Chastain ha troppo poco spazio e Sam Worthington rifà ancora una volta il duro ma più serio, mentre si rivela perfetta la scelta di Jeffrey Dean Morgan. Una scelta già felice sulla carta per l’aspetto grave e potente della sua figura, confermata da una recitazione sfaccettata e nervosa, che pone il personaggio un gradino sopra gli altri. In conclusione ci si trova di fronte una storia in sé comune, messa in scena con la giusta emotività e una mano interessante. Mano che però deve ancora migliorare, per affrancarsi dall’etichetta di “Figlia del Maestro”.


Titolo: Le paludi della morte (Texas Killing Fields)
Regia: Ami Canaan Mann
Sceneggiatura: Don Ferrarone
Fotografia: Stuart Dryburgh
Interpreti: Jessica Chastain, Chloe Moretz, Sam Worthington, Jeffrey Dean Morgan, Stephen Graham, Annabeth Gish, Sheryl Lee, Jason Clarke, Donna Duplantier, Leanne Cochran, Sean Michael Cunningham, Becky Fly, D’Arcy Allen, James Hébert
Nazionalità: USA, 2011
Durata: 1h. 49′


Percorsi Tematici

  • Non ci sono percorsi tematici collegati a questo articolo.
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  

Attualmente ci sono 4 commenti a questo articolo:

  1. Plissken ha detto:

    Condivido quanto espresso in recensione con riferimento alle note dolenti della pellicola. Francamente si è rivelato uno dei film sul genere più tediosi che abbia visto negli ultimi tempi. Non sono riuscito (mea culpa?) ad emozionarmi in nessunissima circostanza, una miccia lunghissima per un petardo che alla fine fa cilecca.

    Sicuramente alcuni singoli aspetti riferiti alla regia, fotografia e commento musicale hanno una certa intrinseca valenza e si può intuire un certo talento della regista, ma in questo frangente in tutta onestà credo abbia fatto un passo più lungo della gamba: sarebbe stato meglio concentrarsi su di un’unico caso, anziché immettere forzatamente più vicende per nulla collegate tra loro e soprattutto estremamente banali. Concordo sulla buona caratterizzazione dei personaggi, peccato però siano a supporto del nulla.

    Per quel che mi riguarda semaforo rosso fuoco.

  2. Marco ha detto:

    Concordo sia con la recensione che col commento di Plissken fra pregi e difetti.
    Una maggiore “pulizia” di sceneggiatura e un più accurato montaggio ne avrebbero sicuramente giovato.
    Direi prevedibile visto al giorno d’oggi, saltato fuori direttamente dagli anni ’90, ma in compenso una discreta regia (i finti piano-sequenza iniziali) e le buone interpretazioni dei protagonisti (i secondari non mi sono piaciuti, troppo sopra le righe) fanno guadagnare punti.
    Troppo poco sfruttate le ambientazioni delle paludi, vere protagoniste del film dove bisognava puntare un pò di più, anche per creare la giusta tensione che latita.
    Per i miei gusti troppo lento, come bene o male i film di Mann Sr.

  3. Michele ha detto:

    Mi ha fatto venire i bruciori di stomaco per come ha sciupato l’occasione. Un’ottima regia, ottimi interpreti, un uso sapiente di fotografia e colonna sonora… tutto ciò al servizio di una sceneggiatura incredibilmente pasticciata che riesce a rendere incomprensibile una storia lineare.

    In più (no, anzi, in meno), un finale poco soddisfacente dal punto di vista del “genere”, che ti puoi permettere solo se sai portare un plot tradizionale a un diverso livello di lettura. E questo non è decisamente il caso.

    Insomma, un vero miracolo al contrario. Mi sono segnato il nome dello sceneggiatore, Don Ferrarone, alla prima sceneggiatura dopo diversi film firmati come produttore. Se potessi, lo prenderei da parte e gli direi: “Offelee, fa el tò mestee”. Per i non milanesi: “Pasticciere, fa’ il mestiere tuo”.

  4. Alberto Cassani ha detto:

    Il problema è che questo era fatto e finito il classico film di genere di medio cabotaggio, intrecci troppo cervellotici non avrebbero dovuto essere neanche presi in considerazione. Il fatto che Ferrarone fosse alla prima sceneggiatura a maggior ragione avrebbe dovuto convincere i produttori a volare basso. Ma evidentemente ci credevano.

Scrivi un commento

Devi essere autenticato per inserire un commento.