Stai leggendo:

"Brazil" di Terry Gilliam

6 luglio 2003 Recensioni 25 Commenti
Brazil

20th Century Fox, 23 Agosto 1985 – Psichiedelico

«Un luogo qualunque del XX secolo». Un piccolo impiegato fugge dal regime totalitario in cui vive sognando di essere un Eroe alato che vive una storia d’amore con una donna dalla forma angelica, salvandola da un enorme e cattivissimo mostro. Nel mondo reale uno scarafaggio – un bug – manda in corto i computer…


Una scena di BrazilSulla scia di 1984 e con l’opera di Kafka bene in mente, l’ex Monty Pyton Terry Gilliam realizza un film carico di humour nero e sorprendente nella struttura drammaturgica come in quella visuale. Ricca di citazioni cinefile ma soprattutto di riuscitissime trovate comiche e di pungenti spunti satirici, Brazil è un’opera complessa e originale, a tratti confusa ma spesso geniale. La capacità di Gilliam di costruire lo spazio scenico e riprenderlo nel modo più efficace possibile è a tutt’oggi insuperata, e la sua idea di presentarci il film come fosse un’opera della cultura psichedelica degli anni Sessanta è ciò che permette alla pellicola di avere il fascino che ha, quello della fantasia sconfinata del suo regista. Ma è anche ciò che ha convinto gli executive della Universal a tenerla a lungo nel cassetto, distribuendola poi in versione tagliata negli Stati Uniti.

Una scena di BrazilJonathan Pryce offre quella che è probabilmente la migliore interpretazione della sua carriera e Robert De Niro fa poco più di un cameo, riuscendo comunque a disegnare il proprio personaggio come l’unico vero Eroe del film, ben più importante del Sam onirico.

Nomination all’Oscar per sceneggiatura originale (di Gilliam, Tom Stoppard e Charles McKeown) e scenografie (Norman Garwood), oltre che per musica, suono e canzone.

Steven Soderbergh usò il nome del protagonista di questo film, Sam Lowry,  come pseudonimo del suo lavoro di sceneggiatore di Schizopolis, film che allo sperimentalismo narrativo di Brazil deve certamente qualcosa.


La locandina statunitense di BrazilTitolo: Brazil (Id.)
Regia: Terry Gilliam
Sceneggiatura: Terry Gilliam, Charles McKeown, Tom Stoppard
Fotografia: Roger Pratt
Interpreti: Jonathan Pryce, Robert De Niro, Katherine Helmond, Ian Holm, Bob Hoskins, Michael Palin, Ian Richardson, Peter Vaughan, Kim Greist, Jim Broadbent, Barbara Hicks, Charles McKeown, Derrick O’Connor, Kathryn Pogson, Bryan Pringle
Nazionalità: Regno Unito, 1985
Durata: 2h. 16′


Percorsi Tematici

  • Non ci sono percorsi tematici collegati a questo articolo.
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  

Attualmente ci sono 25 commenti a questo articolo:

  1. Riccardo ha detto:

    Concordo con la recensione, un film veramente particolare e molto surreale. l’ho comprato ieri e l’ho visto oggi.
    la durata è di 2 h e 16.
    il finale penso di averlo capito: tutte le scene che partono dalla sparatoria finale sono tutte frutto dell’immaginazione di sam e quindi anche Tuttle.

  2. Alberto Cassani ha detto:

    Sì, non ricordo esattamente quando si abbandona la realtà, ma quello è il significato del finale. La durata è vero, grazie: facendo copia e incolla dal sito vecchio m’era rimasto fuori il 6.

  3. Guido ha detto:

    Splendido.

  4. Riccardo ha detto:

    E pensare che il Jonathan Pryce che vola non è altro che un pupazzetto ( a parte i primi piani ).

  5. Alberto Cassani ha detto:

    E vabbé, pure Gesù in croce non era Jim Caviezel…

  6. Riccardo ha detto:

    Sì, infatti per i campi lunghi, ricordo di aver letto che impegavano un manichino simile tutto per tutto a Caviezel.

  7. Anonimo ha detto:

    Una cosa non mi è chiara però: com’è che De Niro è ingoiato dai giornali?

  8. Alberto Cassani ha detto:

    Se ticordo bene, il personaggio di De Niro è completamente immaginato dalla mente del protagonista, quindi la sua sparizione dev’essere letta in senso figurato. Ossia, se vogliamo, lo spirito ribelle dell’uomo viene sommerso dalla burocrazia e dalle scartoffie.

