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"Il figlio più piccolo" di Pupi Avati

20 febbraio 2010 Recensioni 3 Commenti
Mario Paudice, 16 Febbraio 2010: Spuntato
Medusa, 19 Febbraio 2010

L’immobiliarista romano Luciano Baietti, per sottrarsi al crollo finanziario e alle attenzioni della guardia di finanza, decide di intestare al figlio Baldo, che non vede ormai da anni, la sua società, con annessi tutti i debiti…


Se c’è qualcosa che manca a questo film di Pupi Avati è una sana cattiveria che sappia guardare in maniera impietosa alle idiosincrasie e al malcostume della società italiana. Il figlio più piccolo, nonostante parli di un padre intrallazzone e disposto a tutto per il raggiungimento del successo, anche a sacrificare il figlio, non convince perché troppo conciliante e forse un po’ assolutorio. Colpa di una sceneggiatura in alcune parti debole, che ha il difetto di lasciare troppo spazio agli attori, di caricarli di troppa responsabilità. Luciano Baietti, interpretato dal misurato Christian De Sica, che somiglia tanto a uno dei furbetti del quartierino, alla fine risulta quasi simpatico e il regista sembra indicarcelo come un coagulo di debolezze umane più che additarlo come una figura negativa, radice dei molti mali che affliggono la società italiana.

Si ha l’impressione che Pupi Avati ami troppo i suoi personaggi per portarli alle estreme conseguenze. Certo l’intrallazzone, il faccendiere, l’opportunista, fanno parte della categoria dell’umano, ma non è una buona ragione per guardarli con simpatia. Quanto al personaggio del figlio Baldo, interpretato da Nicola Nocella, il suo candore, la sua ingenuità risultano alla fine quasi irritanti, nonostante siano la fonte dei pochi episodi veramente divertenti del film

Non riusciamo a guardare con simpatia un personaggio come il giovane studente del DAMS di Bologna: è colpevole forse più del padre perché completamente ignaro della realtà, sempre pronto a perdonare i tradimenti della latitante figura paterna. Lo stesso si può dire di Fiamma, la madre (Laura Morante): una figlia dei fiori avulsa dalla realtà, disadattata, senza nessun contatto con il mondo reale. L’unico personaggio centrato e dotato di una certa profondità psicologica è forse quello di Sergio Bollino, eminenza grigia al servizio del Baietti, interpretato dal bravissimo Luca Zingaretti.

Insomma, siamo lontani anni luce da una commedia caustica, intelligente, capace di riflettere con acutezza i vizi della società italiana restituendoceli in tutta la loro amarezza. La sognante poetica di Avati sembra fuori luogo, il suo sguardo innocuo, la sua critica spuntata.


Titolo: Il figlio più piccolo
Regia: Pupi Avati
Sceneggiatura: Pupi Avati
Fotografia: Pasquale Rachini
Interpreti: Christian De Sica, Laura Morante, Luca Zingaretti, Nicola Nocella, Nico Toffoli, Maurizio Battista, Massimo Bonetti, Pino Calabrese, Gianluca Cammisa, Enzo Ghinazzi, Alberto Gimignani, Fabrizio Imas, Gisella Marengo
Nazionalità: Italia, 2010
Durata: 1h. 40′


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Attualmente ci sono 3 commenti a questo articolo:

  1. max ha detto:

    Non ho visto il film , ma devo dire che Mario a parte il titolo della recensione e’ molto attento e preparato complimenti .

  2. daniela ha detto:

    Io non ho capito che film hai guardato tu! Lui ha creato dei personaggi con delle loro caratteristiche che lui ha inquadrato a suo piacimento e dal suo punto di vista, è chiaro che è possibile analizzare qualsiasi storia o qualsiasi personaggio da diversi punti di vista anche assolvendolo se si ritiene il caso perchè è questo il gusto che si vuole dare alla commedia, magari per lui non era assolutamente importante darle quel gusto cinico e amaro di cui parli tu altrimenti non sarebbe stata più una commedia ma un film drammatico. Per cui può non piacerti (e ne dubito perchè qualche risata te la sei fatta pure te e pure qualche momento di commozione) ma non sta scritto da nessuna parte che Pupi voleva fare “una commedia caustica, intelligente, capace di riflettere con acutezza i vizi della società italiana restituendoceli in tutta la loro amarezza”, lui ha centrato il film su altre cose che tu non sei stato in grado di capire perchè forse stavi vedendo un altro film nella tua testa….Riveditelo e alsciati trasportare semplicemente dalel emozioni e dagli spplendidi attori e personaggi che ci sono.
    Daniela

