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Soundtrack: "Taras il magnifico" di Franz Waxman

6 febbraio 2012 Soundtrack 0 Commenti
Roberto Pugliese, 3 Febbraio 2012: * * * * *
In collaborazione con Colonne Sonore

Esponente di spicco del gruppo di compositori europei arrivati a Holywood per sfuggire al nazismo, Franz Waxman ha composto per il film di Jack Lee Thompson una partitura incredibile, che dimostra la sua vasta cultura musicale e gli fa ottenere la 12a nomination all’Oscar…


Poco più di un lustro fa il centenario della nascita di Franz Waxman è trascorso, persino tra gli addetti ai lavori e gli appassionati, in una disattenzione ben diversa dagli onori (saggistici, convegnistici, editoriali e discografici) tributati nel 2011 a quello di Bernard Herrmann: che pure di Waxman era grande ammiratore e, per inciso, definì proprio la musica per Taras Bulba «la partitura di una vita». In realtà il compositore tedesco di origine ebraica, nato la vigilia di Natale del 1906 come Franz Wachsmann a Königshütte, Slesia prussiana ed oggi in territorio polacco (e del quale il 24 febbraio ricorderemo almeno il 45ennale della scomparsa, avvenuta a Los Angeles a nemmeno 61 anni), fuggito dalla Germania agli albori del nazismo, è stato uno dei maggiori esponenti di quel gruppo europeo di musicisti sbarcati ad Hollywood per dar vita alla cosiddetta Golden Age della musica cinematografica statunitense (insieme a Tiomkin, Steiner, Ròzsa, Kaper, Korngold e altri). Di tutti questi, probabilmente, il più moderno, inquieto e polimorfo; il più attento a ciò che si andava muovendo nella Nuova Musica viennese ma anche alle possibili contaminazioni con il jazz e con qualsiasi linguaggio eterodosso, il tutto sempre rimanendo ancorato a una forma di drammaturgia sonora e di colorismo strumentale che lo resero unico nel suo lavoro e conteso dalle major (dalla Universal alla Fox, dalla Warner alla MGM), capace di addensamenti travolgenti, invenzioni ritmiche mozzafiato, affreschi tragici laceranti, in una varietà di ispirazione che non conosceva limiti di genere né di fonti geografiche. Con Ròzsa il maestro tedesco condivideva un gusto per il fantasismo e la ricchezza cromatica, lo spessore di scrittura che poteva toccare apici sinfonici vertiginosi (La moglie di Frankenstein), ma anche tutto il capitolo hitchcockiano, o partiture di sconvolgente profeticità come La signora Skeffington e Storia di una monaca) mentre a Herrmann lo legavano la comune passione per la direzione d’orchestra pura, lo studio infinito di moltissime partiture del Novecento storico europeo (che Waxman fece conoscere al pubblico statunitense quando fondò e diresse nel ’47 il Los Angeles International Music Festival) e – conseguentemente – doti di orchestratore illimitate quanto funzionali e sapientemente amministrate.

Taras il magnifico, megacoproduzione tra Jugoslavia e Hollywood a sfondo storico affidata alle capaci mani di Jack Lee Thompson, con Yul Brynner nei panni dell’eroe cosacco del 1400, nella guerra contro i polacchi, uscito dal romanzo di Gogol, è uno score che appartiene all’ultima fase dell’attività di Waxman, fu l’ultima delle sue dodici nomination all’Oscar (vinto due volte di seguito con Viale del tramonto e Un posto al sole) e rappresentò per il compositore un’occasione imperdibile per srotolare interamente la propria immensa cultura musicale e per ampliare la propria tavolozza orchestrale all’interno di un’architettura sinfonico-drammatica che andava ben oltre la prassi, consolidatissima nei primi anni 60, del puro e semplice kolossal in costume.
Si tratta di un lavoro appassionante e irresistibilmente dinamico, piuttosto difficile da reperire discograficamente (se ne ricorderà l’edizione originale, di un’asciuttezza bruciante e con tempi vertiginosi voluti dall’autore sul podio, uscita in diverse ristampe, dalla MGM alla Rhino alla Kritzerland), e del quale è soprattutto nota la pagina “Ride to Dubno” (indimenticabile la versione RCA per l’uscita waxmaniana della Classic Film Scores con Charles Gerhardt al comando della National Philharmonic), un furibondo galop, temuto da qualunque orchestra, che irrompe irrefrenabile fra squilli, trilli, scalette di legni e ottoni, in un crescendo senza fine dalla ritmica incredibile. Di fatto è non solo un tour de force strumentale – uno dei tanti contenuti nella partitura, ma si è già accennato della complessità a volte spaventosa sul piano esecutivo della scrittura waxmaniana – ma il nocciolo leitmotivico dell’intero, lungo score, in coppia con il cosiddetto love theme (che lo contiene al proprio interno, quasi in forma di trio, sin dall’Ouverture), struggente ballata intrisa di “russità”.

