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"I lunedì al sole": incontro con Javier Bardem e Fernando León de Aranoa

18 marzo 2003 Interviste 0 Commenti
I lunedì al sole

Pochi giorni prima dell’uscita nelle sale italiane de I lunedì al sole, il regista Fernando León de Aranoa e l’attore Javier Bardem sono venuti a Milano per incontrare la stampa e parlare del loro film, che la Spagna ha proposto per la candidatura all’Oscar come miglior film in lingua straniera…


C’è stato tanto clamore riguardo il fatto che la Spagna avesse scelto il vostro film invece che quello di Almodovar per gli Oscar. In patria avete avuto un enorme successo, e probabilmente lo otterrete anche all’estero, ma queste polemiche come le avete prese?
Javier Bardem: Credo che l’Accademia del Cinema Spagnolo avesse due possibilità: presentare una pellicola che aveva serie possibilità di vincere, come Parla con lei che è un film bellissimo, oppure scegliere il film che a loro era piaciuto di più, a prescindere dalle difficoltà commerciali, come appunto I lunedì al sole. Hanno scelto la seconda possibilità, e credo sia stata la cosa migliore. Da parte mia, non mi aspetto più nulla da questo film, perché mi ha già dato molte soddisfazioni: abbiamo fatto un buon film e abbiamo avuto un successo più grande di quanto ci potessimo aspettare.
Fernando León: Probabilmente molti pensano che l’Accademia di Spagna avrebbe dovuto ragionare come l’Academy statunitense e fare una determinata scelta. Invece l’Accademia spagnola è stata molto coraggiosa: ha scelto quello che davvero voleva, quello che davvero ha apprezzato maggiormente, anche se era chiaramente una scelta rischiosa. È stato un chiaro segnale di indipendenza, e di questo dobbiamo essere soddisfatti.

Nella locandina si legge che il film «è basato su migliaia di storie vere». Ci sono dei fatti precisi a cui vi siete ispirati?
Fernando León: In realtà mi sono ispirato a diversi fatti realmente accaduti, e li ho mescolati con scene generate dalla mia fantasia. Ho preso tante piccole cose che hanno poi portato il film ad essere quello che è. All’inizio della lavorazione mi sono ispirato ad un fatto accaduto in Francia all’inizio degli anni ’90, quando ci fu un grande sciopero durante il quale gli operai utilizzavano modi molto strani, bizzarri, per manifestare la propria insoddisfazione. Ad esempio, andavano al ristorante a mangiare piatti costosissimi e poi dicevano di non avere i soldi per pagare perché erano in sciopero. Uno dei movimenti che scioperavano in quel periodo si faceva chiamare “I lunedì al sole”, che poi è diventato il titolo della pellicola, perché invece di rimanere in fabbrica uscivano all’aria aperta a protestare. In seguito è diventata un’espressione comune: «questo è davvero un lunedì al sole», nel senso che siamo qui uniti, tutti insieme a protestare fuori dalla fabbrica.
Un altro fatto reale cui mi sono ispirato era avvenuto a Gijon, in Galizia, tre anni fa, quando c’è stato un grande licenziamento nei cantieri navali: hanno mandato via 90 lavoratori, e io ho vissuto insieme a loro quei momenti partecipando alle loro assemblee e alle loro manifestazioni, facendo anche alcune riprese, che ho poi utilizzato nella scena dei titoli di testa del film.
Un’altra forte ispirazione sono stati i libri che ho letto, soprattutto quelli di psicologia del lavoro ma anche quei manuali del tipo Come ottenere un impiego, Come presentarsi ad un colloquio di lavoro… Il personaggio di Lino è ispirato a quei libri: lui segue le regole scritte su quelle pagine, anche se ho esasperato certe situazioni, però in pratica lui finisce per travestirsi per presentarsi ai colloqui…

Nel film non vengono mai fatti precisi riferimenti politici, anche se è chiarissimo quale sia l’indirizzo politico dei personaggi. Come mai questa scelta di non nominare mai i partiti, di non affiancare mai i personaggi ad una lotta politica dichiarata?
Fernando León: È vero, ho cercato di fare a meno dei partiti politici, di non fare riferimenti specifici ad un governo o ad un movimento politico, ma credo sia ben chiaro il contesto nel quale si svolge il film. Ho cercato di fare in modo che l’ideologia politica rimanesse sempre sullo sfondo rispetto ai personaggi, erano i personaggi a dover essere in primo piano. In genere il cinema militante riesce a parlare solo a chi la pensa in quella maniera, chi già si riconosce nei personaggi; ma io penso che per fare un cinema che sia efficace sotto questo punto di vista si debba fare un cinema che non sia militante. Ho cercato di parlare della lotta dei disoccupati, occupandomi anche di ideologia, con un linguaggio popolare, con il linguaggio della strada, non con un linguaggio veramente politico. Questo mi ha permesso di raccontare una realtà più universale, di non fare semplicemente un film sulla riconversione industriale della Galizia. “I lunedì al sole” è un film che parla di problemi comuni a tutte le grandi città europee.

