Ghost in the Shell di Rupert Sanders
Universal, 30 Marzo 2017 – Insopportabile
Vittima di un terribile incidente, il Maggiore è il primo essere umano a vivere in un corpo completamente cibernetico. Messa a capo di una squadra speciale antiterrorismo, il Maggiore si trova a fronteggiare qualcuno in grado di controllare la mente delle persone, mentre è proprio la sua mente a giocarle brutti scherzi…
Realizzare una versione live action del celebre fumetto di Masamune Shirow, già portato sul grande schermo in versione animata da Mamoru Oshii, era un’impresa improba per chiunque. Lo è ancor di più per un regista dal pedigree contestabile come Rupert Sanders (Biancaneve e il Cacciatore). E infatti, il risultato è tutt’altro che riuscito. Anzi: Ghost in the Shell infastidirà molto i fan di Shirow, come anche gli appassionati di fantascienza della prima ora.
Il film di Sanders potrebbe comunque piacere al pubblico di massa, prevalentemente adolescenziale, che ha dimostrato in più di un’occasione di avere memoria corta e gusti poco raffinati. Perché i problemi essenziali di Ghost in the Shell sono appunto cose cui il giovane spettatore medio presta pochissima attenzione: sceneggiatura scontata e mal calibrata, temi triti e ritriti, regia banale, musica per nulla ispirata. Dalla sua ha invece degli ottimi effetti speciali, delle scenografie (create al computer) davvero notevoli e un paio di scene d’azione da togliere il fiato.
In effetti questa versione di Ghost in the Shell parte come meglio non potrebbe, lasciando lo spettatore a bocca aperta per più di un motivo e trovando modo di presentare i personaggi in modo accattivante. Ma alla prima sequenza action ne seguono altre molto meno convincenti, fino al momento in cui l’azione lascia totalmente il posto alle parole. E allora il film si “siede”, si ammoscia fino a diventare insopportabile, fino a sommergere lo spettatore con discorsi vecchi di trent’anni, presentati senza soluzione di continuità.
Prodotto da Dreamworks e Paramount con capitali anche cinesi, Ghost in the Shell è stato bersaglio dei ridicoli attacchi dei fan del fumetto, scandalizzati dalla scelta di Scarlett Johansson per un ruolo che in origine è ovviamente giapponese. In realtà, la scelta di un cast di varia estrazione geografica aggiunge molto all’ambientazione – visto che carica l’aspetto cosmopolita della società futuristica messa qui in scena – e risulta perfettamente logico trattandosi di involucri cibernetici. Ma soprattutto, un film così debole merita sì biasimo, ma per tutt’altri motivi, che certo non mancano.
Titolo: Ghost in the Shell (Id.)
Regia: Rupert Sanders
Sceneggiatura: Jamie Moss, William Wheeler
Fotografia: Jess Hall
Interpreti: Scarlett Johansson, Pilou Asbæk, Takeshi Kitano, Juliette Binoche, Michael Pitt, Chin Han, Danusia Samal, Lasarus Ratuere, Yutaka Izumihara, Tawanda Manyimo, Peter Ferdinando, Anamaria Marinca, Daniel Henshall, Mana Hira Davis, Erroll Anderson
Nazionalità: USA, 2017
Durata: 1h. 47′
Ciao Alberto,
se non ricordo male, tempo fa mi dicesti di non aver digerito benissimo il film di animazione del 1995 e ora sembrerebbe che anche il remake in live motion ti sia risultato parimenti se non ancor più indigesto, anche se per tutt’altre motivazioni.
Intendiamoci, l’anime originale, che personalmente considero un capolavoro assoluto, contiene diversi passaggi indiscutibilmente criptici ed è comprensibile che tale caratteristica possa suscitare reazioni contrastanti in chi lo guarda. Immagino che sia stato proprio questo aspetto a preoccupare maggiormente la produzione e a rendere difficile il lavoro di adattamento. Combattuti tra la voglia di non inimicarsi la folta schiera dei fan di Ghost in the Shell e la paura di alienarsi totalmente l’ancor più vasta platea dei “profani”, alla fine hanno ceduto alla tentazione di adottare le soluzioni più semplici e meno rischiose, sfornando un film d’intrattenimento innocuo anche se tecnicamente ben fatto.