Il sontuoso, doppio CD della Tadlow Music, prodotto da James Fitzpatrick e corredato da un ampio booklet a colori con esaurienti testi di Frank K. De Wald e di John Waxman, figlio e fine esegeta del maestro, ci restituisce in prima registrazione mondiale l’integrale di questo monumentale polittico, in oltre due ore di musica ricostruite da Nic Raine, saldamente sul podio della sempre splendida e concentratissima City of Prague Philharmonic & Chorus, ivi compresa una nutrita serie di bonus track che includono, oltre a numerose versioni alternative, anche alcune meravigliose e spontaneissime canzoni “popolari” scritte da Waxman per Yul Brynner su testi di Mack David (il condottiero cosacco che canta in inglese è un corto circuito linguistico che oggi fa sorridere…) e qui rivisitate da Keith Ferreira & Voxetera.

Waxman dichiarò esplicitamente che almeno cinque dei temi principali di Taras Bulba furono composti ispirandosi a canzoni popolari russe, ucraine per la precisione: tra queste, oltre alla cellula motrice di “Ride to Dubno”, spiccano senz’altro il tema di Andrei (“The birth of Andrei”), una soave nanna che i legni solisti apparentano palesemente al lascito di Mussorgski e Ciaikovski, e il già citato love theme (“The Wishing Star”). Naturalmente occorre intendersi sul concetto di “popolare” e anche su quello di “musica etnica”. Diversamente dall’approccio filologico di Ròzsa o dal citazionismo moderno e tormentato di Tiomkin, Waxman tende a lavorare partendo dalle fonti di musica “interna”, assorbendole nella partitura e appropriandosene strutturalmente per poi renderle materiale malleabile e modificabile a piacere nel proprio pensiero musicale. Se ne hanno qui infiniti esempi in tutte le ipotesi variative del love theme (il collage “Young Andrei/The Priest/Arrival at Kiev/Students Fight”), dove l’orchestrazione (e ricordiamo che nel 1962 vi collaborò anche un gigante del settore come Leonid Raab) si spezza e si frastaglia in innumerevoli rivoli e suggestioni, compreso un gioco staccato di fagotti che ricorda molto Prokofiev, e anche in “Amo, amas, amat”, liricamente disteso sugli archi divisi in un gioco di stratificazioni straniante, o in “Sleigh ride”, spartito tra diverse famiglie strumentali su un irrequieto sfondo nel quale svettano i virtuosismi dei legni, o ancora in “Kiev Street”, che ne sviluppa il cuore melodico in direzioni imprevedibili e movimentate.
Sulla “musica di circostanza” Waxman non si tirava indietro, come dimostrano i corni antifonali di “Hunting scene”, le rutilanze di “Fanfare and drums” e la banda folklorica di fiati di “The thieves market”, ma ciò che conta (come era già avvenuto per le incursioni nella musica irlandese in L’aquila solitaria) è come s’è detto l’integrazione di questi elementi in una concezione di assoluta autonomia e indipendenza concettuale. “The duel” inizia forse con una delle più belle letture del love theme, per violoncello solo, e si evolve in una fuga dissonante e arditissima, così come “Chase at night” e il successivo, martellante “Return to the Steppes” costruiscono, intorno alle scelte leitmotiviche fondanti, vertiginose elaborazioni sinfoniche e sofisticatissime intelaiature contrappuntistiche. Idem dicasi per l’ubriacante “Gypsy Camp”, pezzo di bravura della City of Prague sotto il polso toscaniniano di Raine nel quale legni, tamburelli, percussioni guizzano irrefrenabilmente in una festa di colori e in un’orgia di citazioni (in primis la notissima “Kalinka”).
“Siege to Dubno” è un’altra pagina paradigmatica, perché vi udiamo letteralmente liquefarsi e riaccendersi sotto altra luce sia il galop di “Ride” che il love theme, in una furia variativa che confligge in dissonanze reciproche e urticanti, rendendo esplicita la geniale eterogeneità e multiformità dei materiali waxmaniani. Una strada percorsa, radicalmente anche in “Delirium/Vision of Natalia” e nel lungo, quasi stravinskyano (prima maniera…) e sinistro “The black plague”, nuovi esempi di plasmabilità tematica all’interno di un’orchestra insormontabilmente complessa e vivificata da un’inventiva continua e selettiva, che spesso isola alcuni frammenti e li illumina da prospettive timbrico-armoniche ogni volte differenti: si noti la luce livida, tragica che i legni e poi gli archi, emozionanti oltre ogni limite, gettano sul love theme sottoposto a modulazioni stupefacenti e visionarie in “No retreat”…
Non mancano, e come potrebbero?, riferimenti interni anche alla musica russa colta del ‘900, se è vero come è vero che “The burial”, nella solennità funebre dei pizzicati e del cantabile dei celli, cita apertamente nell’incipit una pagina che Waxman doveva conoscere bene, ossia il terzo movimento dell’Undicesima Sinfonia di Shostakovich “L’anno 1905”, risalente al 1956, e con la quale si era già creato un curioso “crossover”, ma stavolta al contrario, poiché il celebre, attanagliante fugato del Primo movimento di questa sinfonia del grande compositore sovietico citava quasi alla lettera l’analoga pagina da Waxman composta per la fuga nei boschi di Montgomery Clift in Un posto al sole ben cinque anni prima!

