"Grand Budapest Hotel" di Wes Anderson
20th Century Fox, 10 Aprile 2014 – Carino
Gustave H è il concierge di un lussuoso albergo europeo. Il suo più fidato amico è Zero Moustafa, che in quello stesso albergo lavora come fattorino. E mentre l’Europa è in rapida e radicale trasformazione, nell’hotel ci si disputa una fortuna di famiglia, scompare un celebre dipinto rinascimentale e nasce una dolce storia d’amore…
Carino, favolistico e teneramente assurdo. Le inquadrature sono da ricostruire un centimetro alla volta per non perdere nemmeno un particolare. Lo sguardo va alla ricerca dell’oggetto di design giusto, di quel dettaglio che cerca di far sballare la solita immancabile simmetria con cui compone i suoi quadri o, al limite, prova a beccare la citazione giusta. Ecco il solito Wes Anderson in tutto il suo splendore vintage. Pochi movimenti di macchina e personaggi che si muovono velocemente come burattini. Costumi curatissimi e tanto minimalismo. Ed ecco un’idea di cinema forte per quanto scarna ed essenziale. Il risultato, tuttavia, è perfetto. Tutto è al suo posto.
Benvenuti al Grand Budapest Hotel, sfarzoso hotel degli anni 20 pensato espressamente per il vostro relax lontano dal caos. Tanto che per raggiungerlo bisogna prendere una funivia che sembra uscita da un libro illustrato. Il personale è pronto a soddisfare ogni vostro desiderio e vi attende in una delle piscine antiche o in sala da ballo. Potete perdervi guardando uno dei quadri giganteschi o passeggiare sui tappeti senza nemmeno un pelucco fuori posto. E poi ascensori da manovrare e casseforti nascoste. All’interno di una di queste ultime trova posto il celeberrimo Ragazzo con la mela, dipinto di inestimabile valore. Perché un semplice e fascinoso concierge come Gustave H (Ralph Fiennes) è in possesso di un quadro del genere? Ha forse architettato l’uccisione di una delle sue vecchie amanti, Madame H (Tilda Swinton) per entrare nel testamento e mettere le mani sui suoi averi?
C’è qualcosa che non va in questo film? Sì, ma non è un problema. Grand Budapest Hotel è un giallo, uno di quei film della serie Cluedo in una variante moderna in cui il colpevole, però, viene svelato nella maniera più sbagliata e telefonata. Ma non importa. Il gioco narrativo è complicato. In apertura una bambina rende omaggio alla statua di un autore, inizia a leggere un libro, parte una voce narrante, un cliente del Grand Budapest Hotel si accorge del signor Moustafa seduto in disparte e inizia la divisione in capitoli cara da sempre al regista de I Tenenbaum. Troppi piani del racconto. Ci si perde. Chi se ne importa. E non c’è spazio neppure per le brutte notizie, nemmeno sul finale quando vengono abilmente ridotte al minimo le parti più tragiche.
Cinema di evasione che non turba e non richiede fatica. Ti tiene in braccio e ti porta lontano nello spazio e nel tempo. Se necessario ti mostra un giocattolo, un baffetto o un vecchio oggetto perfettamente conservato e tutto, nostalgia permettendo, fila via per un paio d’ore. Come i cantano I cani: «E i cattivi non sono cattivi davvero. E i nemici non sono nemici davvero. Ma anche i buoni non sono buoni davvero, proprio come me e te». Che bello sarebbe vivere in un film di Wes Anderson. Davvero.
