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"The Grandmaster" di Wong Kar-wai

19 settembre 2013 Recensioni 12 Commenti
The Grandmaster

Bim, 19 Settembre 2013 – Raffinato

La storia di Ip Man, il leggendario maestro di arti marziali di Bruce Lee e della scuola di Kung fu del Wing Chun, si trasforma nell’affresco di un’epoca, tra ascesa e caduta, gloria e disonore, esilio e ricongiungimento…


Tony Leung in una scena«Kung fu. Due parole: orizzontale e verticale. Fai un errore: orizzontale. Sii l’ultimo a restare in piedi e vincerai». Così uno dei protagonisti dell’ultimo film di Wong Kar-wai si esprime a proposito delle arti marziali. Si tratta di Ip Man, interpretato da Tony Leung, un gran maestro che cresce in una famiglia benestante imparando la forma più alta del Kung fu, quella del Wing Chung.

Zhang ZiyiIl film inizia con suo uno spettacolare combattimento sotto la pioggia che da un punto di vista registico è una delle scene magistrali di tutto il film. La macchina da presa si muove infatti veloce e scaltra, senza mai confondere, seguendo le movenze micidiali eppure eleganti dei combattenti. Su di loro una pioggia fitta e suggestiva che, grazie al ralenti, dà alla scena una forma quasi epica. La sensazione è che la combinazione dell’acqua con l’alterazione della durata diano volume alla scena, grazie anche alla meravigliosa fotografia, curata da Philippe Le Sourd, che in tutto il film gioca un ruolo determinante. La qualità visiva, la grana dell’immagine è infatti talmente densa e alta che si avverte lo spessore quasi tattile delle inquadrature. E’ come se, avvolti in quei fumi, in quelle polveri, in quelle atmosfere, i corpi piatti dei personaggi prendessero vita. È una cosa più profonda del 3D perché il film non ti spinge a entrare dentro la scena ma al contrario la avvicina a te, ti permette letteralmente di accarezzare con lo sguardo quella storia.

Chang ChenUna storia epocale sulle arti marziali, che non si esaurisce nell’immagine di una strada di Hong Kong piena di scuole diverse. Dietro, c’è la storia di un’intera epoca, quella delle arti marziali nel periodo repubblicano (1911-1949), l’età dell’oro del Kung fu cinese, con le sue rivalità, tragedie e misteri esoterici, che Wong Kar-wai in tre anni ha documentato e ricostruito nel dettaglio autentico.
La storia di The Grandmaster è la storia di Ip Man, che è stato il maestro di Bruce Lee, ma anche quella di Gong Baosen, gran maestro del nord-est della Cina. Ed è anche la storia di sua figlia Gong Er, orgogliosa, forte e virtuosa, che sa padroneggiare il combattimento flessuoso e letale del Bagua, compresa la famosa mossa dei “64 palmi”, marchio della sua famiglia, mentre Ma San, l’altra metà dell’eredità di Baosen e suo successore designato, padroneggia uno stile diverso.

Tony Leung in una scenaLa trama può risultare complessa perché i personaggi sono tanti e la storia ha una profondità che è difficile cogliere immediatamente, ma così facendo Wong Kar-wai ha dato forma e memoria a una forte eredità culturale che rischiava di andare perduta. Infine, non possono passare inosservati i primi e primissimi piani, veri e propri paesaggi esistenziali. Volti a tutto campo che sono ritratti psicologici, che rendono The Grandmaster un film elegante, sensuale e sofisticato come tutte le opere di Wong Kar-wai.


