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"Hotel Rwanda": incontro con Terry George e Paul Rusesabagina

8 marzo 2005 Interviste 0 Commenti
Hotel Rwanda

8 Marzo 2005

In occasione dell’uscita italiana del film, il regista Terry George e il protagonista delle vicenda reale che ha ispirato la pellicola hanno incontrato la stampa milanese in un’affollata conferenza stampa in cui ovviamente non si è parlato solo di cinema…


Paul Rusesabagina e Don Cheadle sul set di Hotel RwandaMonsieur Paul, all’inizio del film si ha quasi l’impressione che la situazione reale del paese, in fondo, le importasse poco. Lei teneva alla sua famiglia, e non voleva occuparsi dei problemi degli altri…
Paul Rusesabagina: E’ vero. All’inizio mi preoccupavo soprattutto per la mia famiglia, non mi importava quello che avveniva intorno a noi. Credo di essere stato molto ingenuo, perché non mi rendevo conto di cosa stesse accadendo. Per lo meno fino alla mattina del 7 Aprile 1994, il primo giorno del genocidio, quando vidi alcuni miei vicini di casa indossare delle uniformi, armarsi di pistola ed uccidere altri nostri vicini. Quello fu il momento in cui capii cosa davvero stava succedendo, e iniziai subito ad accogliere i nostri vicini in casa nostra. Tre giorni dopo stavo nascondendo 26 persone, così dovetti portarli nell’albergo.

Il regista Terry George sul set di Hotel RwandaUna domanda al regista Terry George: come e quando ha conosciuto la storia di Paul Ruresabagina?
Terry George: Nel 2000 stavo scrivendo un film sulla guerra civile della Liberia perché pensavo che Hollywood avesse sempre voluto evitare di trattare la complessa situazione africana. Quello script era sostanzialmente un film di guerra, e durante quel lavoro Keir Pearson mi ha proposto l’idea di raccontare la storia di Paul. Sono andato a Bruxelles per incontrarlo e poi ci siamo trasferiti a New York, dove siamo rimasti per cinque giorni nel mio appartamento a parlare di quanto gli era successo. Lì ho capito che quello era il film che dovevo fare, perché poteva essere sviluppato su più piani. Da un lato c’era la storia politica del Ruanda, dall’altro c’era il bellissimo rapporto tra Paul e la sua famiglia e da un altro lato ancora gli eventi che si svolgevano all’interno dell’Hotel ci davano la possibilità di costruire il film come fosse un thriller, perché appena una cosa sembrava risolta un’altra si complicava e si ripresentava una situazione di emergenza. Sarrebbe stata chiaramente una pellicola dalle molte potenzialità, sia a livello filmico che a livello di messaggio politico, ma le difficoltà nel reperire i finanziamenti sono state molte. Tutti gli Studios di Hollywood ci dicevano che la sceneggiatura che io e Keir avevamo scritto era molto bella ma non gli interessava. A quel punto abbiamo deciso di finanziare il film in maniera indipendente.

Nei suoi lavori precedenti lei ha sempre cercato di trasmettere messaggi ben precisi, sia con la sceneggiatura di “Nel nome del Padre” che con la regia di “Una scelta d’amore”. Crede che questo film sia sufficiente per trasmettere un messaggio forte su questo argomento?
Terry George: Secondo me la forma più forte della narrazione cinematografica è prendere un evento politico e trovare un soggetto che possa farci da guida, che possa diventare gli occhi e le orecchie del pubblico e guidarlo davvero all’interno di questo evento. In questo caso il personaggio di Paul è l’esempio perfetto di questa tecnica, perché fa capire agli spettatori che non si tratta di una guerra tra due tribù di selvaggi ma di una situazione politica estremamente complessa e ci mostra come un normale essere umano possa scavare dentro se stesso e trovare il coraggio morale di ribellarsi a quella situazione. Poi, politicamente volevo che tutto l’Occidente provasse vergogna per come abbiamo lasciato che quelle persone fronteggiassero un orrore simile, qualcosa che avremmo potuto fermare molto facilmente perché c’era già un contingente militare in Ruanda. Negli Stati Uniti il film ha suscitato reazioni molto forti, e questo ci permette anche di collegare la situazione del Ruanda di dieci anni fa con quella attuale del Sudan e richiamare l’attenzione sulla realtà di quel paese.

