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Cous cous di Abdellatif Kechiche

7 gennaio 2008 Recensioni 0 Commenti
Cous cous

Lucky Red, 11 Gennaio 2008 – Intenso WOW

Beiji è uno stanco pescatore vicino alla pensione, che quando per l’età è messo da parte deve cercare di reinventarsi per sé e per le sua famiglia (amante e di lei figlia compresa); così decide di aprire un ristorante di cous cous su una barca in rovina. Ma realizzare il progetto sarà impresa quasi epica…


Una scena di Cous cousE’ facile, o meglio comprensibile, parlando di un film, trovare le parole e le sensazioni per definire un capolavoro: si può parlare della perfezione della regia, la sublimità dello stile, l’intensità del racconto, l’acume della messinscena, la bravura degli attori. Tutto gira in tondo e funziona grandiosamente. Molto più difficile è definire filmicamente un colpo di fulmine, perché si rischierebbe di ricorrere a personalismi che non aiuterebbero il lettore. Ma di fronte a film grandi, intensi ed emozionanti come questo di Abdellatif Kechiche (Gran premio della giuria a Venezia quando tutti si aspettavano il Leone d’oro) è difficile non ricorrere ai superlativi e a non lasciarsi trascinare dalle emozioni, avvinti dalla verità di ciò che passa sullo schermo.

Una scena di Cous cousScritta dal regista adattando un vecchio copione con Ghalya Lacroix, Cous cous è una straordinaria commedia drammatica che mescola la coralità umanista e sociale di Robert Altman, lo spirito battagliero di Ken Loach e la sensuale verve marittima di Robert Guédiguian con uno sguardo profondo e totale sulla famiglia, sul mondo e sul cinema che è pura farina del sacco di Kechiche (che al terzo film dimostra di avere la stoffa del campione).

Habib Boufares in Cous cousAmbientato nella cittadina portuale di Sète, nel golfo del Rodano, vicino Montpellier, il film racconta la difficoltà e la bellezza della vita, i valori vitali di una certa tradizione popolare – soprattutto se d’origine nordafricana – messi in difficoltà dalla quotidiana spietatezza del mondo d’oggi, ucciso dalla fretta più che dalla cattiveria, dalla burocrazia più che dal cinismo. Un grande film sulla famiglia, i rituali e le radici, raccontato attraverso i sensi e la sensualità (il gusto, il tatto, la vista e l’eros), che però riesce a non fossilizzarsi mai su un unico sottotesto e schiva lo schematismo grazie a una profondità narrativa e stilistica che incantano.
Habib Boufares in una scena di Cous cousGià dalla prima sequenza di Cous cous, Kechiche evidenzia come i sensi e la carnalità dei piaceri di tutti i giorni siano una delle chiavi di lettura privilegiate per la comprensione del film, fatto di cibo, semola e cefalo (come recita il titolo originale, La graine et le mulet) come simboli di un desiderio di comunione e solidarietà in un mondo prossimo all’individualismo. Ma la grandezza filmica della pellicola sta nella meticolosa e ossessiva capacità di Kechiche di restituire la verità di luoghi, persone e azioni, sfrondando tutto il superfluo, reinterpretando fuori dagli schemi le convenzioni drammaturgiche, giocando con le attese dello spettatore e il tempo del cinema conformemente inteso.
Hafsia Herzi in una scena di Cous cousE così la superba, e letteralmente straordinaria, regia di Kechiche rimodella tempo e spazio filmici, fa coincidere le limpide immagini di una messinscena (neo)realistica con una gestione maniacale della suspense e dell’emozione cinematografica (come nella lunga e maestosa cena finale), si attacca agli incredibili primi piani dei suoi protagonisti e ne scava le emozioni per poi aprirsi alla semi-improvvisazione, al dialogo in overlapping che ben presto diventa mezzo per comunicare l’angoscia, negando allo spettatore vie di fuga (esemplari il pranzo della domenica, o al suo opposto – anche visivamente – lo sfogo di Julia). A supporto dell’impressionante lavoro “plastico” della regia, la sceneggiatura riesce a fondere perfettamente l’analisi della realtà e del quotidiano fluire (di sapore Dardenne) con una sapienza e una precisione nella costruzione del racconto, nell’organizzazione degli eventi, che rivelano un’abilità quasi hitchcokiana.

Hafsia Herzi e Habib Boufares in Cous cousUna “maratona sensoriale e intellettiva” lunga 150 minuti, ma che definire appagante è dir poco, che riesce a trasmettere tutto l’amore, viscerale ma non acritico, per una cultura e per i suoi personaggi, resi con straordinaria plausibilità da un gruppo d’attori quasi dilettanti (tra i quali spiccano Habib Boufares e Hafsia Herzi, premiata a Venezia) che semplicemente vivono sullo schermo. Un’opera sicura e magnifica, in cui il regista, dopo averci conquistato con la sua visione del cinema, ci fa innamorare con la sua visione del mondo lucida e speranzosa, aperta al futuro ma lottando nel presente, intima e universale, commovente. Come dicevamo prima, epica.


La locandina di Cous cousTitolo: Cous cous (La graine et le mulet)
Regia: Abdellatif Kechiche
Sceneggiatura: Abdellatif Kechiche
Fotografia: Lubomir Bakchev
Interpreti: Habib Boufares, Hafsia Herzi, Faridah Benkhetache, Abdelhamid Aktouche, Bouraouïa Marzouk, Alice Houri, Cyril Favre, Leila D’Issernio, Abdelkader Djeloulli, Bruno Lochet, Olivier Loustau, Sami Zitouni, Sabrina Ouazani
Nazionalità: Francia, 2007
Durata: 2h. 31′


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