Per carità, di questi tempi non c’è da attendersi molto di più da un progetto hollywoodiano, ma non ti nascondo che il primo trailer diffuso su internet aveva alimentato in me qualche timida speranza, finita poi dritta nel cesso, insieme a quelle di tutti i fan dell’universo di Ghost in the Shell.
Pur non essendo un esperto di cinema, credo di poter affermare che il film gode comunque di un comparto tecnico di alto livello. Soprattutto dal punto di vista visuale, il film è di notevole impatto. Le scenografie ricostruiscono con efficacia le ambientazioni metropolitane che rappresentano un elemento fondamentale per immergere lo spettatore nelle atmosfere stranianti e disumanizzanti che sono una caratteristica distintiva di questo franchise.
La colonna sonora, invece, non è assolutamente in grado di ricreare le incredibili suggestioni suscitate a suo tempo dalle composizioni di Kenji Kawai.
Sui personaggi si può certamente dire che i meglio riusciti sono i comprimari. Batou è reso in maniera piuttosto efficace e Takeshi Kitano si mangia la scena ad ogni apparizione. Per quanto riguarda la protagonista principale (“The Major”), è invece doverosa una puntualizzazione. In questo film, la Johansson tratteggia un personaggio decisamente algido, non riuscendo a far trasparire nulla del travaglio interiore della Motoko originale, tormentata da dubbi sulla definizione del concetto stesso di umanità e da una profonda insoddisfazione derivante dal sentirsi relegata in un corpo artificiale che, essendo di proprietà del governo, per lei è come una prigione, giacché la rende “libera di espandersi solo entro confini prestabiliti”. In definitiva, le sue azioni, che si spingono fino a compulsioni autodistruttive, sono nel profondo motivate da un’irrefrenabile desiderio di “evadere” dalla prigionia del proprio corpo artificiale. Ebbene, vista l’interpretazione del film, le ipotesi sono: o la Johansson non ha capito il personaggio o ha seguito direttive di recitazione sbagliate o magari entrambe le cose.
Continua…
La sceneggiatura appare priva di autentici slanci creativi e dedita unicamente ad un lavoro di mixing e di rielaborazione dei contenuti dei due anime originari (del 1995 e del 2004) e di quelli delle due serie TV, condotto all’insegna della banalizzazione, scremando accuratamente tutti i contenuti di carattere filosofico-esistenziale e quelli eticamente e/o moralmente “difficili da gestire”, riducendo il tutto al solito canovaccio hollywoodiano dei buoni contro i cattivi, da sviluppare in maniera rigorosamente PG13 compliant. Insomma, coraggio pari a zero e non lo dico (soltanto) perché avrei voluto vedere le tette della Johansson…
Riguardo la regia, devo ammettere che Sanders mi è pressoché sconosciuto come regista e non saprei esprimermi circa la sua eventuale adeguatezza al progetto, anche se, oggettivamente, da l’impressione di aver fatto nulla più che un compitino da 6, per di più anche discretamente scopiazzato, se consideriamo che diverse scene sono girate in maniera molto simile a quelle dell’anime originario, tanto da sembrare una sorta di “fan service”. Se fosse stato vero, come avevano dichiarato, che la produzione nutriva grande rispetto per il materiale originario, io mi sarei aspettato, come minimo, che la regia del film fosse affidata ad un regista con un pedigree quantomeno dignitoso e invece…
Il film ha floppato di brutto al box office casalingo e gli americani si chiedono già se non si tratti del primo blockbuster che paga pegno al botteghino per le polemiche sul whitewashing. Secondo me sono tutte cazzate e il flop al botteghino è solo la conseguenza del fatto che è un film mediocre, sceneggiato (come sempre più spesso accade) al minimo sindacale ed affidato ad un regista probabilmente inadeguato. Il modo discutibile di gestire il materiale di partenza ha poi influenzato negativamente il prodotto finale, che appare come un bell’involucro senza contenuti di valore, insomma uno shell senza il ghost… Il film probabilmente si salverà dal disastro totale con gli incassi in terra nipponica o magari in Cina, ma ciò non potrà certo cancellare la sorprendente incapacità con cui le major hollywoodiane gestiscono dei franchise dal potenziale enorme…
Non ricordo bene cosa si diceva dei cartoni di GitS, ma le mie perplessità riguardano soprattutto il secondo, non tanto il primo di cui non ricordo quasi nulla. Però qualche mese fa ho tentato di rileggere il fumetto ma non ce l’ho fatta: al di là della mia disabitudine a leggere manga, l’ho trovato invecchiatissimo come temi e come stile di narrazione.