  3. Susanna Trippa ha detto:

    ‘Il figlio più piccolo’ è un film che descrive la realtà dei nostri tempi, e della nostra Italia in particolare, fotografata in certi ambienti, sporcati, oltre che dalla delinquenza, da grande volgarità e bruttezza dell’anima.
    Gli attori sono bravissimi e si muovono in un’atmosfera, a tratti inquietante e a tratti struggente, sottolineata da un andamento musicale perfetto per la storia rappresentata.
    Ho letto varie recensioni e, pur tra gli elogi, mi è parso che alcune voci lamentino che il film avrebbe dovuto essere più ‘di denuncia’, che sia troppo assolutorio.
    E così Il figlio più piccolo rischia di essere scambiato per un film ‘piccolo’, ma tale non è!
    Occorre guardarlo con molta attenzione per riuscire ad interpretare come si deve e a comprenderne il senso ultimo.
    Dal tono volutamente dimesso, quasi con i toni di una ‘commedia all’italiana’, il film rifiuta del tutto la ‘denuncia’, quella spicciola – da quattro soldi – che siamo abituati a fare nelle chiacchere da bar o davanti alla tele accesa, schierandoci per questo o quel partito politico… chiedendoci cosa sia meglio o peggio.
    Qui siamo in uno spazio più alto, quello del ‘ non giudizio’, quel luogo o ‘Campo’ come lo chiama Rumi, il poeta e mistico sufi, dove si sospende ogni giudizio appunto.
    Quello stesso ‘Campo’ può corrispondere al ‘Regno dei cieli’ qui sulla terra.
    A Pupi Avati non interessa ‘la denuncia’.
    Intuitivamente, con la forza dell’emozione, va verso questo ‘Campo’ su una strada già tracciata da grandi anime.
    Con la stessa forza dell’emozione indica il cammino, attraverso le soluzioni che sceglie per la sua storia, indicate dalle espressioni e posture dei suoi attori.
    I protagonisti ‘delinquenti e cattivi’ sono dei perdenti fragili (e quando mai la Forza è personificata dalla delinquenza?) e i ‘buoni’ alla fine vincono, perchè risultano felici (anche se la visione comune li vede come dei ridicoli ingenui).
    Ci sono, nel film, tanti particolari che indicano la strada per comprendere… gli sguardi persi di Baietti/De Sica, così terribilmente bamboccione fino a quell’ultima scena sul terrazzino di casa, ripreso dal basso, quasi una larva.
    E l’abbraccio finale tra lui e il professor Bollino “ Abbracciamoci! Sedici anni siamo stati insieme e non ci siamo mai abbracciati… sono stati poi anni belli!”
    Lo dicono, ma non ci credono neanche loro.
    E, mentre il professor Bollino narra qualcosa che potrebbe spiegare le origini del perché si è messo dietro a tutto questo, e che poi potrebbe spiegare anche i sandali, il suo essere ipocondriaco, il somatizzare e altro ancora, ecco che Baietti/De Sica non lo ascolta neppure, si addormenta.
    Uomini che non sono mai diventati uomini.
    Invece, l’emozione sul volto di Baldo e della madre Fiamma… il loro amare, riaccogliere, nonostante tutto, quel miserabile che è Baietti… bé, non c’è dubbio che sono loro i vincitori morali nella storia, con quel sentimento della ‘compassione’ che a noi pare così ingenuo e fuori moda.
    Si comportano come i passeri del cielo, che non si chiedono cosa e come mangeranno domani.
    Fare una semplice denuncia è oramai un atto di arcaica modalità.
    Pupi Avati segue un’altra via, indicata da grandi figure spirituali, e ora avallata dalle più attuali conoscenze quantistiche.
    Il Dalai Lama invita ad una rivoluzione interiore… modificare l’esistente partendo da un proprio cambiamento.
    Più che l’odio e la rabbia, il sentimento della compassione può modificare, in meglio, la realtà esterna.
    D’altra parte, se vogliamo comprendere questo sentire ‘più alto’ nell’ultimo film di Pupi Avati basta leggere quanto scrive nel suo ‘Sotto le stelle di un film’ … “ L’angolo dei cattivi è sempre guardato attraverso un atteggiamento di grande pietà, perché io li capisco, hanno un’infinità di giustificazioni se sono diventati i cattivi – i più grandoni, i bulli, quelli che menano i più piccoli, quelli che nelle fotografie di classe stanno sempre in un angolo – non vanno soltanto giudicati, vanno raccontati, mostrati nella loro umanità. I ‘cattivi’ vanno capiti nella loro condizione umana.”

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