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"La classe - Entre es murs": incontro con Laurent Cantet

9 ottobre 2008 Interviste 0 Commenti
La classe - Entre les murs

In occasione dell’uscita italiana di La classe – Entre les murs, Palma d’Oro a Cannes lo scorso maggio, Laurent Cantet ha incontrato pubblico, insegnanti e giornalisti milanesi in occasione di una proiezione in anteprima della pellicola. Ecco cosa il regista francese ha raccontato.


Nei suoi film c’è sempre un mix perfetto tra l’esigenza di documentare e l’uso della finzione per realizzare un film vero e proprio. Nel caso di questo film, come ha raggiunto un bilanciamento così preciso ed efficace?
All’inizio stavo scrivendo una sceneggiatura esclusivamente di finzione, che raccontava la storia di Souleymane, un personaggio che non riesce a trovare il proprio posto all’interno del sistema scolastico. Avevo iniziato a lavorare al progetto prima ancora di leggere il romanzo di François Bégaudeau, quattro anni fa, mentre mi preparavo a girare Verso il sud. Bégaudeau è stato insegnante in una scuola media “difficile”, quindi il suo libro offre una prospettiva particolare, che io non avrei mai potuto raggiungere da solo. Il lavoro che ho fatto è stato semplicemente di inserire la linea narrativa scritta da me nel materiale documentario contenuto nel suo romanzo. In seguito siamo andati in un ginnasio parigino e per un anno abbiamo tenuto un laboratorio di improvvisazione aperto a tutti gli studenti compresi tra i 13 e i 15 anni, da cui sono usciti i 25 che hanno poi interpretato gli studenti. Il film si basa molto sulle loro esperienze di vita, così come si basa sulle esperienze dei professori. Io scrivevo delle scene e il giorno dopo cercavo di capire insieme con loro se avessero un fondamento e potessero quindi essere inserite nel film.

La classeQuesto metodo di lavoro ha permesso al film non solo di essere realistico, ma anche di essere particolarmente attuale…
In Francia è in corso un dibattito piuttosto violento su come la scuola e l’insegnamento dovrebbero essere. C’è l’idea di tornare alla scuola di cinquant’anni fa, riducendo il numero di insegnanti e modificando i programmi didattici in modo da porre l’accento sulla trasmissione del sapere nozionistico. Ma oltre al luogo dove gli studenti imparano, la scuola è anche lo spazio in cui i ragazzi hanno la possibilità di crescere, di cominciare a capire quale sarà il loro ruolo nella società, di sviluppare il loro senso critico e di imparare a riflettere insieme agli altri. Ed è questa l’ottica proposta dal film, è questa la dimensione della scuola che noi abbiamo voluto mostrare. Nel sistema scolastico francese la scuola svolge anche un ruolo di integrazione tra comunità che spesso sono male accettate all’interno della società. La scuola secondaria è un luogo ricchissimo, dove i ragazzi possono sviluppare una grande apertura mentale come anche la capacità di rapportarsi con persone di origine diversa, che hanno modi di ragionare e di concepire la vita molto diversi dal loro; è l’ultimo luogo in cui c’è effettivamente un interscambio tra culture. Credo che questa sia un’esperienza forte, che vale la pena vivere e che andrebbe incoraggiata.

Il cinema francese ha una grande tradizione di film ambientati nell’ambiente scolastico, ma sono quasi tutti incentrati sulla figura degli studenti. Il suo, invece, propone soprattutto il punto di vista dell’insegnante; alla fine sappiamo molto pochi dei ragazzi…
Ho cercato di evitare il più possibile di guardare i ragazzi dall’alto in basso; volevo mostrare lo scambio che c’è tra insegnanti e studenti, non solo gli eventi che accadono nel corso di un anno scolastico. Però, pur non avendo descritto la vita che i ragazzi fanno al di fuori della scuola, la si può indovinare proprio grazie agli scambi che hanno in classe. Quello che per me era essenziale era evitare di fare un film a tesi, ho voluto far capire che gli insegnanti si trovano tra due fuochi: devono rispondere alle domande, spesso provocatorie, che gli studenti pongono loro, ma devono anche guardare il tutto con distacco per poter valutare correttamente il lavoro che stanno facendo.