Il film per ora sta andando peggio del previsto ma è presto per darlo come flop, anche se i costi di produzione sono alti. Nel primo week-end di programmazione in USA si prevedevano dai 25 ai 30 milioni di dollari di incasso, ma si è fermato a 20, quindi poco ma non un disastro. Certo non è e non poteva essere uno schiacciasassi alla Marvel. Purtroppo adattare per il grande pubblico storie di altri media è sempre complicato, e non sono sicuro sia giusto dire che Hollywood non ci riesce mai: Hollywood, per sua costituzione, tenta sempre di adattare qualcosa per il pubblico più ampio possibile, e questo vuol dire appiattire quante più cose possibili. A volte questo lo si può fare creando un prodotto artisticamente pregiato, ma molte volte no. E’ vero che i film che restano nel tempo sono proprio le poche felici eccezioni, ma film di culto lo si diventa nel tempo, ed è facile capire perché i produttori non siano interessati a vedersi riconosciuta la bontà del loro lavoro vent’anni dopo che sono stati licenziati… Da GitS speravo almeno di trovare divertimento, invece ho visto solo un comparto tecnico pregevolissimo.
Scarlett Johansson è un’attrice mediocre, e non mi aspettavo assolutamente che potesse donare granché al personaggio. Però della sua generazione è l’unica attrice ad avere un “peso” tale da poter reggere al botteghino un film così. Della sua generazione o di quelle immediatamente prima e dopo, perché una Jennifer Lawrence pellicole non ha mai avuto sulle proprie spalle pellicole così pesanti e Charlize Theron quando ci ha provato ha fallito.
Sono convinto anch’io che alla lunga il film incasserà abbastanza da rientrare nei costi ed ottenere dei ricavi, anche perché le major ormai puntano abbastanza su alcune platee estere, quella cinese in primis.
Riguardo il manga di Masamune Shirow, ti do ragione sul fatto che è di difficilissima lettura, anche perché praticamente intraducibile in modo efficace nelle lingue occidentali. In effetti ho apprezzato molto di più la trasposizione cinematografica di animazione che ne fece Maoru Oshii nel 1995.
E’ altresì giusto affermare che nessuno poteva attendersi che Ghost in the Shell potesse ammaliare il pubblico di massa come un film Marvel. Però è altrettanto vero che hanno fatto di tutto per farlo somigliare ad un film di supereroi e questa è un’altra cosa che ha dato potentemente sui nervi a molti, me compreso.
Infine, riguardo la Johansson, mi viene un dubbio: visto il personaggio che doveva interpretare, siamo sicuri che non sia stata scritturata anche in virtù della sua nota inespressività facciale?
In chiusura, non posso fare a meno di rammentare quello scambio di opinioni che avemmo poco tempo fa (se non sbaglio sulla recensione di Watchmen) riguardo il fatto che conoscere il materiale di origine a cui un film si ispira sovente finisce per condizionarne la visione, sia da parte del pubblico che dei critici. Non ti nascondo che, se non avessi visto (ed apprezzato) l’anime originale del 1995, probabilmente avrei valutato questo film con tutt’altro metro di giudizio.
