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Diario Veneziano 2017

9 settembre 2017 News 2 Commenti
CineFile

30 Agosto-9 Settembre 2017

Dopo i successi raccolti nel 2016, torna anche quest’anno l’attesissimo Diario veneziano della redazione di CineFile. Ogni giorno, aneddoti curiosi e informazioni false e tendenziose su tutto quanto di inutile accade al Lido nei dieci giorni che sconvolgono il mondo della critica cinematografica.


9 Settembre

E anche quest’anno siamo arrivati alla fine, al momento in cui i nodi vengono al pettine e bisogna tirare i remi in barca perché qui una volta era tutta campagna e non ci sono più le mezze stagioni. Tra poche ore la giuria guidata da Annette Bening annuncerà al mondo il proprio verdetto, facendo incazzare gran parte dei critici che affolleranno la sala stampa durante la cerimonia di premiazione. Ma siccome a noi piace acchiappar farfalle, anche quest’anno vi proponiamo il nostro personalissimo cartellino sui film che vorremmo/potremmo veder premiati stasera. E quando domani sarà ora di levare le tende, sperando che tutto vada a gonfie vele, ci fermeremo nuovamente a riflettere su quanto il Festival di cinema più vecchio del mondo ci abbia ricordato che gallina vecchia fa buon brodo!

Lord Casco Nero
Chi vorrei vincesse: Mektoub, My Love: Canto Uno
Chi penso vincerà: una storia di morte, vecchiaia e malattia
Chi temo possa vincere: Micaela Ramazzotti per La famiglia
Il grande rimpianto: Non essere in sala stampa durante la conferenza post premiazione per assestare mazzate al solito giornalista italiano che chiederà come mai i nostri film non hanno vinto più premi

Geometra Luciano Calboni
Chi vorrei vincesse: The Insult
Chi penso vincerà: Mektoub, My Love: Canto Uno
Chi temo possa vincere: Ex libris
Il grande rimpianto: Non aver avuto la prontezza di parlare con Kirsten Dunst mentre usciva dal bagno del Casinò

Adso da Melk
Chi vorrei vincesse: Ex libris
Chi penso vincerà: Foxtrot
Chi temo possa vincere: Uno a caso tra gli italiani Una famiglia, Hannah e Ella e John
Il grande rimpianto: Aver visto il cast femminile di Mektoub, My Love salutare dalla macchina e andarsene dal Lido, e non essere partito assieme a loro

Maestro Kimura
Chi vorrei vincesse: Mektoub, My Love: Canto Uno
Chi penso vincerà: Sweet Country
Chi temo possa vincere: Foxtrot
Il grande rimpianto: Essere rimasto vergognosamente sobrio per tutta la durata della Mostra

8 Settembre

Il festival di Venezia è un posto per duri. Per i primi giorni va tutto bene: perfino quelli che fanno le interviste a caldo alle persone appena usciti dalla proiezione ottengono delle recensioni vere e proprie. Al venerdì la dichiarazione su Downsizing suona come: «Payne realizza un film gnoseologicamente interessante e filosoficamente vicino ai temi storici Kantiani e Junghiani, lavorando di sottrazione sulla recitazione strasberghiana di Matt Damon…»
Già qualche giorno dopo, le prime fatiche si fanno sentire e la stessa persone recensirebbe lo stesso film con: «Il film di Payne è bello, però… insomma… niente di che, bella la storia di quelli che diventano piccoli, tutto qui». Verso fine Festival, quando il cervello del critico medio è stato bombardato da decine di film in lingue diverse la qualità della recensione scende ancora e si avvicina a: «Ah, Downsizing… Quello con la Jennifer Lawrence che incontra la creatura acquatica?»

Con il decadimento delle capacità analitiche decade anche la capacità di trattenere informazioni più di base. La domanda «Di cosa parla questo film?» ottiene come risposta al venerdì:«Di un processo per futili motivi intentato da due uomini: uno cristiano e l’altro musulmano. Pare che sia interessante anche la visione delle donne. È libanese, di Doueiri, dura 110′.» Al lunedì:«Di un processo, 110’» e al giovedì: «Boh! Com’è il titolo?»

