"Les beaux jours d'Aranjuez" di Wim Wenders
Inedito in Italia – Teatrale
In una casa di campagna nei dintorni di Parigi, un uomo e una donna trascorrono un pomeriggio a parlare del proprio passato, ricordando vecchi amori, storie d’infanzia e sogni di libertà…
Dopo quattro collaborazioni a cavallo tra gli anni Sessanta e Ottanta, (sulle quali svetta il premio per la miglior regia a Cannes del 1987, Il cielo sopra Berlino), Wim Wenders ritorna a lavorare con lo scrittore austriaco Peter Handke e sbarca a Venezia73 con Les beaux jours d’Aranjuez. Film che il regista tedesco sceglie di presentare in 3D, decisione che non aggiunge molto alle qualità del lungometraggio dal momento che non è dalla fotografia che il film vorrebbe trarre la sua forza, ma dai dialoghi che Wenders adatta dall’omonima pièce teatrale di Handke.
Ed è di uno scrittore (Jens Harzer) che Wenders si avvale per introdurre allo spettatore i due protagonisti di Les beaux jours d’Aranjuez (Reda Kateb e Sophie Semin). Seduto alla ricerca dell’ispirazione davanti a una macchina per scrivere, Harzer vedrà apparire la coppia al tavolo del portico in giardino, e inizierà ad ascoltarne la conversazione. Wenders mostra i due parlare d’amore, di sesso, di sogni d’immortalità e di morte, e la chiacchierata a poco a poco diventa un rituale scandito da regole precise, dove non sono ammesse risposte spicce e ogni azione al di fuori del dialogo è tassativamente proibita. Le domande aiutano a rispolverare ricordi che entrambi credevano perduti, e Wenders intermezza la conversazione con brani di Nick Cave (a cui il regista offre un breve cameo) e brevi pause che Harzer si concederà tra una pagina e l’altra. Tutto il resto è dialogo: elucubrazioni su amore e morte tanto ben scritte quanto pericolosamente fredde e astratte, che i due recitano con una teatralità eccessiva che rischia di compromettere l’empatia con il pubblico.
Il dubbio è che Wenders non abbia fatto della pièce teatrale di Handke un film, ma si sia limitato a girare un’opera teatrale, dove anche i dialoghi, per quanto profondi e ricchi di spunti di riflessione, sembrano più dei monologhi che pezzi di una conversazione vera e propria. La sensazione è che Kateb e Semin non parlino tra di loro, ma che recitino enunciando le proprie riflessioni direttamente al pubblico; sensazione che aumenta quando Wenders rompe la quarta parete e i due parlano direttamente alla macchina da presa. Una scelta che non aiuta a coinvolgere lo spettatore ma lo aliena ancora di più dal dramma. I due protagonisti finiscono così per assomigliare ai fiori del giardino di cui parleranno: bellissimi ed evocativi, ma destinati a durare poco, così come la magia di Les beaux jours d’Aranjuez, lavoro tutt’altro che memorabile di un Wenders da cui era lecito aspettarsi di più.
Titolo: Les beaux jours d’Aranjuez
Regia: Wim Wenders
Sceneggiatura: Peter Handke, Wim Wenders
Fotografia: Benoit Debie
Interpreti: Reba Kateb, Sophie Semin, Jens Harzer, Nick Cave, Peteer Handke
Nazionalità: Francia – Germania, 2016
Durata: 1h. 37′
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