"Rendition": incontro con Gavin Hood
Roma, 21 Ottobre 2007
Una delle pellicole più apprezzate dalla critica nel corso dell’edizione 2007 della Festa del Cinema di Roma è stata Rendition, l’opera seconda del sudafricano Gavin Hood, che nella conferenza stampa ha parlato di cinema ma soprattutto di attualità e di politica…
Innanzi tutto, com’è venuto a conoscenza della pratica della extraordinary rendition?
Il New Yorker aveva pubblicato un articolo poco prima che io ricevessi la sceneggiatura, ma in realtà quando avevo lo script sulla scrivania non ero sicuro di cosa trattasse, visto che la parola “rendition” in inglese può voler dire molte cose. Ma quando l’ho letta, mi sono appassionato molto alla sorte dei personaggi, l’ho trovata una storia molto emozionante. Solo che quando ho finito di leggerla era notte fonda, così non avevo nessuno con cui parlarne. E allora sono andato su Google e ho cercato il significato di “extraordinary rendition”… Per la realizzazione del film mi sono documentato molto, ho anche intervistato alcuni ex agenti della CIA, ma per me tutto è cominciato con la sceneggiatura.
Pensa che il film possa influenzare l’opinione pubblica su questa pratica, o almeno aumentare la consapevolezza della gente a riguardo?
Quando abbiamo iniziato a lavorare al film, due anni fa, pensavamo che il titolo potesse suonare strano, ma quando l’abbiamo finito era quasi irrilevante, e questa è una cosa al tempo stesso ironica e triste, visto il tema di cui tratta il film. Ma è comunque una situazione di cui bisogna parlare, perché altrimenti espressioni come “detenzione dura” e “tecniche di interrogatorio violento” resteranno soltanto delle parole astratte. In realtà è una situazione molto concreta, che riguarda le persone, e non solo che sono vittime dell’extraordinary rendition, ma anche quelle che la mettono in pratica, perché non hanno delle regole ben precise da seguire. Delle regole chiare proteggerebbero le persone che rischiano di essere rapite come Anwar nel film, ma sarebbero anche una guida preziosa per quelli il cui lavoro è proteggere i cittadini. Era importante dare delle facce a questi concetti, a queste idee, e provare ad accendere un dibattito. Certo, noi non abbiamo le risposte, però chiediamo alla gente di farsi sentire e porre delle domande.
Come mai ha scelto un’attrice così emotivamente forte come Meryl Streep per un personaggio così spietato?
E’ curioso, perché molti vedono Meryl Streep solo per i ruoli crudeli… Il fatto è che secondo me il suo personaggio ha un’opinione, sulla questione. A un certo punto del film, dice che grazie all’extraordinary rendition gli Stati Uniti hanno ottenuto informazioni che hanno salvato la vita di 7.000 persone a Londra, ma poi dice anche che lei ha dei nipoti a Londra. Ora, proviamo a immaginarci di avere il suo lavoro: sei obbligato ad erigere un muro tra te e quello che ti circonda, per tenere lontani personaggi come quello di Reese Witherspoon. La sfida, per un’attrice come Meryl, è proprio che il suo personaggio deve riuscire a bloccare le emozioni, eppure lei deve far capire che fronteggiare Reese la mette talmente in imbarazzo da doversene andare. E anche se può sembrare una cosa semplice, per un attore è davvero complicato riuscire a dare questa tridimensionalità al personaggio. Jake Gyllenhaal ha avuto lo stesso problema nella scena dell’interrogatorio: lui doveva farci capire che ciò che stava vedendo gli dava fastidio, ma il suo personaggio doveva fare in modo che gli altri nella stanza non se ne accorgessero. Hai bisogno di un attore di grande talento per interpretare le emozioni più sottili, e Meryl Streep ci riesce molto bene.
Pur sembrando a prima vista un finale preciso, in realtà il film non conclude tutte le storie che racconta…
Sì, abbiamo voluto lasciare alcune cose in sospeso, ad esempio non abbiamo dato nessuna spiegazione precisa alle telefonate che Anwar ha ricevuto. Pensavamo fosse importante, perché il problema in realtà non è se questo individuo in particolare sia colpevole o meno: il punto è l’opinione che il pubblico si fa sulla extraordinary rendition e sui modi in cui gli interrogatori sono condotti. E’ per questo che abbiamo lasciato aperta questa possibilità, perché ci fosse comunque l’idea che lui possa essere colpevole ma tu possa comunque farti un’idea del metodo con cui è stato interrogato.
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