Dal giovedì della seconda settimana, poi, si è tutti talmente stanchi che accadono le cose più strane: persone che si scordano dove dormono solitamente e si infilano in case di vecchietti sconosciuti mendicando ospitalità, gente che invece di camminare verso il palazzo del Cinema va’ decisa verso la punta opposta dell’isola, altri che sbagliano coda e si arrabbiano con le maschere dicendo che hanno sostituito il loro badge nottetempo… Si vedono persone che vagano senza meta da una sala all’altra cercando un film qualunque da vedere, altri che come zombi cercano da un bar all’altro qualcosa da mangiare a poco prezzo (illusi!). Insomma, siamo ormai al disfacimento totale.

6 Settembre

Per un comune essere umano, la vita al Festival di Venezia può essere abbastanza strana, se non davvero dura. Tutto inizia con il dover attraversare di traverso tutta la penisola a zig zag per raggiungere una isola ospitale come Iwo Jima nel ’45, compreso di tratto in nave. Uno già si dovrebbe fare due domande durante il viaggio, ma invece no: arriva bello carico e convinto di vedere la crema della cinematografia mondiale selezionata da un pool di esperti di primissimo livello. Ma se hai titubato fino ad oggi e non ti sei ancora fatto Netflix, ti devi attaccare all’accredito. Per non dire a qualcos’altro.

Poi ti ricordi che tu non sei un comune essere umano, sei un cinefilo. Sei un cervello, una firma, un esteta. Uno che crede al mito di un mondo di celluloide. E allora, facendo il segno della croce o altri gesti scaramantici decisamente più ispirati, scacci il pensiero del lavoro arretrato che ti aspetterà al ritorno dalle ferie e ti butti a capofitto nell’affascinante vita lidense. Mentre ti accingi a entrare in sala la mattina presto per il primo film, ti arriva un whatsapp dal lavoro: lo guardi, ma lo ignori sereno, perché intanto hai già messo il trasferimento di chiamata dal tuo cellulare a un ristorante cinese della provincia toscana.

Puntualmente, però, il programma ce la mette tutta per minare i tuoi migliori propositi. Film che partono benissimo e ti esaltano come il primo limone duro in prima liceo ma che lasciano una parte di te altrettanto insoddisfatta – vuoi perché mettono insieme troppi temi e non li approfondiscono, vuoi per un finale telefonato e deludente, vuoi perché, caso peggiore, bello sì, ma dopo due ore non te lo ricordi minimamente. Potresti aver visto un documentario sui flussi migratori, una delicata storia d’amicizia tra un ragazzo e un cavallo, Matt Damon che rimpicciolisce o l’aspra vita dei soldati a un posto di blocco, e sarebbe la stessa cosa. Tutto va in un calderone in cui scene, sequenze e finali vengono tritati tutti insieme. Che poi fare la recensione è un casino. Ma per tua fortuna sei sì un critico, ma non uno quotato da particolari seguaci, e allora quando non hai un’idea critica te la cavi con il racconto della trama, qualcosa sui temi, un commento alle prove degli attori protagonisti, magari lui sì e lei no, ed ecco che hai fatto il tuo. Quotato forse no, ma sgamato sì.

Arriva, infine, la sera di una giornata passata a dribblare personaggi con superpoteri tremendi tipo lo spoiler feroce, la generalizzazione a cazzo di cane, la visione di molteplici livelli di lettura e soprattutto la capacità di dichiarare capolavoro o merda un film senza nemmeno averlo visto. Perché loro lo sanno, è sempre così. Sempre, oh! Un po’ basito te ne vai a dormire, ma ti scontri con la realtà dei fatti: per non dover impegnare la macchina al banco dei pegni, hai optato per una sistemazione da camerata del militare insieme ad altri tre cinefili, non volendo fare i nomi Lord Casco Nero, Adso da Melk e un malcapitato che “lavora” per un altro sitarelo. Tre cinefili che, mentre tu sei sfatto come la crescenza andata a male e ti fingi morto con la faccia sprofondata nel cuscino, hanno ancora tutte le energie per una discussione che parte dal serrato legal drama giapponese visto in serata per scivolare poi immancabilmente sul filone dei supereroi nel cinema contemporaneo, la qualità della gnocca vista al Lido, l’andamento del fantacalcio (il vostro venerato Maestro Kimura non ha ancora capito, dopo vent’anni, come cazzo funziona), alcuni specifiche belle donne viste durante il giorno, la pessima dieta che si mantiene generalmente sull’isola, e così via fino a notte inoltrata. La mattina dopo, alle 8:30, ti aspetta il film di Aronofsky, pronto a fare brandelli del tuo cervello. E allora, come si dice, sciambola. Ne voglio ancora.