Una scena di Hotel RwandaQual è stato il motivo che l’ha portata a non rappresentare in maniera grafica gli atti di violenza più cruda?
Terry George: Ci sono essenzialmente due ragioni. Innanzi tutto ero convinto di poter essere più efficace nel creare la suspense necessaria e nel far riflettere gli spettatori sulle implicazioni della violenza in questo modo che non mostrando di più. Questo anche per via della natura della violenza utilizzata nel corso del genocidio: la maggior parte delle persone è stata uccisa con i macete, e l’unica scena che mi viene in mente che propone una cosa simile è la macellazione del bufalo in Apocalypse Now. Il secondo motivo è che volevo che il film potesse arrivare anche ai ragazzi dei licei e delle università e a tutti coloro i quali sarebbero stati allontanati da un divieto della censura. Negli Stati Uniti, la combinazione della parola “Rwanda” nel titolo con un divieto ai minori avrebbe tenuto lontano il pubblico.

Sophie Okonedo in una scena di Hotel RwandaDurante il genocidio in Ruanda molte donne sono state violentate, come viene brevemente accennato nel corso del film. Qual è la loro situazione attuale?
Paul Rusesabagina: Il genocidio ruandese del 1994 ha lasciato un milione di morti, mezzo milione di orfani e molte donne violentate. Alcune di queste hanno contratto l’AIDS, molte hanno avuto delle gravidanze indesiderate a causa di quegli stupri. E questi bambini innocenti non conosceranno mai i loro padri, mentre le loro madri si rifiutano di riconoscerli. Noi stiamo cercando di aiutarli, per quanto possibile: ho creato una Fondazione, che ha un suo sito internet, per cercare di aiutarli a studiare. Se non vanno a scuola, se non imparano nulla, finiranno per diventare teppisti da strada. Adesso hanno poco più di dieci anni, vuol dire che tra due anni dovrebbero andare alle scuole medie. Se non li aiutiamo finiranno per essere un’altra generazione perduta. Dobbiamo farli andare a scuola e far avere loro un futuro migliore, perché loro sono quelli che guideranno il paese nei prossimi anni.
Terry George: Per quanto mi riguarda, queste donne e questi bambini sono un esempio particolarmente forte di quello che sta succedendo in giro per tutta l’Africa, soprattutto per quanto riguarda l’AIDS. Io credo che l’evento principale che ci può far capire quanto l’Occidente sia ipocrita sia stata la risposta al disastro dello Tsunami. L’Occidente ha raccolto 5 miliardi di dollari e molti governi hanno portato aiuti diretti al sud-est asiatico grazie alle loro navi e ai loro aerei, mettendo così in moto tutte le ricostruzioni che stanno avendo luogo su quelle coste. Se anche solo una di quelle navi fosse ancorata vicino alle coste del Sudan avremmmo fatto un enorme passo avanti per risolvere la situazione a Darifur, se alcuni di quei soldi fossero stati investiti nel Ruanda o se alcune di quelle forze fossero state mandate in Congo avremmo visto una situazione molto diversa. Secondo me tutto questo si può definire come un “razzismo istituzionale” di noi occidentali, che abbiamo la convinzione che la vita in Africa valga meno che nel resto del mondo. Durante la lavorazione di questo film abbiamo eleborato una formula matematica secondo cui 18 soldati statunitensi e 10 soldati belgi valgono più di un milione di ruandesi. Perché questo è quello che è successo, ed è per questo che metà della popolazione ruandese crescerà orfana o malata.

