"Le invasioni barbariche" di Denys Arcand
Bim, 5 Dicembre 2003 – Metaforico
Rémy è un professore di storia affetto da un tumore incurabile e ricoverato all’ospedale di Montreal. Alla tragica notizia, il figlio Sébastien e l’ex moglie Luise radunano una fitta fauna di amici, amanti e figli illegittimi al suo capezzale, con l’obiettivo di alleviare i dolori di questo delicato momento…
All’inizio ci sono i fasti, a seguire il declino e infine le invasioni. Questo è il ciclo canonico di ogni impero che si rispetti, perché è ben noto quanto la storia sia prevedibile e ripetitiva. Il regista canadese Denys Arcand con un film del 1986 intitolato appunto Il declino dell’impero americano, aveva gettato le basi di un’agrodolce trilogia sulla natura umana, che si concluderà nel 2010 con L’età barbarica. Le invasioni barbariche rappresenta il capitolo di transizione, che si riallaccia al precedente costituendone un’ideale prosecuzione. Continua dunque la spietata decostruzione dei valori etici e morali della società occidentale, arricchendo il già analizzato ritratto della classe intellettualoide e colta, da un lato romantica dall’altro disillusa ma incredibilmente fragile. Se in parte il primo capitolo rappresentava un finissimo esercizio di sceneggiatura che sparava contro tutti, questa volta l’impostazione iniziale è più seria e i personaggi sono maggiormente delineati, testimoniando la maturazione del cineasta canadese.
L’immagine è quella di una classe sociale ormai imborghesita e nostalgica, che non rinnega nulla, ma guarda al passato trascorso con orgoglio e un pizzico di rassegnazione. Ancora una volta Arcand ci accompagna in un viaggio antropologico denso di dialoghi arguti e brillanti, dove l’ospedale è il teatro di riflessioni e confessioni profonde alternate a botta e risposta “alleniani” senza esclusione di colpi. Come nel film precedente c’è spazio per riflessioni attuali come la politica e la storia, oltre all’immancabile sessuologia, analizzando la decadenza totale della società contemporanea, ma con uno sguardo più maturo e lucido. Anche laddove potrebbe uscirci la lacrimuccia, Arcand è bravo a virare verso il sorriso grazie alla potente arma dell’ironia. Tra le righe si trova anche lo spazio per sensibilizzare verso tematiche più convenzionali come la malasanità, l’utilizzo di droghe a fini terapeutici e l’inevitabile eutanasia.
L’obiettivo del film non è però certo quello di far emergere una morale scontata, ma di rappresentare il manifesto della nostra epoca storica. Rémy è infatti la metafora di un sistema che ha conosciuto l’età d’oro nel passato ma che sta ora morendo, sia fisicamente sia intellettualmente. Il professore rappresenta l’ultimo baluardo di quei ferventi sogni giovanili mai davvero accantonati, delle false speranze, delle ideologie fuori moda, caratteristiche di una classe sociale invasa metaforicamente dal cancro del capitalismo. Si può essere o meno d’accordo con le tesi proposte da Arcand, ma si deve indubbiamente riconoscere l’eleganza e l’arguzia che confezionano la pellicola, la cui onestà intellettuale la distingue da molte opere contemporanee.
Le invasioni barbariche simboleggiano la fase di transizione tra un’epoca e la successiva, quella del fantomatico passaggio di testimone tra la vecchia e la nuova guardia, dove il passato incontra a malincuore il presente, guardando con disprezzo al futuro.
Titolo: Le invasioni barbariche (Les invasions barbares)
Regia: Denys Arcand
Sceneggiatura: Denys Arcand
Fotografia: Guy Dufaux
Interpreti: Rémy Giraud, Stéphane Rousseau, Marie-Josée Croze, Marina Hands, Dorothée Berryman, Johanne Marie Tremblay, Pierre Curzi, Yves Jacques, Louise Portal, Dominique Michel, Sophie Lorain, Toni Cecchinato, Mitsou Gélinas, Isabelle Blais, Micheline Lanctot
Nazionalità: Canada – Francia, 2003
Durata: 1h. 39′
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