4 Settembre

La composizione geografica della varia umanità che compone il gruppo degli accreditati stampa al Festival di Venezia varia con il variare della provenienza geografica dei film presentati al Lido. Se non ci sono film russi in concorso, non ci sono giornaliste russe in sala stampa; se non ci sono film cinesi, non ci sono troupe di CCTV che cercano di intervistarti appena metti piede fuori dalla proiezione ufficiale; se non ci sono film italiani in programma, non ci sono politici di bassa lega sul tappeto rosso.

Variando l’umanità, variano anche le mode rintracciabili intorno al Palazzo del Cinema. Ancora ignari della funzione del braccialetto di plastica azzurra che i giornalisti giapponesi portavano allacciato alla caviglia l’anno scorso, abbiamo deciso – su suggerimento del caustico Maestro Kimura – di stilare la classifica dei peggio vestiti visti sin qui al Festival.

5. Il tizio italiano, tra l’altro particolarmente fastidioso, che da almeno dieci anni si presenta al Lido con delle sgargianti t-shirt che variano tra il nerd e il patetico, a seconda della pacchianeria dei disegni. Degne di nota (di biasimo) soprattutto quelle, peraltro sempre le stesse ogni anno, dedicate ai nativi americani. Nessuno ha mai capito bene per chi scriva.

4. Le sgallettate che anche quest’anno affollano le passerelle di film di secondo piano, spesso italiani, indossando straccetti multicolore ricoperti di lustrini e paillette, che paiono essere stati creati solo per far vedere le tette e il culo di chi li indossa. Nessuno ha mai capito bene chi siano e perché sia permesso loro di sfilare sul red carpet. Su quest’ultima cosa il geometra Calboni ha una teoria, ma per motivi di ordine pubblico preferiamo non pubblicarla.

3. La tizia russa che un paio di giorni fa se ne stava placidamente seduta al bar, allungata su due sedie con le lunghe gambe abbronzate lasciate nude dalla corta gonna blu, fumando una sigaretta mentre attende il fidanzato. La inseriamo in classifica soltanto perché Adso da Melk ne è rimasto particolarmente colpito e meritava di essere preso per il culo pubblicamente.

2. Tutti gli uomini – a prescindere dall’età e dalla provenienza geografica – che vanno in giro coi calzoni coi risvoltini, che già facevano cagare negli anni 80 quando li portavano gli adolescenti rincoglioniti dalle canzoni dei Duran Duran, figuriamoci trent’anni dopo indossati da persone che si suppone essere adulti responsabili.

1. Tutti quelli che sono entrati in Sala Darsena per la proiezione stampa di Foxtrot dopo aver atteso invano che spiovesse ed essersi finalmente convinti a uscire dal bar e raggiungere la sala un attimo prima dei 5 minuti più violenti del temporale. Non si contano gli ombrelli divelti dal vento, ma soprattutto i pantaloni conciati da buttar via, le camicie e le magliette degne di una serata da Hooters e le armi di distruzione di massa che poche ore prima sembravano innocui calzini.

3 Settembre

Non deve sorprendere che il Festival cinematografico piu’ vecchio del mondo, nell’anno dei Leoni alla carriera per Robert Redford e Jane Fonda, sia caratterizzato da racconti di vecchiaia e morte. La Mostra 2017 e’ infatti tutta un proliferare di rughe e antidolorifici, vesciche incontinenti e narcolessia, perdite di memoria e crisi di tosse incontenibili. Per non parlare dei film in programma!

