"Dallas Buyers Club" di Jean-Marc Vallée
Good Films, 30 Gennaio 2014 – Sopravvalutato
Luglio 1985: Ron Woodroof scopre di avere l’AIDS. In ospedale gli danno un mese di vita, ma in Messico trova un medico che gli prescrive un cocktail di vitamine e ricostituenti. Mentre negli Stati Uniti si sperimenta l’AZT, lui crea il Dallas Buyers Club, che per 400 dollari al mese offre ai malati di AIDS questa cura alternativa…
La parabola di Ron Woodroof non è esattamente quella del buon samaritano che si fa paladino della “libertà di cura” contro le istituzioni e le lobby farmaceutiche. Cocainomane, alcolista e omofobo, Woodroof si lancia nell’impresa per puro spirito speculativo, per guadagnare il più possibile cercando di vivere il più a lungo possibile. Anche se nel corso delle due ore di proiezione diventa chiaro il suo interesse nello smascherare i rischi dell’AZT, questa freddezza rimarcata in varie occasioni è la cosa che colpisce di più, nel film, perché impedisce una completa empatia nei confronti del suo protagonista.
Questa scelta (perché chiaramente di scelta si tratta) permette però allo spettatore di osservare dall’esterno la storia di Woodroof, ed è facile capire il motivo per cui è stata fatta: rimanendo in distanza è più facile valutare obbiettivamente gli eventi, ed è più facile cambiare il punto focale della propria attenzione a seconda di ciò che il regista ci vuole raccontare in quel momento. E’ una scelta coraggiosa perché atipica, in questo genere di pellicole, e se presa da un regista di scarse capacità può facilmente portare a un disastro filmico.
Fortunatamente, il canadese Jean-Marc Vallée (C.R.A.Z.Y.) ha talento a sufficienza per manovrare egregiamente una storia dolorosa e interessante come questa, scegliendo alcune soluzioni tutt’altro che originali ma sfruttandole in maniera molto efficace. Dallas Buyers Club è infatti un film valido e in alcuni momenti realmente emozionante, impreziosito anche dalle interpretazioni dei due attori principali. L’ottimo Jared Leto recita però abbastanza di maniera un personaggio tutto sommato stereotipato mentre Matthew McConaughey stupisce soprattutto dal punto di vista fisico, anche se è indubbia l’eccezionalità della sua interpretazione rispetto ai suoi standard recitativi.
E’ forse questo, lo scarto più importante tra ciò che Dallas Buyers Club è realmente e ciò che dà l’idea di dover essere guardando il suo palmarès: è un buon film ma non straordinario, gli attori sono bravi ma non travolgenti, tecnicamente è ineccepibile ma non rivoluzionario. Il rischio è quindi di entrare in sala aspettandosi troppo, aspettandosi un capolavoro che invece non c’è. Accontentiamoci dell’ottimo film che invece c’è.
Titolo: Dallas Buyers Club (Id.)
Regia: Jean-Marc Vallée
Sceneggiatura: Craig Borten, Melisa Wallack
Fotografia: Yves Bélanger
Interpreti: Matthew McConaughey, Jennifer Garner, Jared Leto, Steve Zahn, Griffin Dunne, Denis O’Hare, Dallas Roberts, Michael O’Neill, Kevin Rankin, Donna Duplantier, Deneen Tyler, J.D. Evermore, Ian Casselberry, Noelle Wilcox, Bradford Cox
Nazionalità: USA, 2013
Durata: 1h. 57′
Concordo, film riuscito ma non così sconvolgente da far gridare al capolavoro. Molto bravo McCoughney, sebbene non ai livelli di “Mud”.
L’unica nota stonata del film secondo me è la dentatura perfetta di tutti gli attori, ormai a Hollywood anche un barbone tossicomane, non si sa perché né come, ha sempre tutti i denti e tutti bianchissimi.
Però proprio in “Mud” McConaughey aveva i denti sporchi e storti, cosa che in effetti risaltava rispetto alle abitudini di Hollywood. Comunque lì interpretava un personaggio già più simile a quelli cui siamo soliti vederlo, è normale si trovasse più a suo agio.
È vero! Forse è per questo che McConaughney l’ho trovato migliore in “Mud”?:-) (A dire il vero “Mud” è il primo film in cui ho visto McConaughney, per cui per me l’effetto abitudine non c’è stato). Per quanto riguarda i denti, credo che “Mud” fosse pensato per un mercato un po’ diverso di “Dallas Buyers Club”.
Ma non credo sia quella, la ragione. Probabilmente non ci hanno proprio pensato, dando per scontato che nessuno ci facesse caso.