Visto ieri sera. Sicuramente non un capolavoro ma neanche la vaccata che sembra trasparire dalla recensione. Se ne facciamo una questione poi di temi triti e ritriti allora di film ne salviamo pochini. Per me è un buon action fantascientifico con qualche buco di sceneggiatura.. alla peggio metterei il semaforo giallo
Conoscere bene la fonte originale di un film è “pericoloso” per più di un motivo: sia perché porta ad avere aspettative di un certo tipo che in altrimenti non si avrebbero e che non si possono ignorare, sia perché finisce per rendere complicato notare determinati pregi o difetti della pellicola, dato che si finisce inconsciamente per riempire i vuoti con la propria conoscenza pregressa. E questo va da cose banalissime come la prevedibilità di un intreccio giallo ai sottotesti di una pellicola filosofica all’aspetto visivo di un film di animazione. Non c’è dubbio che uno spettatore avrebbe una reazione diversa a uno stesso film, conoscendo o meno la fonte originaria.
Infatti, il film è sicuramente migliore di molti remake di classici degli anni ’80 che hanno realizzato recentemente, solo che è stato penalizzato dal fatto che l’anime originale, oltre ad essere decisamente “Rated-R”, era anche uno scrigno di contenuti difficilmente riproponibili alle platee di massa attuali.
Il goffo tentativo di semplificare tutto per riproporre il film con rating PG-13 adatto ad una platea più vasta ha fatto il resto. Tuttavia, l’errore più grave commesso dai produttori è stato quello di dare per scontato che il mondo intero (e pubblico americano in primis) conoscesse e apprezzasse l’universo di Ghost in the Shell. Ciò non è assolutamente vero, in quanto si tratta di un prodotto che, pur godendo di lusinghieri giudizi di critica, è sempre stato indirizzato ad una platea di nicchia, costituita da uno zoccolo duro di fans. Se il film è stato quasi ignorato nel weekend di apertura negli States, non è certo per le polemiche sul whitewashing, ma semplicemente perché il 90% dei potenziali spettatori non aveva idea di che roba fosse e, non essendo un capolavoro assoluto, il passaparola ha avuto effetti risibili.
Per inciso, sembra che il flop al box office sia ormai confermato. L’accoglienza in Cina non è stata tale da ribaltare la situazione e difficilmente il contributo delle sale giapponesi potrà risultare decisivo. Gli studios di produzione sono ormai rassegnati a perdere una cifra più che sostanziosa (si parla di almeno 60 milioni di dollari). Speriamo che questo sia sufficiente a risparmiarci ulteriori sequel…
Sì, durante la settimana ha portato a casa poco più di un milione al giorno, negli Stati Uniti. Se consideriamo che “Lucy” ne aveva incassati da 3 a 5, durante la prima settimana lavorativa di distribuzione, abbiamo un’idea di quanto rapidamente si sia sgonfiato, al di là che già partiva da cifre basse. Tra USA e Cina non dovrebbe riuscire a riprendersi tutti i 110 milioni di dollari di costo, e a questo punto il resto del mondo non potrà certo portarlo il attivo. Va detto che in patria ha contro La Bella e la Bestia e in Cina Skull Island, che stanno andando alla grandissima, ma tra Dreamworks e Paramount direi che si stanno preparando i cappi.
Tra l’altro non ho proprio idea di quale possa essere il livello di conoscenza del pubblico adolescenziale statunitense della saga di Ghost in the Shell, ma sicuramente minima. I fumetti in generale vendono poco (il fumetto più venduto del mese scorso ha venduto poco più di 100.000 copie, che per una popolazione come quella statunitense è una cifra ridicola: come se da noi Tex vendesse 18.000 copie), figuriamoci quelli giapponesi…
Andrea, mi spiace ma io il semaforo giallo non l’ho mai nemmeno preso in considerazione: dopo mezz’ora già non ne potevo più. Un film d’azione senza azione non merita la sufficienza.