Laurent Cantet discute una scena di La ClasseIl suo è un film estremamente verboso, a volte sembra che gli attori vadano in apnea da quanto parlano…
Sì: come ho detto volevo mostrare la classe come luogo di discussione e di interscambio di opinioni, è per questo che al suo interno si parla fino allo sfinimento, magari anche solo per il desiderio di avere l’ultima parola. Mi interessava mostrare questo aspetto anche perché spesso è proprio il motivo per cui tanti insegnanti preferiscono rifugiarsi nella didattica tenendo delle lezioni-fiume, quindi nascondendosi dietro i libri di testo, piuttosto che sottoporsi a questo scambio costante con i ragazzi e dover rispondere al fuoco di fila delle loro domande. Poi il film si basa molto su un ascolto estremamente preciso delle lingue, della lingua ufficiale che i ragazzi devono imparare e del linguaggio che usano quando parlano tra loro. Il film verte proprio su questi scambi verbali e sull’utilizzo della lingua, anche per mostrare come avviene la formulazione del pensiero. Credo che in classe uno degli elementi più importanti sia proprio la differenza nell’utilizzo del linguaggio, proprio quella differenza che i ragazzi devono colmare per riuscire a trovare il loro posto nel mondo.

Laurent Cantet e François Bégaudeau spiegano una scena di La classe ai ragazziDurante le riprese, quanto siete rimasti fedeli alla sceneggiatura e quanto invece i ragazzi hanno avuto la possibilità di improvvisare?
All’inizio di ogni giornata di riprese io e François Bégaudeau discutevamo della scena che avremmo girato di lì a poco, esaminando nel dettaglio il tipo di dialogo che volevamo avere, come riuscire a ottenerlo e come girarlo. Alla fine della discussione andavamo sul set e spiegavo a ognuno dei ragazzi cosa avrebbero dovuto dire e fare, perché loro hanno lavorato senza conoscere esattamente la storia del film e senza mai leggere la sceneggiatura. Giravamo un primo ciak di venti minuti senza interruzioni, la durata massima consentita dalle cassette su cui stavamo registrando. Giravamo sempre con tre telecamere: una era puntata sull’insegnante, una seguiva lo studente che in quel momento interagiva con lui e la terza si concentrava su altri elementi della classe. Quando iniziavamo a girare, François dirigeva la scena allo stesso modo in cui un insegnante dirige la lezione, portando così i ragazzi a dire quello che volevo dicessero. Alla fine del primo ciak riguardavo le riprese e facevo delle correzioni al lavoro fatto dai ragazzi in modo da rendere la scena più vicina alle mie idee e non perdere di vista il punto centrale del racconto, dopodiché giravamo nuovamente la scena nella sua interezza una seconda volta, e una terza e magari anche una decima… E’ stato stupefacente, in fase di montaggio, rendermi conto di come i ragazzi riuscivano a mantenere lo stesso livello di energia e lo stesso modo di pronunciare le battute dal primo all’ultimo ciak, integrando le frasi stabilite all’inizio con le indicazioni che davo loro mano a mano. Si sono rivelati degli attori veramente bravissimi, e non c’è da stupirsi perché quando gli adolescenti si sentono coinvolti in qualcosa sanno avere una concentrazione estrema. E’ una cosa su cui bisognerebbe riflettere molto…

Si gira una scena di La classeMa ci sono stati dei momenti in cui avete avuto opinioni diverse, adulti e ragazzi?
No, perché i ragazzi hanno accettato di incarnare i loro ruoli. Hanno scelto i personaggi che avrebbero interpretato, personaggi che in alcuni casi erano simili a come loro sono realmente ma che in altri li hanno portati a interpretare delle situazioni molte lontane dalla loro realtà. Hanno davvero recitato, lavorando come avrebbero fatto degli attori professionisti. E’ vero però che abbiamo discusso a lungo prima di iniziare le riprese e in queste lunghe discussioni io li ho ascoltati molto, non credo di aver tradito le loro idee e la posizione che volevano assumere all’interno del film. Hanno tutti accettato di interpretare una parte, quindi le riprese si sono svolte in un clima estremamente rilassato, senza alcuna tensione, c’è stato un grande piacere da parte di tutti nel realizzare insieme questo progetto. Poi, forse, il fatto che per una volta un adulto non li abbia trattati come dei cretini li ha portati a fidarsi di me, e forse è proprio per questo che in Francia ci sono molti giovani che vanno a vedere il film, perché ritengono che renda giustizia a come loro si sentono.


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