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"Le luci della sera" di Aki Kaurismäki

18 dicembre 2006 Recensioni 0 Commenti
Emanuela Perozzi, 18 Dicembre 2006: Disarmante
Bim, 12 Gennaio 2006

Koistinen, guardiano notturno, è alla ricerca di un piccolo posto al sole, ma la sua ricerca cade nell’indifferenza generale. Un gruppo di banditi, con l’aiuto di una donna calcolatrice sfrutta la sua sete d’amore e il suo posto di guardiano per i loro traffici…


Quello di Aki Kaurismäki è un cinema sempre proteso verso le inevitabili difficoltà che l’uomo incontra nel raffrontarsi con la società moderna: alle prese con il dramma della disoccupazione (Nuvole in viaggio), con la disgregazione della memoria e dell’identità (L’uomo senza passato), ed infine con la solitudine, forse il più profondo e silenzioso dei malesseri, invisibile brusio che svuota il contenuto umano di speranza, di possibilità, di fiducia.

Le luci della sera, ultimo bellissimo ritratto della “trilogia del perdente”, è un film che lascia incoscientemente allo spettatore la possibilità di entrare negli abissi dell’uomo a confronto con se stesso, con l’amara elaborazione di una sofferenza talvolta trascurata, quasi sempre inascoltata. E lo spiraglio aperto dal film è come di consueto legato allo sguardo straniante e rarefatto del regista finlandese, inguaribile romantico che gioca con l’ironia e la disperazione dei propri personaggi dosandoli con cura meticolosa, facendo di loro sempre e comunque delle figure di un’epoca lontana, quasi in via d’estinzione, con pochi ed impercettibili legami con il mondo in cui vivono e si muovono con ostentata lentezza.
Le situazioni, i luoghi, gli sguardi e i volti indagati dai lunghi piani fissi, tutto ci appare come nei contorni sfumati di un sogno, con i piani temporali pressoché inesistenti, o quantomeno trascurabili, e le immagini dominanti sulle parole. Pochissimi dialoghi e, paradossalmente, persino evitabili, talmente la storia si racconta da sé trasportandoci con nostalgia ai film muti pieni di musica e poesia, visione lunare e atmosfera dispersa tra il bianco e nero dei fotogrammi.

Non vi è solo il riferimento diretto (tanto da diventare un meraviglioso omaggio) al vagabondo chapliniano che si aggira per il mondo ricco solo della dignità e del commovente ottimismo che non lo abbandona mai, neppure di fronte alle peripezie più crudeli e rocambolesche che il destino gli pone innanzi, ma c’è nei film di Kaurismäki una poetica tenera e disperata che si confronta continuamente con un cinema che non esiste più, sopraffatto da effetti speciali assordanti ed emozioni virtuali, ma soprattutto con una visione del mondo che appare sempre più lontana da noi, con i sogni ed i valori da conservare a dispetto dell’evidenza, eppure così vicina nel tratteggiare un decadentismo che si appropria con una spietatezza disarmante di tutte le ragioni di un’esistenza, di ogni dignitoso tentativo di ricostruire, andare avanti, non smettere di credere che le cose si possano aggiustare.

Koistinen (Janne Hyytiainen), il protagonista del film, si muove in stato sonnambulo, con dolorosa consapevolezza dell’abissale vuoto da cui è circondato, all’interno del suo universo fatto di sogni e speranze che tentano di sopravvivere intatti, sorvegliati da una (auto)ironia di fondo che salva il film da ogni minima traccia di sentimentalismo. Il risultato è uno sguardo puro, vero, cinico e al tempo stesso sognante e stralunato di un’esistenza drammaticamente segnata dal disagio esistenziale. Koistinen indugia sulla propria triste esistenza con espressione laconica ma mai rassegnata, si muove nelle strade silenziose e buie della città mentre svolge con ritualità il suo lavoro di guardia giurata, a volte trova rifugio nell’unica figura amica (la donna del chiosco delle salsicce) che sa come prendere i suoi silenzi e i suoi distratti rifiuti, altre volte si perde tra birre ed immancabili/onnipresenti sigarette, per poi riprendere vita (e botte) per difendere il destino di un cane maltrattato e solo.

Koistinen vuole esserci, anche se non ride mai, anche se parla poco, anche se è stato ingannato, usato e incastrato, anche se deve ricominciare dall’ultimo brandello di fiducia che gli è rimasto, anche se avrà pagato a caro prezzo quel suo essere “romantico e fedele come un cane”.
Koistinen vuole vivere, anche se sembra mezzo morto, anche se è stremato e forse ha creduto di non farcela. Ancora una volta, in un finale magistrale, si sentirà accomunato a quel cane che nel frattempo non è più solo, ha trovato un padrone con cui condividere il destino errante.

La solitudine scende di sera e in silenzio, sulle visioni lucide e inappellabili di una Finlandia in cui ricchezza ed emarginazione appaiono ugualmente disperate nella loro straziante spaccatura, sulle figure umane stagliate contro un cielo plumbeo e vagamente sinistro, sui dettagli di mani, sguardi persi nel vuoto, coperte rimboccate, sogni frantumati e rincollati. E lascia persino all’amore la possibilità di fare capolino nell’esistenza di Koistinen. Un amore sprovveduto, impacciato, rivolto ad una donna senza cuore che lo deruberà facendo leva sul suo bisogno di amare, ma pur sempre amore, pur sempre vita.

Questa è la bellezza e la diversità del cinema di Kaurismäki.


Titolo: Le luci della sera (Laitakaupungin valot)
Regia: Aki Kaurismäki
Sceneggiatura: Aki Kaurismäki
Fotografia: Timo Salminen
Interpreti: Janne Hyytiäinen, Maria Järvenhelmi, Maria Heiskanen, Ilkka Koivula, Sergei Doudko, Andrei Gennadiev, Arturas Pozdniakovas, Matti Onnismaa, Sulevi Peltola, Antti Reini, Neka Haapanen, Santtu Karvonen, Sesa Lehto
Nazionalità: Finlandia – Germania – Fracia, 2006
Durata: 1h. 20′


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