Da Ella & John di Paolo Virzì a La villa di Robert Guediguian, da Foxtrot a Victoria & Abdul, passando ovviamente per Our Souls at Night – ma anche per il documentario su Ryuichi Sakamoto – guardare un film al Lido e’ come entrare nella testa di Woody Allen censurando i momenti in cui pensa alla figa: tanti discorsi sulla morte, l’universo e tutto quanto sottolineati da una bella colonna sonora.

In questa atmosfera da omarelli perdigiorno che se la contano su al funerale di un conoscente, al Festival manca un Michael Haneke che ricordi a tutti che alla fine c’e’ sempre qualcuno che te lo mette nel culo, o un Clint Eastwood che insulti quelli che si lasciano andare senza combattere come l’ultimo giapponese nella foresta, o anche solo un François Truffaut che ci dica che se proprio vogliamo farci investire da un’auto, tanto vale farlo attraversando la strada per seguire un bel paio di gambe.

Certo, poi guardiamo i soldi che si portano a casa lavorando come critici cinematografici e improvvisamente, mentre un giapponese rutta a pieni polmoni in sala stampa, ci sembra che ai personaggi dei film sia andata di gran lusso…

2 Settembre

Ogni nonsisaquando, il Festival di Venezia cambia grafica. Questo porta normalmente due conseguenze: un cambio di scenografia sul Palazzo del cinema e un cambio della sigla che introduce le proiezioni dei film inseriti nelle sezioni ufficiali.

La scenografia delle ultime edizioni era caratterizzata da dei triangoli rossi con gli angoli smussati posizionati lungo la facciata del palazzo e sugli elementi di sostegno per i riflettori del red carpet. Il leone e il numero dell’edizione erano bianchi sullo sfondo – appunto – rosso, dei triangoli. Quest’anno, invece, il Palazzo del Cinema è decorato con sfere di vetro (che richiamano Murano) sfaccettate, che vanno a formare degli effetti di luce sulla facciata bianca dell’edificio. Il leone e il numero dell’edizione sono grigi su fondo bianco. Semplice ed elegante.

La sigla è un capitolo a parte. Tradizionalmente, riprende la grafica della locandina, quest’anno caratterizzata da bande verticali nere che vanno a formare il movimento di Gene Kelly in Cantando sotto la pioggia, riprendendo il concetto di quelle immagini lenticolari che danno appunto l’impressione di movimento cambiando l’angolazione da cui le si guarda.
Fino all’anno scorso, la sigla era bruttissima (sui gusti non si discute: a qualcuno piaceva e noi facciamo finta di rispettare il loro parere, ma è noto che i nostri gusti sono migliori di quelli degli altri), mentre quella di quest’anno è bellissima. Le bande nere vanno a comporre scene di alcuni film famosi: si riconoscono tra gli altri 2001: Odissea nello spazio e Taxi Driver.
E qui sta la domanda che in molti si stanno ponendo, e che facciamo nostra perche’ non c’e’ venuto in mente niente di meglio per la rubrica odierna: com’è stata fatta la selezione dei film da rappresentare nella sigla? Sono una decina, tutti battenti bandiera statunitense o italiana: perché?

La sigla della “Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia” potrebbe puntare su “Internazionale” o su “Venezia”. Se si fosse voluto puntare sulla prima ipotesi, mancano alcune cinematografie mondiali che tanto hanno dato, anche al Festival: Giappone e Danimarca, per citarne due. Puntare sull’italianità avrebbe significato ricordare Fellini e Antonioni, Visconti e Leone, per citarne alcuni.
Certo, qualcuno obietta che non è facile riprodurre in modo iconico (i film sono citati attraverso una brevissima sequenza animata) qualcosa di “statico” come può essere lo sguardo di Clint Eastwood in Il buono, il brutto e il cattivo, ma è anche vero che la cinematografia italiana è sterminata e se si è riusciti a riprodurre Caro diario e Miracolo a Milano era sicuramente possibile riprodurre anche il ballo del Gattopardo o la Ekberg nella fontana di Trevi della Dolce vita.

1 Settembre

Dopo una notte segnata da grandine, tuoni, fulmini e improperi, la giornata del Festival di Venezia si apre con una fastidiosa pioggia battente che ha fatto pensare a molti «ma cosa mi porto dietro gli occhiali da sole a fare, che piove a dirotto?» Ingenui, ignari dell’imminente arrivo al Lido di Lord Casco Nero, che ha portato con se’ un sole splendido splendente che ha splessplend… che ha rimbalzato sul nuovo pavimento bianco del piazzale antistante il Casino’, mettendo cosi’ in serio pericolo le cornee di tanti accreditati disinformati.