Può darsi, in fondo capita di trovarsi a notare cose che possono avere diverse spiegazioni. Però non so, a me continua a sembrare un elemento incongruo nella definizione del personaggio, e la regia mi ha dato l’idea di essere molto accurata.
Veramente un gran bel film.
Secondo me l’empatia verso il personaggio di Woodroof aumenta con il procedere della storia, e penso sia una cosa voluta. Inoltre è vero che non è rivoluzionario, però penso che Vallée abbia voluto raccontare la storia mantenendosi sempre sotto le righe, senza alcun eccesso melodrammatico, come -troppo- spesso capita in questo genere di film e storie.
McConaughey e Leto straordinari. (Sul secondo condivido la figura un po’ stereotipata, ma quando si trova ad interpretare momenti più intensi è veramente eccezionale.)
Sì. penso che l’empatia aumenti perché pian piano ci si rende conto dell’utilità di quello che lui fa, al di là delle ragioni per cui lo fa e dei metodi che usa. D’accordo su Leto, incredibilmente intenso quando serve.
Il regista è molto bravo a guidarci nella parabola evolutiva di Ron e lui cambia davvero, così come il suo fisico e quello dei protagonisti. In particolare ho notato una certa attenzione nel mostrarne i corpi: i malati sono magri e fibrosi, i compagni sono flaccidi, le prostitute poco attraenti e ‘vissute’. Poi ci sono le ferite delle malattie e delle cure, tutto mi è sembrato utile a caratterizzare con perizia di particolari le differenti scelte che essi compiono nella vita. Da non perdere.
E’ vero, la ricerca del non glamour aiuta molto la forza della storia: l’ambiente in cui si muove il protagonista è sgradevole, e quindi così ci viene presentato, e così sono ritratti i personaggi. Anche la dottoressa non è angelica quanto avrebbe potuto essere, è anzi abbastanza dimessa e quasi anonima. L’unica eccezione è forse la scena delle falene in Messico
Ancora una volta su cinefile leggo le osservazioni esatte. Assolutamente non un capolavoro, DBC ha quel look da film di culto che stride con il blasone che gli porta l’attenzione mainstream.
L’aspetto più sorprendente è quanto il personaggio di Leto influenzi in modo naturale l’empatia che si prova per quello di McConaughey, rendendolo molto più gradevole allo spettatore. Molte scene e mi riferisco ad esempio a quando il protagonista prende la prima ragazza che arriva al club e se la fa in bagno faccio fatica a ricondurle alla descrizione del personaggio stesso, è come se fossero lì a riempire dei tratti blandi della vicenda in cui il ritmo della trama, tra scartoffie burocratiche e poliziotti, cala a livelli bassissimi.
Grazie dei complimenti, Dario. Io guardando il film ho pensato che quel tipo di scene, non solo quella che indichi tu, servano proprio per connotare in un certo senso negativamente il protagonista, per far capire che non è un San Paolo illuminato sulla via di Damasco ma ha messo in piedi il club principalmente come guadagno personale. E’ vero però che il personaggio di Leto aggiunge molto a tutto il film pur essendo poco più di una spalla.
Ho visti ieri il film, mi é piaciuto molto anche se non mi ha stravolto, ma mi ha divertito, quasi commosso e appassionato nella sua parabola. La dottoressa secondo me è ben delineata nella sua complessità e nel suo tormento reale di persona vera che non ha un colore solo, non sta da una parte o da un’altra per partito preso. E la scena di lui che si fa la malata di aids descrive l’uomo che è, un macho che ha perso la sua virilità e ritrova con questa ragazza la sua vecchia forza, il suo sfogo animale che evidentemente gli è negato dalla malattia. Una malattia causata tra l’altro proprio da una bestialita senza controllo che gli si rivolta contro.
E sarò sentimentale ma la scena tra le falene era bellissima dal punto di vista visivo e anche dal punto di vista simbolico…tutta quella farfallina ti ucciderà!!! Bel bel film.
Sicuramente la scena della scopata in bagno serve proprio per far capire quanto la malattia l’avesse snaturato e quanto gli mancassero le cose che caratterizzavano la sua vita precedente (a parte che in questo caso si tratta di sesso).
Concordo con la recensione sul fatto di averlo ritenuto un pò sopravvalutato ma è indubbia la validità della regia e delle prestazioni attoriali, un pò meno la sceneggiatura che nonostante sia ben scritta e, sia i dialoghi che i risvolti siano validi, non è riuscita a farmi appassionare completamente alla parabola del protagonista che ho seguito con discreto interesse ma anche con un pò di svogliatezza.
Non si è ripetuto il miracolo che fu con “The Wrestler” per esempio dove sceneggiatura, regia ed attori si incastravano meravigliosamente.
Comunque si lascia seguire, non è pesante anche se la storia può apparire risaputa, ne consiglio la visione.