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"Philadelphia" di Jonathan Demme

21 dicembre 2005 Recensioni 6 Commenti
Philadelphia

Columbia, 4 Marzo 1994 – Delicato

Un brillante avvocato di un importante studio legale di Philadelphia smarrisce un ricorso e viene licenziato in tronco. Convinto che siano altre le cause del licenziamento, intenta causa allo studio, scoprendo però quanto è difficile trovare sostegno nel prossimo per un malato di AIDS. Anche nella città dell’amore fraterno…


Tom Hanks in una scena di PhiladelphiaSimbolo cinematografico ormai riconosciuto della problematica AIDS, Philadelphia è – prescindendo per un attimo dalle modalità con cui questo tema così controverso viene trattato – soprattutto un film di buonissima fattura tecnico-artistica. La confezione complessiva si rivela infatti curata e affascinante, a cominciare proprio dalla regia di Jonathan Demme, il quale, con mano leggera ed evitando eccessive drammatizzazioni – ben coadiuvato dal direttore della fotografia Tak Fujimoto – conferisce al suo lavoro un taglio visivamente elegante ancorché adeguato, valorizzando egregiamente quello che tende a divenire cammin facendo la vera anima di questa pellicola, ovvero il procedimento giudiziario che la attraversa da parte a parte, sino a diventarne il Leitmotiv.

Focalizzandosi prioritariamente sulla discriminazione che circonda l’AIDS a livello sociale (malcostume sicuramente più tangibile nel 1993 rispetto ad oggi) piuttosto che sulle argomentazioni inerenti le limitazioni che la malattia comporta per l’individuo che ne è affetto, il film evita – intelligentemente – di scoprirsi troppo abbozzando una reale presa di posizione, e decide di trasferire in blocco la propria sfera d’indagine all’interno di un’aula di tribunale, acquisendo in questo modo, quasi involontariamente, lo status di “dramma giudiziario”. L’apparente volontà degli autori di ridurre ai minimi termini ogni possibile sottotrama rappresenta forse il vero limite di questa pellicola, ma d’altro canto occorre porre in evidenza come, limitando il proprio raggio d’azione, l’opera di Demme riesca a valorizzare brillantemente ciò che si propone di mettere in scena.

Denzel Washington, Tom Hanks, Mary Steenburgen e Jason Robards in un'immagien pubblicitaria per PhiladelphiaCon l’accoppiata Hanks-Washington a dir poco abile nel sublimare letteralmente l’intera costruzione filmica (è davvero un piacere vedere i due attori spartirsi la scena), Philadelphia è uno spettacolo che si guadagna facilmente la nostra attenzione, regalandoci, nella loro semplicità, spezzoni di pellicola davvero pregevoli (lo sguardo smarrito di Beckett appena fuori lo studio legale dell’avvocato Miller vale più di mille dialoghi, così come la scena del ballo alla festa gay). E poi ci sono le canzoni di Bruce Springsteen e Neil Young, rispettivamente in apertura e chiusura di film, che con splendida delicatezza ne scandiscono i tratti più intimi: un soffio di poesia per descrivere un mondo che di poetico ha sempre troppo poco.


La locandina di PhiladelphiaTitolo: Philadelphia (Id.)
Regia: Jonathan Demme
Sceneggiatura: Ron Nyswaner
Fotografia: Tak Fujimoto
Interpreti: Tom Hanks, Denzel Washington, Jason Robards, Joanne Woodward, Mary Steenburgen, Roberta Maxwell, Buzz Kilman, Karen Finley, Daniel Chapman, Mark Sorensen Jr, Jeffrey Williamson, Ron Vawter, Antonio Banderas
Nazionalità: USA, 1993
Durata: 2h. 05′


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Attualmente ci sono 6 commenti a questo articolo:

  1. Marco ha detto:

    Bellissimo.

  2. Marco ha detto:

    Assolutamente d’accordo con la recensione.
    Nel giro di due anni Demme ha partorito due capisaldi della cinematografia.
    Emozionante come pochi.
    Imperdibile.
    Albe che ne pensi?

  3. Alberto Cassani ha detto:

    Imperdibile magari no, però sicuramente un ottimo film.

  4. Marco ha detto:

    Non smette mai di piacermi. Rivederlo è sempre una grande emozione.
    Davvero un ottimo dramma.
    Ma la stelletta?
    Come mai Albe non lo consideri imperdibile?
    Anche solo per la prestazione di Hanks che dovrebbe fare scuola.

  5. Alberto Cassani ha detto:

    Mah… Sicuramente il film ha molti pregi, non ultimo il coraggio di trattare un tea così spinoso in un momento particolare, ma lo stile di Demme qui è veramente piatto, a tratti tanto banale da essere quasi sciatto. Capisco il non volersi far notare troppo per non distrarre da ciò che è realmente importante, però qui si esagera.

  6. Marco ha detto:

    R.I.P. Jonathan 🙁

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