La fiammeggiante “The battle of Dubno” e l’amplissimo finale, che propone in larga misura (come moltissimi altri track) materiale mai registrato in precedenza, rappresentano una sorta di apoteosi di questa edizione, segnalandosi ancora una volta per l’acquisizione “interna” di materiali autoctoni all’insegna tanto di un lirismo irresistibile (l’oboe e gli archi sussurranti nella coda funebre di “The battle”) quanto di uno scatenamento strumentale iperadrenalinico e pirotecnico (il “Finale”).
Le otto bonus track affidate a Ferreira e al coro Voxetera, al netto dello scarto linguistico, denotano la cura filologica che Fitzpatrick ha voluto mettere in questo doppio CD relativamente proprio alle fonti “interne”: rimane sbalorditiva la mimesi waxmaniana nella scrittura di una musica vocale non “alla russa” ma, semplicemente, russa: particolarmente evidente nelle due versioni di “Zaporozhtzi” (dal grido di guerra cui i cosacchi del XV secolo scendevano in battaglia, invocando il nome di Zaporož’e, città dell’Ucraina), sia la prima che rimanda direttamente al “Ride to Dubno” che la seconda, mutuata direttamente dalla versione cinematografica; nonché nell’inno tradizionale russo-ortodosso “Kontakion for the Departed”, brano di impressionante intensità anche interpretativa.
Incontenibile, l’edizione Tadlow di Taras Bulba offre anche una versione pianistica a sei mani (!) della “Ride to Dubno”, forzatamente rallentata nell’andatura – altrimenti insostenibile – ma non per questo meno incalzante, e poi alcune versioni strumentali ma differenziate di pagine già ascoltate. Se l’Ouverture nella versione da suite concertistica, anche grazie alla lettura fulminante di Raine, riscopre fino in fondo tutta la propria ascendenza rimsky-korsakoviana (pathos, colori, malinconia, ebbrezza timbrica), nella lettura della versione originale di “The birth of Andrei” i legni dischiudono un paesaggio sconfinatamente e intimamente russo, all’insegna di una “nostalghia” che forse al profugo Waxman doveva ricordare anche la propria Europa, abbandonata per sfuggire al mostro hitleriano. Il “backing track” della “Pastorale”, limpida esibizione di un bucolismo alleggerente e levigato, prelude alla versione concertistica e ultimativa di “Ride to Dubno”: lo ripetiamo, è una pagina concepita e da leggersi a velocità possibilmente supersonica (Waxman lo sapeva e così la dirigeva), ma senza smarrirne l’impatto sincopato, lo smagliante scintillìo di ottoni e strumentini, i trilli dei corni, il pulsare quasi sanguinoso della percussione.
È il sigillo finale su questa straordinaria operazione discografica, degno omaggio (di cui auspicare numerosi seguiti) a un musicista sommo, e di assoluta, entusiasmante modernità.


Titolo: Taras il magnifico (Taras Bulba)

Compositore: Franz Waxman

Etichetta: Tadlow Music, 1962

Numero dei brani: 38 (29 di commento + 9 canzoni)

Durata: 128′ 03”


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