  9. Riccardo ha detto:

    Io ricordo anche una battuta di De Niro, verso il 26° minuto che diceva:

    “Che cos’è che non posso sopportare?
    I pezzi di carta: odio la burocrazia. Ascolti: tra un po’ di tempo, grazie al vostro bellissimo sistema, non si potrà più aprire un rubinetto senza riempire un 27B/60. Be’, a me non mi fregate.”

    Quindi non posso che dare ragione ad Alberto.

  10. Alberto Cassani ha detto:

    Tra l’altro, mi pare che Tuttle prima di diventare un idraulico fuorilegge fosse proprio un passacarte come il protagonista.

  11. Riccardo ha detto:

    Anche io ricordo questo particolare.

    Alberto, io non ho letto 1984 a cui questo film è ispirato, tu invece lo hai letto? Se lo hai letto come ti è sembrato?

  12. Alberto Cassani ha detto:

    Il libro è molto bello, ma non ha niente a che vedere con questo film se non per la raffigurazione di un futuro distopico e spersonalizzante. Ma è una visione comune a moltissimi romanzi e soprattutto film di fantascienza, compreso ad esempio “V per Vendetta”.
    Di “1984” ha fatto una versione cinematografica Michael Radford (quello de “Il postino”) con John Hurt, che tra l’altro esiste in due versioni con finale diverso.

  13. Plissken ha detto:

    Il “1984” di Radford a mio avviso è un ottimo film, ma è praticamente sconosciuto qui in Italia (almeno a quel che mi risulta…) e proprio non ne capisco la ragione.

    Brazil lo reputo un capolavoro, imperdibile. Inoltre, ha avuto una buona recensione perfino dal Cassani che se non erro non ama granché Gilliam… 😀

  14. weach illuminati ha detto:

    un ciao a tutti voi
    La filmografia va collocata nel genere distopico , che prospetta una società indesiderabile , oscura sotto tutti i punti di vista.
    Appartengono sicuramente al genere Metropolis il capolavori di Fritz Lang;
    La vita futura di Willem Cameron Menzies;
    Nel duemila non sorgerà il sole di Michael Anderson che fu la prima trasposizione del romanzo 1984 di George Orwell;
    Orwell 1984 tratto anch’esso dall’omonimo romanz0 dal citato romanzo;
    l’uomo che visse nel futuro di George Pal;
    La macchina del tempo di H.G Wells;
    fahrenheit 451 splendido di Francois Truffaut ;
    l’ultimo uomo sulla terra di Sidney Salkow tratto dal romanzo Io sono leggenda di Richard Matherson ;
    Il pianeta delle scimmie di Franklin J. Schaffner tratto dall’omonimo romanzo ;
    gli occhi bianchi sul pianeta terra di Boris Sagal;
    l’uomo che fuggì dal futuro di George Lucas ;
    Arancia meccanica di Stanley Kubrick ;
    Blade Runner di Ridley Scott ;
    1997 fuga da New York;
    L’esercito delle 12 scimmie , stupendo film Terry Gilliam ;
    Gattaca la porta dell’universo di Andrew Niccol ;
    Matrix dei fratello Wachowschi ;
    Equlibriumdi kurt Wimmer ;
    V per vendetta di James Mc Teigue;
    il futuro ha inizio di karim Kusama ;
    The island di Michael Bay ;
    Io sono leggenda di Francis Lowrence
    Mi fermo qui dovendo ,per questiono di spazio e d esigenza di sintesi , dimenticare qualche altra pellicola comunque attinente.
    Gilliam, regista del film Brazil del 1985, trae ispirazione per il suo lavoro del romanzo di George Orwell del 1949;
    é film quasi in concomitanza con quello inglese Orwell 1984.
    Due film completamente diversi; In Brazil l’impostazione immaginaria e scenica prende il sopravvento sul messaggio critico verso una società dittatoriale prossima ventura ; (questo è un caso di forma che supera la sostanza diviene lei sostanza ).
    Orwell 1984 non gioca con il fuoco e con senso introspettivo, comprende il dramma del rischio dittatura dando vita ad un film affascinate per profondità, durezza , fermezza ed umanità .
    Con franchezza problemi concrete ed attuali come il pericolo derivante dalla gestione del potere meritano un linguaggio appropriato che è quello del rispetto.
    Rischia Terry Gilliam di mettere in dubbio il suo convincimento circa la realtà di un pericolo di prossima o imminente di una svolta autoritaria del sistema sociale.
    Brazil lascia perplessi per il suo linguaggio improprio, dispersivo , fuorviante , quasiin mala fede:è farsa di una verità in atto e ciò ci addolora.
    Poi riflettendo e pensando a Gilliam ch è un grande creativo giocoliere , non possiamo che perdonarlo .
    Brazil va visto quanto meno per le immagini suggestive e creative che ci vengono proposte!!!!!!!!!!!!!!
    Ma non è capolavoro, come qualcuno vorrebe farci credere,Terry Gilliam ha fatto di meglio .

