"Stoker" di Park Chan-wook
20th Century Fox, 20 Giugno 2013 – Affascinante
Il padre di India muore in circostanze poco chiare il giorno del 18° compleanno della figlia. Durante il funerale si presenta a casa il fratello dell’uomo, dopo un lungo vagabondare per l’Europa e l’Oriente. La madre della ragazza è molto colpita da lui, mentre India sembra esserne infastidita…
Esordio hollywoodiano per il più elegante dei registi sudcoreani scoperti dall’Occidente in questi ultimi anni, Stoker è un thriller psicologico sottile ma duro – o forse è una storia d’amore perversa e malata – capace di ammaliare lo spettatore già dal prologo e tenerlo sul filo della tensione per 100 minuti, grazie a dialoghi interessanti, personaggi intriganti e una sapiente gestione del ritmo. Un film, insomma, perfettamente coerente con le opere precedenti di Park Chan-wook, in particolare con quelle declinate al femminile, più intime e trattenute rispetto a quelle furiose e sanguigne prettamente maschili.
Giocando sui dettagli di visi e corpi e sull’effetto di rumori che solitamente non si ascoltano, Park mette in scena nel modo migliore l’intrigante sceneggiatura dell’attore Wentworth Miller (Prison Break). Grazie ai tanti particolari seminati per il film ma mai sottolineati eccessivamente, la storia si sviluppa in un ambiente senza tempo e senza una vera collocazione geografica, e questo ha l’effetto di isolare la famiglia Stoker dal mondo esterno e impedirci di pensare a null’altro che i loro drammi, caricando così ancor di più il film di angoscia e di tensione.
Stoker è un film che può facilmente non piacere, per il ritmo compassato ma soprattutto per i risvolti che la storia assume nella seconda parte. Il regista coreano ha modificato e integrato la sceneggiatura di Miller per rendere ancora più ossessivo il rapporto fra i tre personaggi, facendo montare pian piano la tensione fino all’esplosione liberatoria che arriva quasi di punto in bianco. E si è affidato a tre attori sulla carta perfetti ma che offrono prove diseguali tra loro: se Mia Wasilowska è in ogni momento convincente, Matthew Goode lo è solo nella prima parte e Nicole Kidman non lo è mai. E’ chiaro comunque che i pregi della pellicola risiedono altrove, nella storia e nella regia, entrambe avvolgenti e piene di fascino. Il fascino del Male.
Titolo: Stoker (Id.)
Regia: Park Chan-wook
Sceneggiatura: Wentworth Miller
Fotografia: Jeong Jeong-hun
Interpreti: Mia Wasilowska, Matthew Goode, Nicole Kidman, Dermot Mulroney, Jacki Weaver, Phyllis Somerville, Alden Ehrenreich, Lucas Till, Ralph Brown, Judith Godrèche, Harmony Korine, Alden Ehrenreich
Nazionalità: USA, 2012
Durata: 1h. 40′
A Milano lo fanno in sole due sale. Settimana prossima vado, non si può perdere!
Due sale è già il doppio di quello che mi aspettavo…
Ho finalmente visto il film.
La regia è a tratti davvero emozionante, come nelle scene iniziali a ridosso del funerale.
La mia impressione è che il maestro coreano non abbia voluto essere complesso come nelle sue produzioni in lingua natìa, ma che abbia, come spesso fanno gli orientali, sottovalutato le capacità intellettive dell’occidente. Il risultato è comunque un film ugualmente appassionante, che sfrutta un simbolismo sottile per unire i fan del Park coreano ed i suoi nuovi supporter occidentali.
Nei titoli di testa il nome di Chan Wook Park viene visualizzato con una grafica quasi invisibile, intrappolato nel contenitore della torta di India. E’ un chiaro messaggio del tipo “Io vi ho fatto la regia ma non ho voluto calcare la mano”. Ha in ogni caso partorito l’ennesimo capolavoro, e non senza sforzi immani in un film che non lascia davvero nulla al caso.
Il numero di sale si sta alzando, bisogna andare a vedere Stoker.
Personalmente non ho trovato il ritmo lentissimo e non capisco come possa non piacere per quel paio di scene eccessivamente “toccanti”. Alla fin della fiera, se non si tirano in mezzo certi argomenti raccontare la maturità di una ragazza diventa impresa quasi impossibile.
Non credo che Park abbia sottovalutato il pubblico occidentale, quanto si sia adattato alla logicità della storia che stava raccontando. Poi il film può non piacere per mille motivi, ma di certo il mix tra ritmo lento, violenza e tematica non è esattamente qualcosa che convince la gente a correre al cinema…
Ciao Alberto.
David Lynch è uno dei miei registi preferiti, e ho letto qua e là che questo film ha alcune venature lynchiane.
Confermi? Me lo consiglieresti?
Per consigliarlo lo consiglio senz’altro, però non so quanto ci sia di lynchiano. Cioè, ci sono senz’altro degli aspetti sia registici che a livello di trama che possono ricordare il cinema di Lynch, ma sono anche caratteristiche tipiche del cinema di Park sin dagli esordi, quindi non direi si tratti effettivamente di un’influenza lynchiana.
Grazie, lo recupererò senz’altro, insieme a “Old Boy”.
Concordo con la recensione.
Per chi è ben disposto e conosce il regista, non si annoierà certamente e la superba regia (supportata dal buon montaggio) riesce a narrare una storia di per sè non propriamente originale ma senz’altro accattivante ed appassionante, secondo me grazie soprattutto alle licenze registiche che alle idee simboliche e metaforiche di Park, quasi impercettibili e di ardua comprensione ad una prima visione.
La descrizione dei personaggi è quantomeno indovinata, anche grazie agli ottimi attori.
Ottima musica. Fotografia “burtoniana” al punto giusto.
Lo sceneggiatore ha usato uno pseudonimo, come scritto sulla pagina Wiki anche se nei titoli di testa appare il suo vero nome.
Da quello che avevano riportato nel press-book, aveva usato uno pseudonimo all’inizio perché essendo un attore abbastanza giovane e inesperto di scrittura temeva che i produttori non avrebbero preso sul serio la sceneggiatura. Ma poi ha detto subito che era lui, quando qualcuno si è dimostrato interessato.