“Dietro” al film sembra esserci un’importante problematica, il colonialismo. Sono stati i coloni belgi a creare la divisione tra Hutu e Tutsi, ma anche nel resto dell’Africa il colonialismo ha fatto dei danni notevoli. Probabilmente nel voler aiutare il resto del mondo ma non l’Africa c’è anche la volontà di nascondere le colpe di noi europei nella gestione dell’Africa…
Terry George: Buona parte del benessere del continente europeo deriva dallo sfruttamento dell’Africa operato dai coloni negli ultimi due secoli, e sicuramente l’attuale situazione economica degli Stati Uniti è stata costruita sulle spalle degli schiavi africani. Non c’è dubbio che il mondo occidentale abbia un enorme debito nei confronti dell’Africa, e credo sia giusto che quanto è stato portato via dall’Africa le sia restituito. A mio parere il cinema dovrebbe provare a stimolare il pensiero politico così come l’emotività del pubblico. In questo caso era mia intenzione spiegare il ruolo dei belgi nella creazione di questa forma di apartheid, attraverso la creazione di un’aristocrazia Tutsi e una classe proletaria Hutu indicata nelle carte d’identità. E dopo aver creato animosità tra i due gruppi, hanno abbandonato il Paese senza tentare alcuna riconciliazione. In effetti, il cinema dovrebbe occuparsi di più dell’Africa, perché secondo me l’Africa è il Medio Oriente che sta per succedere. Immaginate se Nelson Mandela fosse stata una forza del Male invece che del Bene, se fosse stato un altro Osama bin Laden. Pensate alla quantità di odio che avrebbe potuto liberare per tutte le persone che sono morte, pensate alla rabbia che avrebbe potuto incanalare contro l’Occidente… Questo bisognerebbe provare a spiegarlo, nel cinema.

Una scena di Hotel RwandaCosa ne pensa di ciò che è stato fatto dalle Nazioni Unite con la Corte Internazionale, nel tentativo di fare Giustizia?
Paul Rusesabagina: Credo che quanto è stato fatto finora dalle Forze Internazionali sia stato molto poco efficace, anche per quanto riguarda l’operato della Corte Internazionale. Negli ultimi dieci anni sono state processate soltanto 25 persone, e il costo totale di questi processi ammonta ad un miliardo di dollari! Anche quanto è stato fatto internamente al paese non è proporzionale ai fatti avvenuti nel 1994, se pensate che la maggior parte delle persone arrestate per quello che hanno fatto durante il genocidio non è stata ancora processata. Devo dire che Giustizia non è stata ancora fatta.

E’ più tornato in Ruanda, dopo il 1994?
Paul Rusesabagina: Sì, ci sono tornato due volte dopo il 2003. La prima volta ci sono tornato nel febbraio di due anni fa insieme con Terry, quasi come fossi un suo bagaglio… Sono stato molto colpito dall’accoglienza che mi è stata riservata: un sacco di persone sono venute a salutarmi all’aeroporto, molti piangevano, molti mi hanno abbracciato… Mi sono emozionato moltissimo. Ma nei giorni successivi abbiamo girato per il Paese, siamo andati a vedere le aree delle colline nelle quali ero cresciuto e le zone rurali, e mi sono reso conto che tutti i progetti di sviluppo che c’erano prima del genocidio erano andati completamente distrutti e che la gente era ancora spaventata. La ricostruzione di cui il popolo ruandese ha bisogno è sul tavolo dei negoziati: bisogna mettere gli Hutu e i Tutsi attorno ad un tavolo e farli discutere fino ad arrivare ad un trattato di pace. Un trattato che era già stato firmato il 4 Agosto del 1993 in Tanzania, ma che un anno dopo nessuno ricordava più. Oggi abbiamo cambiato i ballerini, ma la musica è sempre la stessa.