    buona visone

    weach illuminati

  15. Plissken ha detto:

    A me “1984” di Radford è piaciuto: l’approccio del regista, minimale e ponderato, ha sollevato le critiche di molti che hanno imputato al film uno scarso vigore: personalmente non sono d’accordo, il film potrebbe apparire di primo acchito scolorito, ma vi sono molte sfumature che rivelano il dramma in maniera tutt’altro che fioca. Se dovessi dargli un voto, almeno un 7 e mezzo.

    Brazil invece è all’opposto: esagerato, un caleidoscopio in moto perpetuo. Ma nonostante l’aura di visionarietà e la stesura grottesca, propria comunque dell’ex Monty Python, ritengo abbia un’energia ed un nerbo “concettuale” difficilmente riscontrabili in un film. Per quanto l’impronta data sia palesemente rivolta verso un profilo onorico e/o surrealista, ciò che sfocia nell’impatto finale risulta devastante nella sua crudeltà: nessun compromesso, nessuna speranza, il singolo individuo non conta (per propria colpa?), l’unica fuga è il rifugiarsi nei propri sogni.
    Direi almeno un bel 9 pieno, e considerata la media… per i miei gusti capolavoro lo è. 🙂

  16. Sebastiano ha detto:

    Molto interessante il tuo elenco, weach; li ho visti quasi tutti, rimediero’ per quelli segnalati che mi mancano.
    Non posso fare a meno di segnalare che manca The Road

  17. weach illuminati ha detto:

    Per Plissken e ed un ciao caloroso
    Sebastiano
    Addeso Plissken
    Orwell 1984 è un grande film per palati attenti che non ebbe molta diffusione solo perché fu osteggiato dalla politica; molto fedele all’omonimo romanzo è vero capolavoro per intensità , forza ed grande vibrazione di umanità.
    Quindi caro Plisske sono completamente con te .Gilliam con Brazli , pur ripoercorrendo i il citato romano , resta sopraffatto dalla sua creatività e perde ujn poco di vista l’incisività ch è presente in Orwel 1984.
    ———————————————————————————————————————————————
    per Sebastaino ed un ciao caloroso
    Non sono qui per fare per dire cose troppo pedanti; forse ho ecceduto nell’elenco e dimenticato il tuo The Road che umilmente non conosco…………………..del resto chi può dire di conoscere tutti i film ?. Comunque grazie per il tuo apprezzamento e ., ……….a presto
    ——————————————————————————————————————————————-
    un saluto è di dovere per il grande padrone di casa a cui va tutto il mie rispetto e stima
    cia caro grande Alberto Cassani

  18. Mirko ha detto:

    Rivisto stasera. Mi emoziona ogni volta. Inoltre in questa pellicola la visionarietà di Gilliam si sposa perfettamente con il tipo di film, anche meglio del sopravvalutato “Paura e delirio a Las Vegas”… il che è strano, dato che in quel film aveva più la mano libera di “scatenarsi” con le sue visioni!

  19. Luca ha detto:

    Ciao Alberto,
    è capitato abbastanza raramente che fossi in disaccordo con te, però in questo caso sono rimasto molto deluso. Il cinema di Gilliam mi ha sempre “affascinato”, in un certo senso, ed era da molto che volevo vedere questo suo film.
    Purtroppo già alla metà ho cominciato a voler vedere i titoli di coda, sembrerò blasfemo ma ho trovato Parnassus e Fuga e Delirio molto superiori. E’ strano perché questo genere di film “sognanti” mi ha sempre colpito, mentre in questo caso è stata proprio una doccia gelata.
    In particolare ho trovato disarmantemente banale lo humor del film, anche se forse avrei dovuto vedere il film negli anni 80, e alcune situazioni mi sono sembrate eccessivamente stereotipate e insistite.

