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"Les beaux jours d'Aranjuez" di Wim Wenders

1 settembre 2016 Recensioni 0 Commenti
Les beaux jours d'Aranjuez

Inedito in Italia – Teatrale

In una casa di campagna nei dintorni di Parigi, un uomo e una donna trascorrono un pomeriggio a parlare del proprio passato, ricordando vecchi amori, storie d’infanzia e sogni di libertà…


Dopo quattro collaborazioni a cavallo tra gli anni Sessanta e Ottanta, (sulle quali svetta il premio per la miglior regia a Cannes del 1987, Il cielo sopra Berlino), Wim Wenders ritorna a lavorare con lo scrittore austriaco Peter Handke e sbarca a Venezia73 con Les beaux jours d’Aranjuez. Film che il regista tedesco sceglie di presentare in 3D, decisione che non aggiunge molto alle qualità del lungometraggio dal momento che non è dalla fotografia che il film vorrebbe trarre la sua forza, ma dai dialoghi che Wenders adatta dall’omonima pièce teatrale di Handke.

Ed è di uno scrittore (Jens Harzer) che Wenders si avvale per introdurre allo spettatore i due protagonisti di Les beaux jours d’Aranjuez (Reda Kateb e Sophie Semin). Seduto alla ricerca dell’ispirazione davanti a una macchina per scrivere, Harzer vedrà apparire la coppia al tavolo del portico in giardino, e inizierà ad ascoltarne la conversazione. Wenders mostra i due parlare d’amore, di sesso, di sogni d’immortalità e di morte, e la chiacchierata a poco a poco diventa un rituale scandito da regole precise, dove non sono ammesse risposte spicce e ogni azione al di fuori del dialogo è tassativamente proibita. Le domande aiutano a rispolverare ricordi che entrambi credevano perduti, e Wenders intermezza la conversazione con brani di Nick Cave (a cui il regista offre un breve cameo) e brevi pause che Harzer si concederà tra una pagina e l’altra. Tutto il resto è dialogo: elucubrazioni su amore e morte tanto ben scritte quanto pericolosamente fredde e astratte, che i due recitano con una teatralità eccessiva che rischia di compromettere l’empatia con il pubblico.

Il dubbio è che Wenders non abbia fatto della pièce teatrale di Handke un film, ma si sia limitato a girare un’opera teatrale, dove anche i dialoghi, per quanto profondi e ricchi di spunti di riflessione, sembrano più dei monologhi che pezzi di una conversazione vera e propria. La sensazione è che Kateb e Semin non parlino tra di loro, ma che recitino enunciando le proprie riflessioni direttamente al pubblico; sensazione che aumenta quando Wenders rompe la quarta parete e i due parlano direttamente alla macchina da presa. Una scelta che non aiuta a coinvolgere lo spettatore ma lo aliena ancora di più dal dramma. I due protagonisti finiscono così per assomigliare ai fiori del giardino di cui parleranno: bellissimi ed evocativi, ma destinati a durare poco, così come la magia di Les beaux jours d’Aranjuez, lavoro tutt’altro che memorabile di un Wenders da cui era lecito aspettarsi di più.


La locandina di Les beaux jours d'AranjuezTitolo: Les beaux jours d’Aranjuez
Regia: Wim Wenders
Sceneggiatura: Peter Handke, Wim Wenders
Fotografia: Benoit Debie
Interpreti: Reba Kateb, Sophie Semin, Jens Harzer, Nick Cave, Peteer Handke
Nazionalità: Francia – Germania, 2016
Durata: 1h. 37′


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