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"Ida" di Pawel Pawlikowski

13 marzo 2014 Recensioni 8 Commenti
Ida

Parthenos, 13 Marzo 2014 – Glaciale

Polonia, 1962. La giovane Anna sta per prendere i voti e diventare suora in quello stesso convento in cui è cresciuta da orfana, quando scopre che la sorella di sua madre è ancora viva. Le due donne si mettono alla ricerca della tomba dei genitori di Anna, in un viaggio che farà capire alla ragazza chi è veramente…


Agata Trzebuchowska in IdaPaweł Pawlikowski torna sui nostri schermi dieci anni dopo l’apprezzato ma poco visto My Summer of Love, e lo fa con il film che rappresenta anche il suo ritorno in quella Polonia che aveva lasciato all’età di 14 anni. Vincitore dell’ultimo Festival di Londra, Ida ha un’apparenza fredda come i paesaggi che ci mostra ma nasconde un cuore emozionale forte e intenso.

Agata Kulesza con Agata Trzebuchowska sullo sfondo in una scena di IdaQuello di Anna e Wanda è un viaggio nelle loro idee come anche nelle loro personalità, ma per noi spettatori è soprattutto un viaggio nei postumi dell’odio che ha caratterizzato la Seconda Guerra Mondiale. Pawlikowski lo racconta con la giusta discrezione, alternando primi piani silenziosi a campi totali in cui il luogo pare voler sminuire le figure umane che circonda, e senza mai disturbare la placidità delle scene con dei movimenti di macchina.

Una scena di IdaIl bianco e nero nitido e bilanciato curato dai direttori della fotografia Żal e Lenczewski si sposa perfettamente con il formato “puro” della pellicola 35mm scelto dal regista di Varsavia, un fotogramma quasi quadrato che dà allo spettacolo cinematografico una prospettiva ormai anomala, impedendo al racconto di assumere visivamente un respiro epico. Perché si tratta pur sempre del viaggio di due donne il cui passato condiziona le azioni del presente fino a portarle verso un destino più imposto che scelto.


La locandina di IdaTitolo: Ida (Id.)
Regia: Paweł Pawlikowski
Sceneggiatura: Paweł Pawlikowski, Rebecca Lenkiewicz
Fotografia: Łukasz Żal, Ryszard Lenczewski
Interpreti: Agata Trzebuchowska, Agata Kulesza, Dawid Ogrodnik, Joanna Kulig, Jerzy Trela, Adam Szyszkowski, Halina Skoczyńska, Dorota Kuduk, Natalia Łagiewczyk, Afrodyta Weselak, Mariusz Jakus, Izabela Dabrowska, Artur Janusiak, Anna Grzeszczak, Jan Wojciech Paradowski
Nazionalità: Polonia, 2013
Durata: 1h. 20′


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Attualmente ci sono 8 commenti a questo articolo:

  1. annalisa ha detto:

    io l’ho trovato un pò troppo sterile, lei non sembra essere in grado di provare emozioni! però ho apprezzato tantissimo la scelta estetica del film, la forte staticità delle immagini, zero movimenti di macchina e soprattutto la scelta di usare proprio pochi take per raccontare il tutto, il regista ad esempio se ne frega completamente di svolgere scene di dialogo con il classico campo controcampo, si fa bastare un totale! oppure la scelta di inquadrature con tantissima aria in testa ai personaggi, credo che sia la prima volta che mi capiti di vedere un film con inquadrature così decentrate

  2. Alberto Cassani ha detto:

    Visivamente mi ha ricordato un po’ “Il nastro bianco” di Haneke, anche se lì c’era una raffinatezza delle immagini che qui non è cercata. Però l’uso di piani e di un montaggio lento mi ha dato una sensazione simile, così come la predominanza dei luoghi sui personaggi. La Trzebuchowska effettivamente lascia trasparire pochissime emozioni, ma penso dipenda dal fatto che è proprio il personaggio ad essere emotivamente confuso. Ho proprio avuto l’impressione che Pawlikowski volesse da lei una mimica facciale ridotta all’osso, per poter lavorare su luci e ombre anche nei suoi primi piani.

