Propaganda Films: Questi uomini sono il futuro di Hollywood... o la sua morte?
Maximillian Potter, pubblicato su Premiere, Febbraio 1998 – Tradotto da Alberto Cassani
Alla fine degli anni 80, il ventiduenne Antoine Fuqua ritirò tutti i suoi risparmi – tutti e 500 i suoi dollari – e realizzò un cortometraggio che raccontava di uno spacciatore la cui crisi di coscienza lo porta a suicidarsi. Quel film era il disperato tentativo da parte di Fuqua di provare a se stesso e al mondo di essere un regista…
Dieci anni fa, il ventiduenne Antoine Fuqua ritirò tutti i suoi risparmi – tutti e 500 i suoi dollari – e realizzò un cortometraggio di 5 minuti intitolato Exit. Il film, che raccontava di uno spacciatore la cui crisi di coscienza lo porta a commettere suicidio, era il disperato tentativo da parte di Fuqua di provare a se stesso, e a tutti quelli cui poteva importare, di essere un regista. All’epoca Fuqua viveva ad Harlem e aveva lasciato l’Università, che aveva potuto frequentare grazie ad una borsa di studio per il basket, e si era trasferito dalla natia Pittsburgh. Una volta arrivato a New York era riuscito a trovare qualche sporadico lavoretto come assistente di produzione, ma sentiva di avere le mani legate nel suo intento di imparare a dirigere un film. «Non sapevo nemmeno da dove si cominciava – ricorda Fuqua – Non avevo frequentato una scuola di cinema, e non avevo nemmeno una grande conoscenza del mondo del cinema. Non avevo questo privilegio». Andò avanti «facendo tutta una serie di stronzate che non lo vuoi nemmeno sapere…», dice. «Non avevo nemmeno i soldi per prendere la metropolitana». Questo mese la Columbia Pictures presenta il primo lungometraggio diretto da Fuqua, Costretti a uccidere, un film d’azione costato 30 milioni di dollari e interpretato da Mira Sorvino e da Chow Yun-Fat, la star dei film d’azione di Hong Kong che fa qui il suo debutto statunitense. Dopo la prima del film Fuqua avrà ben poco tempo per rilassarsi, perché sarà già in fase di produzione del suo secondo film. Dopo aver visto alcune scene di Costretti a uccidere, la 20th Century Fox l’ha infatti assunto per dirigere il thriller di rapina Entrapment, con protagonista Sean Connery [Il film è stato poi diretto da Jon Amiel; ndt].
Ma cos’è successo a Fuqua tra allora ed oggi? La stessa cosa che è successa ai registi David Fincher (The Game), Michael Bay (The Rock) e Simon West (Con Air): la Propaganda Films. Con l’intento primario di realizzare spot pubblicitari e video musicali, la Propaganda è diventata una specie di palestra per i giovani filmaker di talento; dal 1990 almeno una mezza dozzina di registi della compagnia hanno fatto il salto dalle rane della Budweiser o dai video di Coolio alle grosse produzioni di Hollywood. La sola Fox ha in produzione tre lungometraggi con “alunni” della Propaganda. Oltre ad Entrapment ci sono Fight Club di Fincher (con Brad Pitt) e Blunt Force, pellicola d’esordio di Peter Care (fino ad oggi noto soprattutto come regista del video Secret Garden di Bruce Springsteen). «Se uno dei loro registi ha successo può essere fortuna – dice Teddy Zee, l’ex produttore della Columbia che ha assunto Fuqua per Costretti a uccidere – quando i successi sono stati due la gente cominciava a pensare “forse dovremmo tenerli d’occhio”, ma quando tre loro registi hanno avuto successo, Hollywood li ha presi sotto la propria ala. Propaganda è diventata un nome importante».