La locandinaTitolo: The Grandmaster (Yi dai zong shi)
Regia: Wong Kar-wai
Sceneggiatura: Wong Kar-wai
Fotografia: Philippe Le Sourd
Interpreti: Tony Leung Chiu Wai, Zhang Ziyi, Chang Chen, Zhao Benshan, Xiao Shenyang, Song Hye Kyo, Yuen Wo Ping, Chilam Cheung, Lau Ka Yung, Cung Lee, Zhang Jin, Yuen Cheung-Yan, Elvis Tsui, Wang Qingxiang, Lo Hoi-Pang, Darren Leung
Nazionalità: Hong Kong – Cina, 2013
Durata: 2h. 03′


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Attualmente ci sono 12 commenti a questo articolo:

  1. Plissken ha detto:

    Sorprende un pochino il vedere realizzato un nuovo film sulla vita di Ip Man, visto che in tempi relativamente recenti sono uscite già due pellicole con protagonista egli medesimo, ovvero “Ip Man” e “Ip Man 2”.
    Ho visionato entrambi i film che spiccano senza dubbio per l’accuratezza delle movenze marzial / coreografiche ed una buona valenza degli interpreti, oltre ad un curato (per quel che ne capisco io ovviamente) inserimento scenografico nella Cina degli anni ’30. Il secondo film in verità, nonostante la presenza di Sammo Hung, mi è parso nel complesso inferiore in quanto troppo contaminato dal wuxian-style mediante improbabili (in questo contesto) svolazzature qua e là che con il Kung Fu reale hanno ben poco a che fare.
    Un po’ fastidiosi ma comprensibili i propagandistici riferimenti alla “grandezza della Cina e dei cinesi” ecc. ecc. ma trattasi tutto sommato di un peccato veniale condiviso sovente dalla maggior parte della moderna (e non solo) cinematografia di qualunque Paese. Ovviamente la parte romanzata sovrasta di parecchio quella biografica: il problema è che ciò lo si comprende pur non conoscendo nulla della vita del Gran Maestro.

    Sono curioso di visionare anche questo film, anche per capire quanto la parte prettamente biografica debba soccombere al mito; da specificare, ciò non implica necessariamente una lettura in negativo. Piuttosto interessante, dalle foto in recensione, parrebbe perlomeno la scelta di una fotografia inusuale per questo tipo di pellicole.

  2. Alberto Cassani ha detto:

    Ma i due “Ip Man” sono più film di arti marziali, questo – nonostante le foto – mi sembra più filosofico-sentimentale.

  3. Plissken ha detto:

    Si, probabilmente è -anche- filosofico sentimentale, tanto meglio 🙂 Sono curioso, spero arrivi al cinema anche dalle mie parti… ultimamente tre porcherie su quattro al multisala.

  4. Plissken ha detto:

    Oggi:

    – Rush
    – Percy Jackson e gli Dei dell’Olimpo
    – Come ti spaccio la famiglia
    – I Puffi 2 – 3D

    L’ultimo bel film che ho visto al cinema è stato “Vogliamo vivere!”. (!)

  5. Andrea T. ha detto:

    In effetti dei quattro film citati l’unico buono sembrerebbe Rush.
    Non sottovaluterei neanche Percy Jackson: fosse come il primo non sarebbe male

  6. Alberto Cassani ha detto:

    “Rush” mi dicono da più parti essere molto molto bello.

  7. Plissken ha detto:

    Ho visto “Rush” e l’ho trovato molto ben fatto, secondo me una delle migliori regie di Howard (se non la migliore).
    Non amo i film che trattano di eventi sportivi ma in questo caso mi sono dovuto ricredere… un film direi molto equilibrato senza particolari concessioni al sentimentalismo o alla Gloria.
    Sicuramente da vedere, e non solo per l’ (ottimo) aspetto filmico ma anche per emozionarsi un po’… ogni tanto non guasta. 🙂

  8. Plissken ha detto:

    Riguardo “The Grandmaster” credo che l’aggettivo utilizzato in recensione possa definirsi calzante. Il film mi è parso molto “raffinato” sia nell’esposizione filmica che nella stesura della storia, a tratti avvincente, a tratti piuttosto malinconica. Si tratta in effetti della storia non solo di Ip Man, ma anche di altri Maestri di Arti Marziali nonché di un affresco storico della Cina della prima parte del secolo scorso.