    Concordo però sulle qualità della regia, che è di fatto il motivo principale per cui sono arrivato alla fine, insieme a De Niro.

    Ciao a tutti

  20. Donato ha detto:

    Brazil, come anche Zardoz, sono film film di fantascenza fuori da ogni schema e stereotipo, in cui è la componente sperimentale, applicata sia alla sceneggiatura che alle tecniche di ripresa, di regia e di montaggio, che li rende assolutamente unici.

    Purtroppo, come tutti i film di fantascenza, anche Brazil è invecchiato precocemente e a vederlo oggi non fa certo più l’effetto che faceva negli anni ’80 (quando l’ho visto io). Ciononostante, penso che la vena smaccatamente satirica del film, che sconfina spesso nel grottesto, consentono ancora oggi di apprezzarne le qualità, quantomeno rispetto ad altri vecchi film di fantascenza che sono stati impostati su di uno stile di narrazione più “serio”…

  21. Alberto Cassani ha detto:

    Luca, come ha scritto Donato la fantascienza è il genere cinematografico più rapido a invecchiare, sia per gli sviluppi delle scoperte tecniche e scientifiche sia per il cambiamento del nostro immaginario e dei suoi riferimenti. Di conseguenza, paragoni tra film con temi o impianti comuni ma separati tra loro da decenni vanno solitamente sempre a favore del più recente. Però ritengo che nella filmografia di Gilliam “Brazil” sia il film più compiuto tra quelli che mettono in scena le sue idee psichedeliche. Al contrario “Paura e Delirio a Las Vegas” non m’è proprio piaciuto (“Parnassus” invece è successivo alla scrittura di questa recensione, quindi è chiaro che non potessi paragonare le due pellicole).

  22. Luca ha detto:

    Probabilmente mi sono espresso male, non volevo mettere in atto un paragone ma semplicemente esprimere il fatto che avessi preferito un film, che io stesso reputo mediocre, a questo su cui avevo tante aspettative.
    Sinceramente non so quanto gli effetti grafici, o in generale l’invecchiamento del genere, abbiano influito, ma non credo più di tanto dato che la “critica”, o quel che è, che ha espresso Gilliam riguardo la tecnologia mi è anche piaciuta.
    Il problema dal mio punto di vista è stato proprio un ricorso continuo ad un umorismo che non saprei definire diversamente da banale. I vari sketch, ad esempio quello della musica in ufficio a inizio film, o quello dove il protagonista resta attaccato al camion della ragazza mi hanno fatto storcere il naso per la loro assurdità e, contemporaneamente, mancanza di risata. Del resto credo che questo sia veramente uno dei film più crudi di Gilliam, e vederlo flagellato con una satira mutata in umorismo boldiano mi ha fatto male.

    Per tentare un paragone un po’ più vicino, ritieni davvero che questo film sia più compiuto rispetto all'”esercito delle dodici scimmie”

    Saluti

  23. Alberto Cassani ha detto:

    Più compiuto non lo so, ma dà l’impressione di essere più selvaggio, meno calcolato. Le 12 scimmie è una via di mezzo tra la psichedelia tipica di Gilliam e un più canonico film sui viaggi nel tempo, non fa totalmente parte della categoria di brazil. Qui è vero che alcuni momenti comici non funzionano (poi bisognerebbe capire se potevano funzionare all’epoca), ma alcune cose invece sono geniali. L’idea era probabilmente di fare una specie di Barone di Munchausen politico invece che morale, e quindi il tono tra il semiserio e il macchiettistico era perfetto. Poi, ripeto, è chiaro che quando si mettono in scena determinati momenti comici alienare lo spettatore è un attimo…

  24. Marco ha detto:

    D’accordo con la recensione di Albe.
    Averlo visto solo adesso posso constatare che molte opere, fra film e fumetti, si siano chiaramente ispirati a “Brazil” per la sua originale visionarità di un nostro verosimile, probabile futuro.
    Vi ho visto anche una critica al consumo di massa (ed il fatto che si ambienti nel periodo natalizio mi ha aiutato a pensare ciò).
    Qualche lieve rallentamento del ritmo in alcune scene nella parte centrale è l’unica pecca che ho ravvisato.
    Come per ogni film di Gilliam o lo ami o lo odi. Di sicuro si lascia ricordare.