Ok, Alberto rispetto il tuo giudizio ma mantengo il mio (sufficienza seppur risicata).
Ho finalmente visto anche l’anime del 1995 e non posso che concordare con Donato: è un peccato aver appiattito il film in quel modo.
A mio avviso lo avessero girato uguale all’anime (ove possibile) shot by shot avrebbero reso un servizio migliore al pubblico (che non si trovava a guardare la “solita” storia) e agli autori del manga.
Ci mancherebbe che ti faccia cambiare idea, Andrea…
In effetti avrebbero potuto trovare il modo di essere più fedeli a fumetto e cartone, perché tra Scarlett e promozione non avrebbero comunque dovuto aver paura di spaventare il pubblico. Invece hanno provato ad andare sul sicuro, ma gli è andata male.
Ho preso visione di questo film con l’approccio tipico riservato ai pop corn movies, perché da più parti le perplessità espresse dalla (e dalle) recensione/i non lasciavano adito a grandi speranze.
Non mi ci metto nemmeno a rappresentare il punto di vista, tra l’altro così bene esplicato da Donato, inerente gli appassionati (nonché “esperti”) della saga poiché non ho mai letto il fumetto e della visione degli anime ho un ricordo piuttosto appannato, per quanto avente valenza superiore della pellicola in oggetto.
Di questa pellicola ho apprezzato anch’io prevalentemente l’aspetto scenografico ed alcune scene d’azione, ma non mi sento di bocciare in toto il progetto, per quanto certamente rivolto e/o pensato per un pubblico di “grana grossa”. Tenendo conto dei precedenti che hanno “attinto” da illustri “fumetti” tra i quali mi viene in mente “Watchmen” o “Aeon Flux”, non è certo semplice riversare in pellicola soggetti così complessi anche perché oramai vetusti da un punto di vista… anagrafico. Forse i temi “triti e ritriti” sono dovuti anche a ciò, per quanto di nobile stirpe.
Quindi, considerando il target “giovanile” a cui si rivolge commercialmente questa operazione (e qui già diciamo parecchio…), poi la media delle pellicole propinate agli spettatori “medi” tra cui primeggiano i vari “Kong”, “Fast & furious” e via dicendo, e non ultimo il fatto che molta critica inneggi a capolavori pellicole che ritengo indegne quali gli ultimi escrementi milleriani, credo si possa avere in anticipo un’idea su cosa aspettarsi da questo tipo di trasposizioni. Ovvio che non vedo l’ora di potermi sorprendere in positivo…
Per tale motivi, per i quali già a livello inconscio vado a scindere a priori l’opera originaria dal film, nel complesso mi associo all’opinione di Andrea T., ovvero, per quanto di stretta misura, la sufficienza la darei, un po’ come per un film come “Life – non oltrepassare il limite” che ha un impianto filmico sufficiente ma che pecca nella sceneggiatura, talmente affine ad “Alien” che sembra volerne usurpare il sottotitolo “la clonazione” presente nel quarto capitolo.
Vabbè, sintetizzando… a mio avviso sceneggiatura sovente prevedibile come da recensione, Johansson tutto sommato passabile, una certa vena malinconica non disprezzabile, caratterizzazione in linea con la “concorrenza”, buoni effetti, per un prodotto senza lode né infamia a tratti godibile.
Concordo molto con la recensione, sia pregi (pochi) che difetti: personalmente mi ha fatto rimanere indifferente, come l’ho visto, così l’ho dimentico.
Sempre in tema box office, Albe questo è stato un flop?
Quanto ha guadagnato nei tre mercati orientali?
Grazie 🙂
Un mezzo flop, sì: ha incassato 170 milioni di dollari in tutto il mondo, con un costo di 110. In Cina ha incassato 30 milioni, in Giappone 9 e in Sudcorea 5 e mezzo. In Giappone è stato il 53° incasso dell’anno, ma era prevedibile dopo le tante critiche ricevute per la scelta dell’attrice.