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Soundtrack: Yucatan di Roque Baños

31 marzo 2020 Soundtrack 0 Commenti
Yucatan

Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore* * * *

La colonna sonora che Roque Baños ha composto per lo “Yucatan” diretto da Carlos Monzón ha il sapore di una breve vacanza ai Caraibi. Ma è invece ricca di jazz citazionistico, di fattura estremamente sofisticata e consapevole, che si rifà alle grandi orchestre degli anni 60…


Ha il sapore di una breve vacanza ai Caraibi, o Puerto Rico o giù di lì, questa scoppiettante partitura in stile latin-jazz anni 50-60 con la quale Roque Baños si conferma un compositore camaleontico per vocazione e con più frecce al proprio arco di quante non ne abbia la maggior parte dei suoi colleghi, non solo spagnoli.

L’occasione è fornita da una commedia d’azione di sapore (ma senza la sua fiammeggiante cattiveria) almodovariano, firmata da Daniel Monzón, regista con cui il compositore ha già intrecciato una proficua collaborazione, anche se per film molto diversi, come il cupo carcerario Cella 211 e la crime-story El Niño; qui invece si assiste alle picaresche avventure di due truffatori d’alto bordo, specializzati nello spennare i riccastri da crociera, già amiconi ma divisi dall’amore per una donna, eppure costretti dalle circostanze a rincontrarsi…

Siamo a un incrocio tra la Pantera Rosa, James Bond e la commedia all’italiana anni 60 declinata sul versante giallo-rosa (dai Soliti ignoti monicelliani ai Sette uomini d’oro di Marco Vicario, per capirci): ed è un mix che pare riprodursi fedelmente nel sound individuato dal musicista spagnolo, che rimanda non solo alle musiche di quei filoni ma più generalmente a uno stile che era la bandiera di alcune celebri orchestre dell’epoca, come i Tijuana Brass di Herb Alpert, o quelle di Xavier Cugat e Perez Prado, con l’aggiunta di un sinfonismo jazzistico tirato a lucido e taglientissimo che era tipico ad esempio dell’orchestra di Roland Shaw, protagonista negli anni 60-70 di alcune memorabili incisioni Decca Phase 4 stereo.

Lo scatenato mambo di apertura “Welcome to Copacabana”, ad esempio, riecheggia il modello celebre di Leonard Bernstein per West Side Story e nella seconda parte enuclea quello che sarà il tema principale, mentre “Aventura en Casablanca” stempera elementi e richiami arabeggianti in un blues mellifluo e ballabile, lasciando che a contribuire all’atmosfera retrò intervenga in “Trauma en el teide” il glorioso organo Hammond, strumento familiare all’adolescenza di chi oggi ha i (pochi) capelli bianchi, facendolo interagire con una tipica formazione da jazz-band d’epoca (piano, basso, sax, trombe con sordina, batteria), che suona secondo stilemi risalenti sino a Glenn Miller – nelle cui file militò Henry Mancini – tipo i glissandi dei fiati e gli interplay continui tra solisti.
L’Hammond torna anche alla grande, con uno strepitoso assolo introduttivo, in “A todo gas con el IMSERSO”, riproponendo il leitmotiv in versione galoppante: molto più pacata, ma egualmente riconoscibile, la sua versione per chitarra piano e vibrafono di “¡Son 160 millones!”, sino ad approdare con “Un beso inesperado” ad un’oasi pianistica che sembra ispirata ad un notturno chopiniano, pezzo mirabile dove emergono tutta la delicatezza lirica e la sapienza melodica del musicista spagnolo. Pianoforte che ritorna in “Una vez en la vida” distillando note misteriose e felpate, sempre intorno al tema portante, fra le spazzole delle batterie, gli ottoni in sordina e le carezze del vibrafono.

Si tratta senz’altro di un jazz citazionistico e quasi mimetico nei confronti dei propri modelli, ma di una fattura estremamente sofisticata e consapevole, financo negli assoli delegati ai vari strumenti. Anche “La enfermedad rara” volteggia elegantemente con l’Hammond intorno al tema conduttore, in movenze da lounge music, laddove con “¡Brasil!” si torna com’è facile immaginare alle più pure atmosfere latinoamericane, sempre assaporando la pervasiva orecchiabilità del Leitmotiv; l’irrefrenabile “La ruleta rusa” è invece quasi tutta a carico di una vera e propria esplosiva crestomazia delle percussioni, con un impatto quasi scenografico sull’ascolto. Lo “slow” per piano, basso e batteria di “Nota de despedida” si fa invece ammirare, pur nella sua brevità, per l’abilità ellittica con cui offre variazioni sul solito tema, I suoni “da giungla”, quasi di natura, e lo squillare festoso degli ottoni di “Regreso a Yucatán” richiamano in causa, in dirittura d’arrivo, un po’ tutti gli abitanti di questa rutilante score (fiati, Hammond, piano, chitarra).

Ma a stupire è la pagina di commiato “Hasta siempre”, che Baños ha dedicato con affetto commosso a Pablo Martin Hurtado, il nonno di sua moglie, per il messaggio di amore e di consapevole, umile gioia di vivere che gli ha trasmesso: una pagina pianistica toccante e semplice, ma più malinconica di “Un beso inesperado” perché avvolta in quella sorridente e vitale tristezza che è uno dei tratti caratteristici più intimi e penetranti della cultura e del modo di vivere spagnoli.


La copertina del CDTitolo: Yucatan (Id.)

Compositore: Roque Baños

Etichetta: Meliam Music, 2018

Numero dei brani: 13

Durata: 41′ 00”


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