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Soundtrack: "A Dangerous Method" di Howard Shore

21 novembre 2011 Soundtrack 0 Commenti
Roberto Pugliese, 10 Ottobre 2011: * * * *
In collaborazione con Colonne Sonore

Tredicesima collaborazione con il regista David Cronenberg, questa composizione di Howard Shore prende il ciclo dell’Anello del Nibelungo di Wagner come costante elemento simbolico, variandolo e modulandolo fino ad impiglarlo nella ragnatela creata dal lavoro degli archi…


Chi pensava che Howard Shore avesse fatto definitivamente i conti con il wagnerismo nella Trilogia dell’Anello (direttamente da quello del Nibelungo a quello di Tolkien…), quantomeno da un punto di vista strutturale e di ispirazione (per ciò che attiene all’utilizzo dei Leitmotiv ma anche degli apparati orchestrali) si sbagliava. E’ qui, alla sua tredicesima e ultratrentennale collaborazione con David Cronenberg, che i nodi vengono al pettine in modo palese, quasi liberatorio. Perché Wagner, nel momento in cui viene citato, evocato come fantasma dell’inconscio, da Sabina Spielrein e Carl Gustav Jung, s’insedia nella partitura come un costante elemento simbolico che trasforma il compositore in un ruolo di “adattatore” per lui inedito: il tutto impreziosito dal ruolo protagonistico del pianista cinese Lang Lang, il cui tocco e fraseggio chopiniani contribuiscono a rendere particolarmente sospeso e misterioso il labirinto citazionistico dello score. Il lavoro è complicato dal fatto che le citazioni o le inclusioni di frammenti leitmotivici (ricavati dal ciclo dell’Anello, in particolare da “Sigfrido” e “Crepuscolo degli dei”) appaiono sistematiche, non contestuali, e mai compiutamente declinate: in perfetta sintonia con il nucleo del cinema cronenberghiano, rappresentano una sorta di cellule mutagene che Shore sussume nella partitura con un paziente lavoro sulle variazioni e le modulazioni, affidando a Lang Lang un ruolo concertante più che solistico, e consegnando agli archi il compito di tessere una tela di ragno nel quale le reminiscenze wagneriane sembrano quasi impigliarsi.
Questo è evidente sin dall’iniziale, brevissimo e fulminante “Burghölzli”, il brano più movimentato dello score, dove il piano e i celli trasformano in minaccioso motore ritmico il tema dei Nibelunghi, che in “Mrs. Spielrein” diventa un ostinato puro su cui si contrae disperato, negli archi, il tema a salire di Sabina (lo schema si ripeterà, su tonalità più bassa, in “Carnage”). Il pianoforte di “Galvanometer” suggerisce inizialmente la Marcia funebre di Sigfrido mentre “He’s very persuasive” è di climax puramente shoriano, con una lunga cupa frase degli archi strutturata per brevi segmenti tematici; anche “Sabina” espunge momentaneamente Wagner a favore di un fraseggiare mesto del clarino prima e degli archi poi, in una perenne sensazione di attesa perturbante.
“Otto Gross” richiama invece Lang Lang in un assolo variativo da materiali del “Rheingold” – sempre il tema nibelungico come riferimento ritmico – ma è poi Shore a levare di nuovo il proprio mèlos meditabondo e accorato: il pianista chiude di nuovo con accordi desunti da “Sigfrido”. L’operazione appare complessa, come si vede, e molto cronenberghianamente “contaminatoria”. Tra l’altro non è un Wagner trionfalistico, “ariano”, mitologico quello che interessa evocare a Shore; non a caso (“Siegfried”) è proprio dall’Idillio di Sigfrido, brano “privato” e cameristico che Wagner scrisse per il compleanno della moglie Cosima e del figlio Siegfried, che proviene la maggior parte dei materiali utilizzati, fino all’esecuzione integrale di oltre mezzora (fitta di percorsi variativi ed elaborativi) posta in chiusura. In ogni caso l’adattamento è continuamente interiorizzato e contestualizzato, come in “Freedom” che si apre proponendo in tonalità maggiore (!) l’inizio della Marcia funebre, o in “End of the affair” che recupera per un istante il sapore quartettistico dell’Idillio; “Letters” si carica di mistero con un pedale di archi che sostiene l’ostinato dei celli a scendere, sottolineando – nel piano che ripete incessantemente l’incipit della Trauermarsch – l’aspetto squisitamente mortuario, fantasmatico di questa “presenza” sonora. Wagner – ma anche Mahler, uno dei suoi più problematici continuatori – aleggia in “Confession”, dove il dialogo fra Lang e gli archi di Shore si fa inquietante nella propria severa immobilità. Il tema del Walhalla con altri materiali collegati a Wotan e in questo caso alla “Valchiria” risuona invece (ironico?) in “Risk my authority”, mentre “Vienna” espunge ogni citazione (o quasi) e fraseggia sommessamente fra oboe, piano e archi. Corni solenni, su un pedale di archi e acuto e un movimento sotterraneo che evoca il “Mormorio della foresta” dal “Sigfrido” caratterizzano “Only the God”, brano psicologicamente incombente e significativo.

L’aspetto variativo, parafrastico della partitura, viene esaltato nello sviluppo, denso ed emozionato , che gli archi dedicano all’Idillio di Sigfrido in “Something unforgivable”, riprendendo poi frammenti di “Valchiria”: qui, come anche nelle circonvoluzioni modulate di “Reflection”, e nel piano che riprende il tema del Reno circondato severamente dagli archi, e poi di nuovo l’Idillio, si evince che il mondo wagneriano è in questo lavoro un universo quasi mentale, intellettuale che va ben oltre il pretesto diegetico: sicuramente non è una mera fonte di approvvigionamento tematico, ma qualcosa di molto più districato e difficile da interpretare, per le modalità in cui Shore “riscrive” e plasma soprattutto l’inesauribile patrimonio armonico e il fitto tessuto di quella “melodia infinita” che sono il nucleo dell’opera del genio di Lipsia.
L’oltre mezzora finale, per solo piano, del “Siegfried Idyll” fa comprendere perché l’album figuri nel catalogo Sony della musica da camera: infatti si tratta di un’unica, immensa serie di variazioni scritte da Shore per il pianista cinese, che si muovono intorno al nucleo originario con forza sempre più centrifuga, sfruttando un arco dinamico amplissimo, fino a spegnersi in un rallentando estremo e in un pianissimo ai confini dell’udibile, fra gruppi di accordi vaganti, brevi abbellimenti, dissonanze profetiche: una vera meditazione sul suono come elemento della psiche.

Quindi, se Il Signore degli Anelli ha potuto rivelare la padronanza da parte di Shore della lezione wagneriana in termini di epos sonoro e di psicologia del Leitmotiv (non diversamente da quanto esperito da John Williams nella saga di Guerre Stellari), qui invece l’autore della Tetralogia è per il maestro canadese una base, una traccia fortissima e dolorosa di materiali non da esibire ma da ripensare, per comunicarci ancora una volta quel senso del tragico, della perdita, del tormento interiore che costituisce il tratto più forte di un musicista capace, come nessun altro, di interrogarci sino al fondo più oscuro dell’anima.


Titolo: A Dangerous Method (Id.)

Compositore: Howard Shore

Etichetta: Sony Classical, 2011

Numero dei brani: 19

Durata: 54′ 59”


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