Titolo: Grand Budapest Hotel (The Grand Budapest Hotel)
Regia: Wes Anderson
Sceneggiatura: Wes Anderson
Fotografia: Robert Yeoman
Interpreti: Ralph Fiennes, Tony Revolori, F. Murray Abraham, Mathieu Amalric, Adrien Brody, Willem Dafoe, Jeff Goldblum, Harvey Keitel, Jude Law, Bill Murray, Edward Norton, Saoirse Ronan, Jason Schwartzman, Léa Seydoux, Tilda Swinton, Tom Wilkinson, Owen Wilson
Nazionalità: USA – Germania, 2014
Durata: 1h. 40′
Grazie per la bella recensione, da grande affezionato del cinema di Anderson non posso non essere felice di sapere che anche questa volta ha colto nel segno. Il progetto scenico sembrava piuttosto ambizioso in primis, mentre a quanto pare si conferma adorabilmente ‘idiosincratico’. wow
“Cinema di evasione che non turba e non richiede fatica.” “Carino” lo definisce la recensione.
Personalmente non sono d’accordo. Il film di Anderson è molto, molto di più.
Con “cinema di evasione” abitualmente indico quei film che una volta terminati non lasciano in me una grande traccia e che presto verranno dimenticati (un “Monuments Men” per esempio, film simpatico e superficiale).
Lo stesso vale per la parola “carino”. E’ proprio la parola che usiamo più spesso per indicare quei film che ci hanno divertito solamente a tratti e/o non vogliamo stroncare, magari per la presenza di un attore che ci piace.
“Grand Budapest Hotel” è l’apice della carriera di Wes Anderson. Un genio (non ancora del tutto compreso).
E’ un fuoco d’artificio di 100 minuti, un’esplosione di colori, di musiche, con un gruppo di attori (difficile dire chi sia il più bravo) da far impallidire qualsiasi film corale fin qui realizzato. Le trovate registiche trovano la loro massima espressione in una dozzina di scene memorabili (la sequenza dell’evasione è qualcosa di mirabolante), coreografate al millimetro e con una cura del dettaglio maniacale.
Immutata la capacità di affrontare tematiche serie con grande leggerezza, grazie anche a sceneggiature sempre piene di inventiva, qui addirittura in un meccanismo (volutamente) intricato.
E dopo tanto colore e tanto movimento, un meraviglioso finale, intenso e sobrio.
Senza dimenticare che, per e con Anderson, il cinema è soprattutto divertimento.
Un capolavoro.
Guido scrive: “Lo stesso vale per la parola “carino”. E’ proprio la parola che usiamo più spesso per indicare quei film che ci hanno divertito solamente a tratti e/o non vogliamo stroncare, magari per la presenza di un attore che ci piace”
Io, invece, non la uso mai la parola “carino”. La detesto. Credo, tuttavia, che per questa sorta di favola di Wes Anderson, bellissima da vedere e in cui tutto è perfettamente al suo posto, fosse azzeccata. Magari sbaglio.
Guido scrive: “E’ un fuoco d’artificio di 100 minuti, un’esplosione di colori, di musiche, con un gruppo di attori (difficile dire chi sia il più bravo) da far impallidire qualsiasi film corale fin qui realizzato. Le trovate registiche trovano la loro massima espressione”
Il film le è piaciuto parecchio. Anche a me. Ero in compagnia di una bellissima donna. Le ricordo però che i movimenti di macchina di Wes Anderson sono sempre molto lineari e precisi. Solo carrelli e qualche panoramica. Secondo me “fuoco d’artificio” e “trovate registiche” per un regista che invece fa della cura del dettaglio e della misura la propria cifra registica è esagerato. Ma il bello è che la vita è come Il Grand Budapest Hotel, pieno di clienti differenti. ^^
Ringrazio Sandro per la bella risposta. Soprattutto l’ultima frase.
“Fuoco d’artificio” perché è una festa per gli occhi, come sempre per i film di Anderson.
Una “trovata registica (e di sceneggiatura)” può essere un gruppo di utensili nascosto in alcuni dolci .
Sulla cura del dettaglio e della misura sono d’accordo con lei.
Dopo averlo visto, aggiungo che ha anche un profondo messaggio storico e sociale da comunicare…
Ho visto solo gli ultimi 3 film di Anderson e questo qui è in linea con lo stile dei precedenti.
Sempre divertente e curioso vedere come il regista reinventa le (nostre) storie simpatiche e teatrali.
Carino, per me, è la parola giusta.