    Per ciò che concerne il Kung Fu, credo assuma maggior valenza proprio per ciò che concerne le implicazioni “filosofiche” che non come tecnica di combattimento, poiché le coreografie, per quanto cinematograficamente assolutamente valide e spettacolari, si rifanno allo stile “wuxiapian” in cui i contendenti si librano nell’aere ben al di là di quanto consentano le leggi della fisica, anche ai Maestri.
    Comunque sia, i citati combattimenti in recensione appaiono visivamente appaganti anche se a volte richiamano decisamente rimembranze di Wachowskiana memoria.

    Una cosa piuttosto anomala che ho rilevato è una certa discontinuità, frammentarità nel montaggio e nell’esposizione delle vicende inerenti i protagonisti, che a volte sembrano risultare (ribadisco nell’esposizione) prive di senso compiuto, di nesso logico come direbbe Spock. Ciò sovente risulta piuttosto fastidioso e va ad inficiare parzialmente a mio avviso la totale riuscita del film. L’impressione che ho avuto in tal senso è che il regista abbia “pasticciato” un po’, anche se naturamente potrei essere io a non aver compreso appieno il suo stile.

    Al di là della splendida fotografia citata in recensione la parte che mi è piaciuta di più riguarda, una volta tanto, la sceneggiatura, forse per le peculiarità inerenti il senso dell’Onore (comunque spesso presente in questo genere di film) e soprattutto il “rimpianto” (lode a Zhang Ziyi).
    Grande nota di merito, nessun messaggio atto alla valorizzazione/sponsorizzazione della Madre Patria cinese.

    Bravi gli interpreti principali.
    Ah, stavo per dimenticare: per la prima volta in un film cinese ho avuto modo di ascoltare una colonna sonora di Morricone: mi venga un colpo se non è quella usata in “C’era una volta in America” o perlomeno… una clonazione ben riuscita.

    A me, nonostante le pecche di cui sopra, è piaciuto, ma lo consiglierei solo agli amanti del genere.

  9. Skumkyman ha detto:

    Sono rimasto esterrefatto da quest’opera di Wong Kar Wai. Lode al regista che col suo tocco ‘magico’ dà vita ad atmosfere da vero grande cinema, a chi mi chiede chi egli sia rispondo “lo Spielberg cinese”, per il suo essere mainstream e per la volontà di fare film totali nella loro portata spazio-temporale (per cui frammentati in flashback e fastfwd) e per i temi, che come in questo film spaziano dall’amore familiare all’occhiata sul treno, dalla vendetta al perdono.
    Guardo molti film di arti marziali, ma mai, neanche nell’ottimo Jarmush di Ghost Dog, le perle de ‘la via’ erano state incastonate così bene in un contesto narrativo fluido e naturale. A tratti la splendida sceneggiatura ci regala anche degli efficaci ‘koan’ (esercizi filosofici) da risolvere nel percorso che dal cinema ci riporta alla vita di tutti i giorni.
    Non so se tutti potranno godere di questo film, credo però che abbia il merito di aprire il più possibile all’occidente la comprensione della filosofia taoista.

  10. Plissken ha detto:

    Beh, anche l’occidente ha dei registi in grado di far comprendere la filosofia delle arti marziali; tra tutti credo che, forse inconsapevolmente, si erga Mamet che con il suo “Redbelt” ha fatto un film che se non è il migliore in tema è sicuramente a livello dei migliori.
    “Redbelt” pur avendo uno stile diametralmente opposto a quello qui in dibattito, riesce anche senza rarefatte atmosfere ad inserire nel nostro quotidiano la valenza dei “codici” che regolamentano (o dovrebbero regolamentare) lo spirito di un artista marziale. Imperdibile a mio avviso.

  11. Alberto Cassani ha detto:

    Non sono sicuro sia corretto paragonare Wong a Spielberg. E’ vero che entrambi fanno film commerciali, ma i generi frequentati sono ben diversi e stilisticamente non hanno niente in comune, al di là delle ovvie differenze dovute alla cultura di appartenenza. E’ vero però che entrambi hanno saputo portare una visione d’autore nel cinema commerciale, anche se questa mi sembra sia una cosa decisamente più frequente nel cinema orientale rispetto al mondo di Hollywood.

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