Il fenomeno dei registi di video e spot che passano al cinema non è una cosa nuova. Negli anni ’70 e ’80 registi televisivi inglesi come Ridley Scott (I Duellanti), il fratello Tony (Miriam si sveglia a mezzanotte), Adrian Lyne (Flashdance) e Alan Parker (Piccoli gangsters) hanno fatto il gran salto. Ma pensate se una stessa compagnia avesse scoperto e fatto crescere tutti quei talenti. In pratica è questo che la Propaganda ha fatto con questa generazione di registi.
E, in maniera piuttosto simile a come il morbido stile commerciale di quegli inglesi aveva dominato il cinema degli anni ’80, i registi della Propaganda hanno messo un marchio preciso su come i grandi film hollywoodiani devono essere fatti. Veicoli commerciali eleganti e ritmati, come The Rock o il Seven di David Fincher, sono senza dubbio un ottimo modo per arrivare al pubblico dell’era di MTV. Ma, con tutto la loro bravura tecnica, i registi della Propaganda sono criticati per quella che molti vedono come una loro caratteristica mancanza. «Non sembrano interessati a sviluppare una voce personale – dice il caporedattore della sezione cinema del New York Times Janet Maslin a proposito di Fincher, Bay e West – Non hanno solamente indebolito la narrazione filmica, l’hanno distrutta».
«C’è questo posto: è una fabbrica, e non sai cosa cazzo ci combinano, dentro; ma tu infili i tuoi soldi da una parte ed esce la tua cassetta dall’altra». Questa è l’originale visione che David Fincher ha della compagnia di cui è stato co-fondatore poco più di diec’anni fa. Fincher e il suo collega Dominic Sena si sono associati con i produttori Joni Sighvatsson e Steve Golin, e con l’ex produttore discografico ora regista Nigel Dick. Sena ha scelto il nome della compagnia, che a Fincher è piaciuto perché pensava che «avrebbe sovvertito l’identità del mondo della pubblicità».
Durante la fine degli anni 80 e i primi anni 90, Fincher e Sena hanno dominato il palinsesto di MTV, dirigendo video di tutte le più grandi stelle della musica di quel momento: Bryan Adams, Jody Watley, Paula Abdul, i Rolling Stones, Janet Jackson e Madonna, solo per citarne alcuni. E la crescita della Propaganda attirava l’interesse di una nuova stirpe di aspiranti registi, tra cui Bay, West e Alex Proyas (Il corvo).
Nel frattempo Golin e Sighvansson hanno aperto una sezione dedicata al cinema, grazie al film di Nigel Dick Investigazioni private, distribuito dalla PolyGram direttamente in home-video. Quel film ha rappresentato le fondamenta della relazione tra la Propaganda e quel ricco gruppo multimediale che è la PolyGram, che alla fine si è comprata tutta la compagnia (da allora sia Sighvansson sia Dick hanno lasciato il gruppo). Nel tentativo di diventare uno studio cinematografico a tutti gli effetti, la PolyGram ha realizzato lo scorso ottobre The Game, un thriller da 70 milioni di dollari diretto da David Fincher e prodotto dalla Propaganda, il primo film da loro distribuito.
Oggi la Propaganda ha sede in una specie di hangar realizzato con mattoni e tubi a vista, soppalchi sospesi e grandi forme geometriche. Per i circa 45 registi che lavorano per la compagnia – i registi sono la cosa più importante della catena – l’atmosfera è in parte Bauhaus in parte confraternita universitaria. I monitor che si trovano vicino al bar, di fianco all’ingresso, sono sintonizzati su MTV e diversi ragazzi vestiti in maniera dimessa corrono in giro per gli uffici con le loro scarpe da tennis ai piedi. Il nero è il colore più di moda.