  3. Anonimo ha detto:

    si credo anche io che la cosa sia voluta! diciamo che in Italia un film di questo genere sarebbe stato tutto pianti e grida di disperazione! 😀

  4. Plissken ha detto:

    Ho visto anch’io il film ed a volte, considerando il “formato”, il bianco e nero e lo svolgimento in adagio sembra di assistere alla visione di un film di altri tempi.
    E’ effettivamente impossibile non notare l’atipicità di molte inquadrature che sembrano quasi cercare una valenza pittorica volta ad un certo simbolismo. Per quel che concerne la “inespressività” della protagonista non mi trovo completamente concorde: la mimica ridotta al minimo per certi versi forse amplifica l’incapacità di esternare le proprie emozioni, che conseguentemente possono gravare (nel vero senso del termine) maggiormente nell’animo della protagonista.

    Ora forse sbaglio ma se il destino delle donne, come da recensione, fosse stato a prescindere “imposto” la scelta effettuata da Ida perderebbe di valenza; per quanto sia palese come tutto ruoti attorno ai passati orrori ed alle conseguenze dirette sulle protagoniste, la zia ad un certo punto specifica come il “sacrificio”/ scelta di “clausura” di Ida potesse essere superficiale, essendo ella non consapevole di “cosa” sacrificasse.
    Può essere che anche la mia lettura lo sia, se non errata o au contraire ovvia, ma l’impressione che ho avuto è che la decisione della protagonista di abbandonarsi deliberatamente per un po’ alla “vita” ne abbia completato la coscienza della stessa per elevare alfine il valore intrinseco della scelta finale.

    Nel complesso a me il film è piaciuto: al di là dell’indubbia valenza “tecnica” l’ho trovato intenso quanto intriso di estrema delicatezza; forse proprio quest’ultima però mi dà l’impressione che manchi qualcosina, che l’efficacia non sia giunta al totale, di un mancato apice. Certo sarei felice di comprenderne appieno il perché.

  5. Alberto Cassani ha detto:

    Sicuramente l’intermezzo “di vita” lo fa proprio per provare a rendersi conto di cosa ha perso/sta perdendo. L’impressione che ho avuto, però, è che lei comunque sapesse di non avere la forza di ribellarsi alla vita cui era stata destinata fin da piccola. E allo stesso modo, la zia ha preso l’unica via di uscita che la vita le ha prospettato dopo tutto quello di cui era stata protagonista.

  6. Plissken ha detto:

    Ah ok, capito; chiave di lettura a mio modesto parere condivisibile : )

  7. skumkyman ha detto:

    Leggo solo ora la recensione, “mea culpa” per essermela persa un anno fa’ e per essere approdato a questo gioiello cinematografico solo dopo il riconoscimento degli Oscar. Credo che una pellicola del genere meriti, come altre del resto, un approfondimento ulteriore da parte vostra, magari sul blog.

    Dopo averlo visto ho fatto una websearch su Google immagini trovando dei frame bellissimi da analizzare per il ruolo di mediatori che possono avere in contesti diversi. Apprezzo la multidimensionalità di questa opera d’arte, e la scelta di sciogliere il clima glaciale dell’inizio della pellicola con uno dei più caldi J.Coltrane mai ascoltati al cinema.

    Interessante, infine, il paragone con ‘Il nastro bianco’ , per le affinità stilistiche e forse nei percorsi tematici aggiungerei anche ‘Ogni cosa è illuminata’ per i contenuti.

  8. Alberto Cassani ha detto:

    Purtroppo il film è passato completamente inosservato, in Italia. Non mi stupisce, visto il tema e il bianco e nero, ma per efficacia di stile è davvero un peccato. Ogni cosa è illuminata ha senz’altro qualcosa in comune in quanto a soggetto, ma sono due film talmente diversi che mi sembra un collegamento decisamente labile: sono due viaggi che non hanno praticamente nulla in comune se non i nazisti.

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