  25. Anonimo ha detto:

    Brazil è un film del 1985 diretto da Terry Gilliam.
    E’ ambientato in un futuro prossimo distopico, in cui la burocrazia e il cinismo dei potenti opprimono ogni attività dell’uomo, uccidendo coloro che tentano di ribellarsi. Questo lo classifica come un film di fantascienza, grottesco e drammatico.
    E’ il secondo film della “trilogia dell’immaginazione”, di cui fanno parte I banditi del tempo (1981) e Le avventure del barone di Munchausen (1988).
    Pare che un giorno Terry Gilliam stesse facendo una passeggiata lungo la spiaggia di Port Talbot, un grande polo industriale, quando ebbe l’ispirazione per Brazil osservando lo scenario intorno a lui: dall’altoforno della città si era sprigionata una polvere scura che aveva ricoperto ogni cosa, spiaggia compresa, creando un contrasto fortissimo col sole al tramonto che tingeva il cielo di un bellissimo rosso fuoco. In quell’istante nella mente di Gilliam si formò l’immagine di un vecchio, seduto su una sdraio a bordo della spiaggia, intento ad ascoltare Aquarela do Brasil alla radio, brano che gli permette di evadere dalla realtà ed immaginare un mondo meno lugubre attorno a sè: il film era nato.
    Il soggetto è la chiara espressione dell’odio che Gilliam nutre verso le istituzioni e che gli causa infiniti problemi con ogni nuovo film. I produttori, le grandi major e la borghesia in generale vengono presi di mira e parodiati in un mondo filmico che è la rappresentazione grottesca del mondo di quel tempo che il regista non riesce ad accettare.
    Aiutato dallo scenografo Norman Garwood e dall’arredatrice Maggie Gray, il regista costruisce un futuro metropolitano impossibile da collocare temporalmente. Macchine ed elettronica imperano, certo, ma al tempo stesso le loro sembianze ricordano un passato anni 60, più che un’epoca immaginaria che deve ancora arrivare. Questo cortocircuito schizofrenico è una delle invenzioni più rivoluzionarie del film: ma a questo contribuiscono anche altri aspetti tecnici, dalla fotografia “oscurata” alla scelta dei costumi di scena, che oscillano tra un barocchismo futuristico improbabile e abiti classici che sembrano riciclati da qualche melodramma noir della Hollywood del Dopoguerra.
    Inizialmente Gilliam voleva intitolare il film 1984 1/2, in omaggio sia del romanzo di Orwell che di Fellini. Di 1984 viene mantenuta l’ossatura principale (creando un mondo opprimente e liberticida), ma per tutto il resto viene dato libero sfogo all’estro creativo.
    Il nome finale invece è dovuto alla canzone Aquarela do Brasil, composta da Ary Barroso e riplasmata in decine di versioni dal compositore Michael Kamen.
    Cresciuto nell’immaginario collettivo nel corso degli anni, “Brazil” fu addirittura sul punto di non vedere mai un cinema. La Universal ne tentò di rimontare il finale, tagliandone la durata e modificando in corsa la colonna sonora. Ma le poche copie in cui venne distribuito in anteprima in Europa cominciarono a diffondere un passaparola sulla portata dirompente di questo film di fantascienza, indefinibile e fuori da ogni inquadramento. Così, alla fine, la pellicola uscì regolarmente e il mondo si accorse di che cosa il cinema era capace di mettere in scena, di quanta potenza ci fosse nelle immagini riprese da una cinepresa e quanto fossero illimitate le possibilità che la Settima arte concedeva ai registi davvero coraggiosi.
    Alcune scene comiche come quella della casa completamente automatica o della lotta per la scrivania ricordano la commedia slapstick britannica (Charlie Chaplin), ma non si deve pensare a questo film come ad una parodia di 1984, al contrario, gli scenari cubisti e tetri, l’atmosfera malsana e l’ esasperazione della dimensione burocratica della società rendono Brazil un film sinistro ed inquietante.

    In questo film Gilliam dimostra anche una grande abilità nella direzione degli attori: il volto ordinario di Jonathan Pryce si addice alla perfezione al personaggio di Sam. I suoi occhi sono perennemente proiettati in una dimensione onirica. Robert de Niro inizialmente voleva interpretare la parte di Jack Lint, ma gli venne affidato il ruolo dell’elettricista-terrorista Harry Tuttle.

Scrivi un commento

Devi essere autenticato per inserire un commento.