"Gosford Park" di Robert Altman
Medusa, 8 Marzo 2002 – Accettabile
A Gosford Park si ritrovano alcuni nobili accompagnati dai rispettivi servitori, per non far altro che spettegolare, bacchettarsi e scambiarsi acide battutine. Ma tutti, nobili e servitori, saranno testimoni e sospettati di un delitto su cui cerca di far luce un investigatore di dubbio talento di Scotland Yard…
Presentato da trailer e locandine come una sorta di Invito a cena con delitto o Signori, il delitto è servito, con lo scopo probabilmente di attirare più pubblico, l’ultimo lavoro di Robert Altman è invece quanto di più lontano possibile si possa immaginare da quelle che parevano esserne le fonti di ispirazione. Scritto da Julian Fellowes da un’idea dello stesso regista, il giallo tanto strombazzato non è altro che un pretesto per raccontare e mostrare le differenze culturali e sociali tra due mondi, quello dei nobili e quello dei servitori, nell’Inghilterra del 1932.
Con uno sguardo indagatore Altman scava in profondità, mostrandoci spaccature che nascono all’interno delle due fazioni stesse: la distinzione tra nobili d’Inghilterra e statunitensi, insaporita dalle acide battutine di Maggie Smith, e quella tra i servitori che, per sedersi allo stesso tavolo dove cenare, lo fanno in ordine d’importanza dei loro padroni. Meticoloso oltre che nello sviluppo narrativo anche nella messa in scena, con una regia raffinata e non invadente e scenografie sontuose, il film deve la sua riuscita anche ad un manipolo di attori straordinari, come Maggie Smith, Helen Mirren e Kristin Scott Thomas.
Un po’ lunghetto ma alla fine piacevole, sottolineato da musiche perfettamente in tema, Gosford Park non è consigliabile a chi cerca un giallo tradizionale, tant’è vero che qui il delitto avviene a fine primo tempo, e la sua soluzione non fa altro che mostrarci la drammaticità del racconto, rimarcando i concetti della distinzione sociale.
Titolo: Gosford Park (Id.)
Regia: Robert Altman
Sceneggiatura: Julian Fellowes
Fotografia: Andrew Dunn
Interpreti: Eileen Atkins, Bob Balaban, Alan Bates, Charles Dance, Stephen Fry, Michael Gambon, Richard E. Grant, Kelly Macdonald, Helen Mirren, Jeremy Northam, Clive Owen, Ryan Phillippe, Maggie Smith, Kristin Scott Thomas, Emily Watson
Nazionalità: USA, 2001
Durata: 2h. 17′
Lontano anni luce dalle roboanti american-minchiate che ci propinano le attuali produzioni hollywoodiane, questo film, con i suoi ritmi lenti e compassati, la cura maniacale nella ricostruzione scenografica (perfetta sin nei più piccoli dettagli), il sapiente uso e dosaggio delle inquadrature, la qualità della sceneggiatura e dei dialoghi, sembra espressione di un cinema d’altri tempi.
Diretto da un maturo Robert Altman (che avevo già apprezzato in M.A.S.H.), questo film potrebbe essere considerato una vera e propria “lezione di cinema”, magari da far vedere a certi pseudo-registi scrausi di nuova generazione.
Si potrebbe, ad esempio, prendere un Michael Bay a caso, immobilizzarlo con una camicia di forza, trascinarlo in una sala cinematografica deserta e costringerlo a vedersi un film come questo, magari “aiutandolo” con opportuni dispositivi blocca-palpebre (in modo tale che non possa chiudere gli occhi) e sostanze psicotrope idonee a “facilitare” l’apprendimento. Chissà, non è detto che non possa trarne giovamento (e gli spettatori nei cinema appresso a lui).
Rimane il fatto che di film come questo non ne fanno quasi più e ciò mi intristisce non poco, perché, con l’avanzare dell’età, ho perso progressivamente la capacità di “metabolizzare” le nuove produzioni cinematografiche e con essa il piacere di andare al cinema e di “nutrirmi” di cinema.