Una scena di Hotel RwandaVerso la fine del film, il protagonista ha uno scontro verbale con il Generale dell’esercito ruandese perché vuole tornare a tutti i costi dalla propria famiglia. Quel dialogo è accaduto veramente? E possibile che in situazioni simili, le persone pensino a cosa potrebbe succedere loro alla fine di tutto, alla possibilità di venir condannata per crimini contro l’Umanità?
Paul Rusesabagina: Quel dialogo tra me e il Generale è avvenuto il 17 Giugno 1994, e quella che avete visto è una cronaca fedele di ciò che è davvero accaduto anche se la successione degli eventi è diversa. La milizia Hutu stava uccidendo i rifugiati che si nascondevano nelle Chiese, e sapevo che sarebbero presto arrivati all’Hotel des Mille Collines per uccidere tutti quelli che ci stavano dentro. Chiesi al Colonnello Renzaze qualche soldato come protezione per l’albergo, ma lui rispose che i suoi soldati erano tutti impegnati in combattimento, che quei pochi che non stavano combattendo dovevano rimanere a guardia dei palazzi degli ufficiali. Allora io gli dissi: “Amico, un giorno io e te dovremo fare i conti con la Storia. Quando tutto questo sarà finito – perché finirà – come spiegerai la risposta che mi hai appena dato?”. Tornammo al Mille Collines con il Generale Bizimungo e lì tutto accadde esattamente come avete visto: il Generale girò tutto l’albergo per assicurarsi che non venisse fatto del male a nessuno. Ricordo che disse ad una delle sue guardie del corpo “se qualcuno della milizia uccide un civile, io uccido lui”.

Il personaggio di Gregoire è un’invenzione o è esistito davvero?
Terry George: C’erano diversi Hutu che lavoravano all’albergo e che decisero di occupare le stanze migliori e bersi tutto lo champagne, poi iniziarono a passare informazioni riguardo gli ospiti dell’albergo all’esercito e alla milizia. In particolare, la scena del convoglio di camion con Tatiana che viene evacuata è fedele passo per passo alla realtà, con gli informatori che avvisarono la radio e la radio che comunicò il percorso del convoglio. Riuscirono a fuggire solo perché un membro della milizia sparò accidentalmente ad un soldato Hutu. Quello scenario è estramemente simile alla realtà, come lo è la maggior parte degli eventi che avvengono all’interno dell’Hotel. I cambiamenti maggiori riguardano i personaggi occidentali, che sono tutti la fusione di più personaggi reali. L’unico vero cambiamento si trova nella scena in cui Paul va a comprare i viveri dal capo della milizia e ritornando all’albergo vede tutti quei cadaveri stesi in mezzo alla strada: quella cosa è accaduta molto dopo ma ho dovuto anticiparla per fare in modo che il pubblico capisse cosa stava succedendo, perché capisse cosa davvero fose quel genocidio.

Don Cheadle in una scena di Hotel RwandaCome si è sentito quando ha visto il film?
Paul Rusesabagina: E’ dal 1994, da subito dopo il genocidio, che i giornalisti e gli scrittori vanno in Ruanda per poter testimoniare quello che in realtà non hanno visto. Tutti si sorprendono di scoprire che al Mille Collines si nascondevano più di 1.200 persone e nessuno andava a prenderle, nessuno cercava di ucciderle. Tutti i libri che sono usciti a proposito del genocidio parlano dell’Hotel des Mille Collines, così era naturale che prima o poi ci si sarebbe fatto un film. All’inizio fui contattato da diversi documentaristi e da altri registi, ma non si riusciva mai a mettersi d’accordo. Però continuavo a parlare della mia esperienza, a raccontare cosa mi era successo, e per me è stata una specie di terapia. Così, quando il film è uscito io ero in realtà già abituato a trattare l’argomento, eppure… penso di averlo visto un centinaio di volte, ormai, e ogni volta riesce a riaprire le mie ferite…


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