"Venere in pelliccia" di Roman Polanski
01 Distribution, 14 Novembre 2013 – Manipolatorio
Un’attrice si presenta in ritardo alle audizioni per un ruolo da protagonista. Dà l’impressione di essere un’attricetta di scarso valore e il regista vorrebbe respingerla, ma quando lei comincia a interpretare la parte lui ne rimane affascinato e i due si ritroveranno sul palco insieme a interpretare la pièce e non solo…
Un film tratto da uno spettacolo teatrale a sua volta tratto da un romanzo, per di più autobiografico. Il gioco a incastro non si limita all’esterno, ma si ripete anche all’interno del film. Il regista/autore Mathieu Amalric (incredibilmente simile, fisicamente, a Polanski) ha a sua volta tratto il suo testo dal libro e forse lui stesso ha tendenze masochistiche, l’attrice interpretata da Emmanuelle Seigner (moglie di Polanski) si chiama Vanda, come la protagonista della pièce e tutta la pellicola si basa sul gioco della dominazione invertendo più volte le parti. Nella finzione scenica è la donna a essere la dominatrice, mentre nella “realtà” è naturalmente il regista a dominare l’attrice. Durante tutto il film l’entrata e l’uscita dei personaggi che vediamo sullo schermo dai personaggi che interpretano sulla scena inverte continuamente i ruoli e le prospettive (confondendoli sempre più spesso) fino al finale in cui le parti sono addirittura doppiamente invertite, almeno fino alla catarsi dell’ultima scena.
La dualità tra dominatore e dominato traspare anche nel girato. E’ cinema o teatro, quello che vediamo? Ambientato completamente all’interno di un teatro, girato con due soli attori perlopiù fisicamente “in scena”, Venere in pelliccia è quanto di più vicino al teatro si possa immaginare, ma il girato è decisamente cinematografico. Lunghi piani sequenza si alternano a stacchi piuttosto frequenti e i primi piani lasciano il posto ai totali senza soluzione di continuità. Ma poco importa quanto ci sia di teatrale in questo film di Polanski, così come importa poco quale sia il reale significato del film (l’attrice stessa dà diverse interpretazioni, alcune fanno anche infuriare il regista); quello che importa davvero è la perfezione formale di ciò che abbiamo davanti.
Venere in pelliccia è un film da manuale. La sceneggiatura scritta dallo stesso Polanski e da David Ives (autore anche dello spettacolo teatrale) funziona perfettamente. Limata all’inverosimile, non ha mai un momento di stanca e descrive due personaggi complessi la cui evoluzione è semplice e naturale. Polanski, dal canto suo, gira in un teatro e sulla scena in modo quanto più lontano possibile dalla visione teatrale di uno spettacolo. Le inquadrature frontali verso il palcoscenico si contano sulle dita di una mano, e Polanski imprime un ritmo alla narrazione che non lascia spazio a pause o cadute di tono. In mano al regista polacco un testo teatrale, ambientato in un teatro con due soli personaggi diventa un film dal ritmo veloce e sorprendentemente avvincente.
Presentato in concorso al Festival di Cannes 2013, Venere in pelliccia è uno di quei film che tutti coloro che ambiscono a lavorare nel cinema dovrebbero vedere: sceneggiatori, registi e naturalmente anche attori, dato che le prove dei due protagonisti sono superlative. Ma è un film da non perdere anche per chi ambisce a rimanere semplice spettatore: una gioia per gli occhi e l’intelletto.
Titolo: Venere in pelliccia (La Vénus à la fourrure)
Regia: Roman Polanski
Sceneggiatura: David Ives, Roman Polanski
Fotografia: Pawel Edelman
Interpreti: Emmanuelle Seigner, Mathieu Amalric
Nazionalità: Francia – Polonia, 2013
Durata: 1h. 36′
Film davvero eccezionale, sono contento di averlo visto all’uscita senza alcuna anticipazione perché mi ha sorpreso e coinvolto nella sua spirale contorta e colta.
Non é raro ritrovarsi con un testo di Euripide alla fine del film e magari ad andare ad approfondire a teatro quanto il grande regista ha reinterpretato sullo schermo.
Regia impeccabile, anche se con Polanski è una costante, attori superbi.. eppure il film non mi ha emozionato particolarmente. Certamente si vede con grande piacere, ma una volta terminato non mi ha lasciato molto.
Ho preferito sia “Carnage”, secondo me eccezionale, che “La morte e la fanciulla”, più teso, forse proprio perché meno raffinati nella sceneggiatura e più immediati.
Ad avercene, comunque, di registi del genere, che una volta superati gli 80, non sbagliano un tempo o un’inquadratura.