Qualcuno ha paragonato il suo film a quelli di Ken Loach. È un paragone che la onora o le dà fastidio?
Fernando León: Non lo so, bisognerebbe chiedere a Ken Loach…! Certamente vengono affrontati degli argomenti simili, ma credo che il modo in cui il film è raccontato sia completamente diverso, perché veniamo da esperienze profondamente diverse. Comunque, per realizzare un film così lungo e complesso un regista cerca di prendere spunto da ciò che succede per strada, dalla vita reale, non da quello che si vede in altri film.

Nel film c’è una sola donna adulta, e a parte Reina è l’unico personaggio che lavora. Nonostante la situazione difficile, Ana rimane accanto a suo marito disoccupato. Questa situazione rappresenta un cambiamento del ruolo maschile, in Spagna?
Fernando León – Volevamo proprio toccare questo tasto dolente. Volevamo entrare all’interno di un matrimonio con i coniugi alle soglie dei quarant’anni, in cui è la donna che lavora, anche se ha un lavoro temporaneo. Sono proprio i pensieri di José sul ruolo dell’uomo nella famiglia che fanno sì che il suo rapporto con la moglie vada rapidamente in pezzi. Mentre scrivevamo il film, e ancora quando lo stavamo girando, pensavamo fosse evidente che la permanenza di Ana in casa fosse soltanto un fatto temporaneo: magari solo tre mesi, sei… se ne andrà perché è una situazione inevitabile, visto il peggioramento del rapporto con il marito. Quando però abbiamo fatto vedere il film ai lavoratori dei cantieri navali di Gijon, ci hanno ringraziato molto perché l’hanno preso come un omaggio al valore delle donne che nonostante tutti i problemi sono rimaste coraggiosamente accanto ai loro compagni, anche se sono state molte quelle che se ne sono andate. A questo punto ho capito che Ana sarebbe rimasta a fianco di José e la loro situazione si sarebbe piano piano messa a posto. Lì mi sono reso conto che chi non vive direttamente una situazione non ha il diritto di renderla ancor più drammatica di quello che è. Io forse pensavo ad una situazione ancor più terribile di quella che era veramente: quei lavoratori avevano una visione del loro futuro con molte più speranze di quella che sentivo io.

C’è un’altra donna, la ragazzina, che ha un senso molto più pratico, che cerca di sopravvivere in qualche modo…
Fernando León: Nata ha una visione certamente più pragmatica rispetto agli adulti, fa chiaramente parte di un’altra generazione: lei vive con i piedi piantati per terra, ha una visione della realtà molto più vera di quella di Santa, ad esempio. Forse lei vorrebbe vendere il bar del padre e vivere con il ricavato, ma la sua presenza a fianco degli altri nelle ultime scene del film serve proprio a rappresentare un passaggio del testimone dalle generazioni che hanno già vissuto quei problemi alle nuove, che ancora non conoscono davvero quelle sofferenze, quella vita.

A fianco delle musiche originali di Lucio Godoy, durante il film si ascoltano anche diverse canzoni di repertorio. Come le avete scelte?
Fernando León: Le ho scelte perché mi sembravano reali, adatte al contesto. Sia Volare che la canzone francese associata al personaggio di Santa portano soprattutto un messaggio di speranza: hanno entrambe un testo che parla di fuga, di «andarcene via lontano». La canzone francese parla di un luogo distante, in cui ci sono delle spiagge dorate… È una canzone utopica, come d’altronde è utopico il pensiero di Santa di fuggire in Australia… La scelta di Volare ha anche un altro significato: oltre a parlare di «volare nel cielo infinito», lontano dalla realtà, rappresenta anche un momento di unione dopo la lite che ha creato un frattura nel gruppo di amici. Mi sembrava giusto tornare ad accomunarli, in questo caso facendoli salire sul palcoscenico del karaoke a cantare tutti insieme abbracciati.

Nel caso di questo film, è stato attratto dal personaggio o dalla storia?
Javier Bardem: Io credo che la colonna vertebrale di ogni film sia la sceneggiatura. Ci sono film con bravi registi e bravi attori, ma ben poco film perché la sceneggiatura non è valida. In questo caso credo avessimo a disposizione un’eccellente sceneggiatura, ma i pregi di questo film erano tre: Fernando che è un ottimo regista, la sceneggiatura abbastanza originale e un personaggio piuttosto fuori dal comune, con diverse sfaccettature interessanti.

I lunedì al sole è una commedia drammatica, ma si può davvero sorridere senza lavoro?
Javier Bardem: Sì: si deve sorridere, altrimenti si muore! È difficile, certo, ma in quelle situazioni il sorriso è l’unica via d’uscita.

Cosa vorrebbe succedesse ai personaggi, dopo la fine del film?
Javier Bardem: Non lo so… credo che il finale del film sia uguale all’inizio, non ci vedo questa gran differenza… Forse è brutto dirlo, perché è una cosa importante ma drammatica, ma la speranza che i personaggi hanno è una speranza interiore, è un cambiamento interiore delle loro persone, non è qualcosa di esterno. Al di fuori di loro, non è cambiato nulla.


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