Qui e nell’edificio secondario che si trova proprio attraversata la strada, registi come Spike Jonze, che si è fatto un nome (e l’ha fatto fare alla Propaganda) dirigendo i video dei suoi amici Beastie Boys e Sonic Youth, si scambiano matite e idee con veterani come Fincher. Questo tipo di scambio creativo, sul campo, è parte integrante dell’educazione della Propaganda. Quello che la Propaganda offre è un laboratorio creativo, un budget e qualche consiglio, in modo che i giovani talenti abbiano la possibilità di imparare, come dice Fuqua, «con i soldi di qualcun altro». L’anno scorso la Propaganda ha realizzato circa 80 video musicali e più di 125 pubblicità.
«Nella maggior parte dei casi fanno video per un paio d’anni, o un paio di mesi, dipende da come vanno le cose – spiega il presidente Steve Golin – poi, finalmente, passano agli spot pubblicitari. Mettono insieme un filmato di presentazione con i loro lavori migliori e noi lo mandiamo agli Studio e ai produttori, in modo da fargli ottenere un lavoro in un film». In contrasto con la tipica strada da percorrere per arrivare ad Hollywood – mettere insieme un film indipendente e aspettare di essere scoperti al Sundance – la Propaganda ha perfezionato un altro metodo. Dopo un paio d’anni nella catena di montaggio della Propaganda, il regista può arrivare alla porta di uno Studio con un’esperienza che nessun regista indipendente potrà mai avere. Ma se così facendo si portano anche dietro anche la capacità di raccontare una storia è un’altra, molto dibattuta, questione.
David Fincher è cresciuto a Marin County, in California, dove abitava a tre case di distanza da George Lucas. «Prima che uscisse American Graffiti, Lucas era solo il tizio che viveva in fondo alla strada ed usciva di casa ogni giorno in pigiama per raccogliere il giornale» dice Fincher. Dopo American Graffiti Lucas era Dio e Fincher il suo discepolo. A diciott’anni, Fincher ha chiesto un lavoro al suo vicino e ha realizzato qualche effetto speciale per L’Impero colpisce ancora. Sfortunatamente per Fincher il suo primo film, il problematico terzo capitolo della saga di Alien realizzato nel 1991, non è risultato essere pari allo standard della serie. Ma Fincher tornò quattro anni più tardi con un nuovo film, Seven, una delle grandi sorprese del box-office del 1995.
«Dirigere un film non vuol dire fare un bel disegnino e poi mostrarlo al cameraman – dice Fincher della sua poco ortodossa strada verso il successo – Non volevo studiare in una scuola di cinema, non capivo a cosa potesse servire. Il fatto è che non sai cosa vuol dire dirigere un film fino a quando non sei sul set con il sole che sta tramontando e dovresti girare ancora cinque inquadrature, ma sai che ne realizzerai al massimo due, i sindacalisti continuano a dire “Noi ce ne andiamo, stiamo facendo gli straordinari sugli straordinari”, e il produttore ti dice “Devi fermarti, non abbiamo più soldi”».
Nello stesso anno Michael Bay, anch’egli di Propaganda, divenne un regista di gran moda con Bad Boys. Laureato all’Art Center College of Design di Pasadena, Bay era arrivato alla Propaganda con nella borsa un video di Donny Osmond e si era ritrovato ben presto a girare un video per il film Giorni di Tuono di Tony Scott e a parlare con il produttore Jerry Bruckheimer, che gli ha offerto la possibilità di dirigere Bad Boys. Quando il film ha superato le aspettative di tutti, Bruckheimer gli ha offerto la regia di The Rock, il quarto miglior incasso del 1996. I risultati di Bay hanno dato la possibilità a Simon West di pilotare il Con Air di Bruckheimer nella stratosfera.
I film realizzati dai più noti registi della Propaganda hanno però spesso guadagnato più soldi che buone recensioni. E’ facile elencare gli elementi in comune alla maggior parte dei film di Fincher, Bay e West: ambienti bui, bagnati, illuminati da insegne al neon; grandiose esplosioni di auto costose o aerei governativi, o entrambi; molto fumo e molto sudore; un eroe nobile e muscoloso; almeno una bella ragazza; l’uso ripetuto della parola “fuck”; molte sparatorie e molti morti; spesso un produttore di nome Bruckheimer, e i critici che inchiodano il regista in questione per tutto questo.