L’ingresso di Lord Casco Nero al PalaDirettore e’ comunque coinciso con quello di un lungo stuolo di contabili in missione per conto di vari bar e ristoranti lidensi. La frase piu’ pronunciata dei primi due giorni di Festival, infatti, e’ stata «paga Casco Nero venerdi’»! I conti in sospeso sono diventati talmente lunghi che persino la cassiera del ferry boat gli ha chiesto se era proprio sicuro di voler prendere il biglietto per il Lido!

Lord Casco, nella sua magnanimita’, ha comunque saldato tutto senza scomporsi minimamente. Le malelingue fanno pero’ risalire a lui l’arrivo di due caccia F-16 e quattro elicotteri militari Augusta-Bell ES-5 nei cieli dell’isola a meta’ pomeriggio. Quel che e’ certo, e’ che da allora nessuno ha piu’ visto il geometra Luciano Calboni.

30 Agosto

Le luci si sono accese. Non ancora nel palazzo del cinema, ma nelle sale degli addetti stampa. Alle 19:00 la consueta parata di stelle darà il via alla 74ª edizione del Festival più antico (e più bello) del mondo. Noi di CineFile siamo già sul posto, pronti a raccontarvi con il nostro solito inconfondibile stile, questa nuova edizione, che, almeno sulla carta, si prospetta di tutto rispetto.

Per uno scherzo non troppo crudele di un destino nemmeno troppo avverso, quest’anno siamo orfani del nostro Vate e Mentore, Lord Casco Nero. “Quando il gatto non c’è, i topi ballano”, recita un vecchio adagio. Di conseguenza, ci abbandoneremo senza remore ai più turpi atteggiamenti, ci sbracheremo sulle nuove panchine del Lido, faremo il bagno (non nudi, perché il rispetto per gli altri viene prima di tutto) nella nuova fontana del Casinò, correremo dietro ad ogni sottana e ad ogni paio di pantaloni e incidentalmente, se capita, andremo anche al cinema e vi renderemo conto di quello che abbiamo visto, annebbiati però dai fumi dell’alcol che copioso scorrerà nelle nostre vene.

Poi, Lui arriverà. Luminoso come un Sole, solcherà le acque della laguna quasi volando sopra di esse mentre stormi di gabbiani annunceranno il Suo arrivo e disegneranno figure nel cielo terso. Egli castigherà chi dev’essere castigato e premierà i meritevoli, nella sua infinita giustizia. Per tre giorni e mezzo penderemo dalle Sue labbra, mentre prenderà decisioni giuste e irrevocabili e faremo a gara per avere un minuto d’udienza nel Suo Tempio, il PalaDirettore. La Sua figura dominerà la Mostra e lascerà la Sua impronta, incutendo il timore e il rispetto che gli sono dovuti.
Quando, tra alti lai, dovrà ripartire, tutti, raccolti attorno a Lui, piangeremo amare lacrime e innalzeremo canti (non troppi, non vorremmo che poi i gabbiani di cui sopra ci scagazzassero in testa: sono uccelli grandi e le loro merde lo sono di conseguenza) acciocché Egli possa fare un viaggio di ritorno alla sua dimora sicuro e piacevole. Sentiremo la mancanza della Sua autorevolissima e stimatissima figura nel momento stesso in cui il Suo etereo corpo circondato di luce lascerà il lido del Lido.

E torneremo a sbracarci come e più di prima.


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Attualmente ci sono 2 commenti a questo articolo:

  1. annalisa ha detto:

    anche se non c’è è come se ci fosse!!!! quindi ballate poco topastri 😀

  2. Geom. Luciano Calboni ha detto:

    Io, sottoscritto Geom. Luciano Calboni, dipendente della Megaditta, specifico, sottolineo, faccio presente, rendo noto che ero regolarmente al lavoro c/o la Sala Volpi.

    In fede,
    Geom. Luciano Calboni

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