Stai leggendo:

Le rose del deserto di Mario Monicelli

4 novembre 2006 Recensioni 3 Commenti
Le rose del deserto

Mikado, 1 Dicembre 2006 – Agrodolce

Libia, 1940. Una divisione medica italiana è accampata nel deserto della Libia, mentre il resto dell’esercito invade l’Egitto e lotta contro gli inglesi che lo difendono. Tuttavia, né questa vicina guerra né quella mondiale che si combatte a casa sembra influenzare realmente l’indolente attesa di questo gruppo di soldati…


Michele Placido, Alessandro Haber e Giorgio Pasotti in Le rose del desertoIl regista Mario Monicelli torna dopo quasi cinquant’anni ad occuparsi dello scottante tema bellico e, soprattutto, dei giovani soldati italiani chiamati alle armi. Se La Grande Guerra affrontava brillantemente questa tematica mostrando due simpatici antieroi, che solo alla fine si riscattano, Le rose del deserto mantiene la medesima cifra ironica e disincantata, pur non raggiungendo nel complesso gli stessi ottimi risultati.

Una scena di Le rose del desertoLa sezione dell’esercito italiano protagonista di Le rose del deserto è composta da un gruppo di giovani capitati in Libia per caso, ossia unicamente per avere ricevuto la chiamata alle armi, con l’eccezione del Tenente Marcello Salvi (Giorgio Pasotti), che ha volontariamente scelto di arruolarsi interrompendo per questo gli studi universitari nonostante fossero ormai al termine. I comandi della sezione sono tenuti dal Maggiore Stefano Strucchi (Alessandro Haber), in realtà d’indole troppo romantica e ingenua per sostenere questa carica, ma amato dai suoi sottoposti. A questo personaggio fa da contrappunto quello dell’energico e sbrigativo Frate Simeone (Michele Placido), che ha dedicato la sua vita all’insegnamento in una poverissima scuola del posto.

Moran Atias in Le rose del desertoTratteggiando questi personaggi ognuno con un proprio temperamento, Monicelli – che è anche co-sceneggiatore del film tratto dal romanzo Il deserto della Libia, di Mario Tobino – entra nel vivo di quella che è la sua tesi: l’esercito italiano è stato inviato in Libia senza essere né preparato a combattere né motivato a farlo. Questi soldati sono semplicemente dei ragazzi che hanno dovuto sospendere la loro quotidianità per rispondere ad un dovere, dovere nel quale però non credono. Non ci sono alti ideali a spingerli e non c’è la sete di gloriose conquiste territoriali, ma c’è invece chi era in procinto di sposarsi e spera di tornare a casa il prima possibile per riprendere a vivere la propria vita; e c’è chi, come il Maggiore stesso, non si cura di quanto gli accade intorno perché immerso nella stesura di lettere indirizzate all’adorata e idealizzata moglie. L’unico anello di congiunzione tra questa oasi – anche metaforica – nella quale i soldati vivono nell’attesa paradossale non di combattere bensì di tornare a casa entro Natale, è costituito da Frate Simeone, che li mette in contatto con la popolazione locale bisognosa di cure mediche. E questo sarà anche motivo di confronti culturali, linguistici e religiosi.

Michele Placido in Le rose del desertoLe sferzate ironiche di Monicelli verso l’esercito italiano e i suoi dirigenti sono parecchie e piuttosto esplicite: i giovani chiamati alle armi sono persone semplici che nemmeno conoscono correttamente il nome del Generale tedesco Rommel; che si mettono a giocare a calcio subito dopo un attacco aereo inglese; che sprecano scioccamente le riserve d’acqua, mentre lo stesso Maggiore non conosce i contenuti della Convenzione di Ginevra, per quanto cerchi di rispettare il codice militare. La sferzata si fa ancora più forte quando mostra sì la morte di alcuni soldati, ma per motivi ben diversi dal combattimento bellico: la divisione medica, infatti, non impugna le armi per combattere una battaglia contro il nemico, ma lo fa solo per fuggire di fronte alle sue vittorie.

Tatti Sanguineti in una scena di Le rose del desertoLe rose del deserto dà un’ulteriore sferzata mostrando i rapporti di subordinazione e di oggettiva inferiorità degli italiani nei confronti degli alleati tedeschi, questi ultimi organizzati, motivati e disumanizzati quanto basta, ragioni per le quali: «È così che vincono sempre tutto». L’unico personaggio che, fra gli italiani, è votato alla vita e, soprattutto, alla carriera militare è il Generale Graziani, reso parodisticamente da Monicelli. La sua comica e divertente presenza assume sfumature ciniche quando, contemplando con soddisfazione il cimitero fatto costruire dalla sezione, commenta: «Bene, è pronto, finalmente. Ora non resta che riempirlo». Di valorosi soldati italiani, s’intende…

Giorgio Pasotti e Alessandro Haber in Le rose del desertoTuttavia, nel corso del film Monicelli ricorda anche che «La gente non è cattiva. È la guerra che la rende così». I giovani soldati italiani, non credendo nella guerra e, senza combatterla realmente, non ne saranno mai incattiviti. In realtà, l’altra faccia della medaglia della tesi sostenuta dal regista è proprio questa: se l’esercito italiano era composto sommariamente da giovani sprovveduti e semplici, se non era in grado di sostenere una guerra, era però composto da uomini di cuore. La morte che colpisce questi uomini è per lo più causata da motivi estranei alla battaglia: per esempio, c’è chi muore per aver cercato di sfamare dei bambini e a lui sarà dedicata una delle rose del deserto cui il titolo del film si rifà. O ancora: gli italiani sono talmente di buon cuore da voler dare degna sepoltura al pilota inglese rapidamente giustiziato dai tedeschi, proprio lo stesso pilota che li aveva precedentemente bombardati.

Una scena di Le rose del desertoPer quanto di buon cuore, nelle confessioni private a Frate Simeone gli italiani si riveleranno non certo perfetti, ma l’altra faccia dell’esercito che Monicelli ha voluto mostrare è stata comunque questa. Se Le rose del deserto non raggiunge le vette de La Grande Guerra, è senz’altro un film apprezzabile per il tono graffiante e, contemporaneamente, di commedia agrodolce, tale sia nell’esplorare i drammi bellici che quelli privati.


La locandina di Le rose del desertoTitolo: Le rose del deserto
Regia: Mario Monicelli
Sceneggiatura: Mario Monicelli, Alessandro Bencivenni, Domenico Saverni
Fotografia: Saverio Guarna
Interpreti: Giorgio Pasotti, Alessandro Haber, Michele Placido, Fulvio Falzarano, Moran Atias, Claudio Bigagli, Flavio Pistilli, Tatti Sanguineti, Michel Alhaique, Tiziano Scarpa
Nazionalità: Italia, 2006
Durata: 1h. 42′


Percorsi Tematici

  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  

Attualmente ci sono 3 commenti a questo articolo:

  1. max ha detto:

    Un saluto di cordoglio ad un grande artista .Grazie MAESTRO per tutto quello che hai fatto .

  2. Riccardo ha detto:

    Che periodo amaro è questo. Muore il grande produttore Dino de Laurentiis mentre l’altro ieri Monicelli. Che poteva fare: morire per malattia soffrendo? ha preferito morire di propria mano.
    Un amaro saluto al leggendario regista di LA GRANDE GUERRA & I SOLITI IGNOTI.

  3. Sebastiano ha detto:

    Massimo rispetto e dolore per Monicelli.

    Pero’, che domanda, Riccardo. Certo che poteva morire di malattia soffrendo.

Scrivi un commento

Devi essere autenticato per inserire un commento.