«Sono registi freddi – dice il critico del Los Angeles Times Kenneth Turan – Sono tecnicamente validi, non sono degli scalzacani, ma i personaggi e l’elemento emotivo dei loro film non sembra interessarli».
Secondo la già citata Janet Maslin del New York Times, i loro film sono composti da «colpi di scena perfettamente studiati, con un po’ di questo e un po’ di quello… Non hanno niente a che fare con il raccontare una storia o sviluppare un personaggio. Sono solo uno studio sull’aspetto visivo, non sono qualcosa che ti rimane dentro a lungo. E’ imprimere qualcosa nella mente degli spettatori, non esprimere qualcosa».
«Siamo in periodo di film fortemente visuali – dice un produttore di Studio che preferisce rimanere anonimo – Guardi Con Air e non ci trovi nessuna storia. Non ha un cavolo di senso. Quel film ha fatto 100 milioni di dollari perché quella parte del pubblico che cresce davanti alla televisione vuole vedere immagini grandi e viscerali. La domanda è: quando raggiungeremo il limite del “film-non film”?»
Bruckheimer sorride al pensiero che i registi della Propaganda distruggeranno i film basati sui personaggi: “Io non credo che il modo in cui Michael Bay costruisce un suo film influenzerà il modo in cui Sydney Pollack costruisce i suoi”. Ma altri pensano che Michael Bay schiaccerà i registi meno convenzionali. «Preferirei vedere il prossimo film di Paul Thomas Anderson [Boogie Nights] – dice Maslin – che non il prossimo film con un controllore di volo che agita le bandiere sotto una fitta pioggia notturna».
West ha sentito queste critiche così tante volte che può rispondere prontamente: «Siamo dei responsabili tecnici, dobbiamo tener presente la parte commerciale del film. Tutto quello a cui siamo interessati sono immagini turgide e appariscenti. Non sappiamo come si parla agli attori, non sappiamo come si sviluppa una storia…». Ma fa anche notare come realizzare i costosi film degli Studio sia una cosa di grande responsabilità: «Vuoi fare un film che incassi centinaia di milioni di dollari ma che tu e i tuoi amici intellettuali odierete, oppure vuoi realizzare un’opera d’arte che vedranno in pochi? Bisogna rendersi conto del fatto che i film che fanno i soldi sono quelli di un certo tipo». Alex Proyas è un altro regista della Propaganda che si dice infastidito da tutto questo dibattito: «Penso che ci sia un nuovo approccio al modo di girare un film, un nuovo modo che al pubblico piace».
A quelli che mettono in dubbio i meriti artistici del suo stile, Fuqua dice «Andate all’Inferno». Un paio d’anni dopo aver spedito in giro il suo Exit, una copia è arrivata negli uffici della Propaganda ed è atterrata sulla scrivania di Golin. Golin l’ha fatto arrivare a Los Aangeles e l’ha assunto per dirigere un videoclip da 7.000 dollari. Il video, per il cantante di R&B Mr. Lee, è andato bene, molto bene: «Tutto d’un tratto sono qui a girare videoclip – ricorda Fuqua – Avevo soldi in tasca, migliaia. Mi sono comprato una Porsche. Vivevo sulle colline, le colline di Hollywood».
«Tutti sono degli individui, e girare film ha a che fare con la propria prospettiva e le proprie esperienze – dice Fuqua – Il nostro approccio è diverso, perché le nostre esperienze personali sono diverse. Se questo fa del male al cinema perché è una cosa diversa dal solito, allora in realtà gli fa del bene. Se Akira Kurosawa non avesse girato I sette samurai in quel certo modo, noi non avremmo avuto I magnifici sette. Guarda a che punto abbiamo portato i videoclip. Sia un bene o un male, i ragazzi sono incollati a MTV».
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