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Nomadland di Chloé Zhao

14 settembre 2020 Recensioni 2 Commenti
Nomadland

Walt Disney, 29 Aprile 2021 – Vagabondo

A causa della chiusura della più grande industria della zona, una città del Nevada si spopola e Fern, senza lavoro e senza casa, abbandona tutto per dedicarsi a una vita nomade a bordo del suo furgone. Tra una sosta e l’altra, incontrerà persone che fanno la sua stessa vita…


Una bambina chiede a Fern, la protagonista, se davvero sia una senzatetto (homeless) e lei risponde che non la è: si definisce una senza casa (houseless). Nomadland esplora il mondo di chi vive senza fissa dimora, chi si sposta da un luogo all’altro a bordo di un furgoncino o un camper o qualcosa di simile: la loro casa diventa così il loro mezzo di trasporto. La loro vita si concentra così in pochissimo spazio (e, contemporaneamente, negli enormi spazi dell’America), con pochissimi soldi e con una comunità sempre diversa, con compagni di viaggio che necessariamente cambiano quasi ogni giorno.

Chloé Zhao esplora questo mondo, ma si concentra in modo particolare sulla protagonista, la segue e ne sottolinea le difficoltà, le gioie e i dolori lasciando poco spazio per le altre storie che rimangono sempre sullo sfondo. Nomadland diventa così quasi un assolo per Frances McDormand anziché un film che avrebbe potuto (e dovuto) essere corale. I compagni di viaggio sembrano quasi sempre persone che scappano dalla loro vita, mentre sarebbe stato interessante approfondire le loro motivazioni e le loro storie. Nei rari casi in cui viene lasciato spazio alle storie, il film si apre su un baratro di sofferenza e disagio profondo, di famiglie disfunzionali, di malattie incurabili. Un baratro che, però, intravediamo solamente, perché Chloé Zhao torna subito a concentrarsi su Fern e sulle sue avventure tra lavoretti temporanei e una storia d’amore che non sboccia mai (con l’unico altro attore professionista: David Strathairn).

Nomadland è sostanzialmente un film mediocre, piatto sia sul piano dell’emozione sia su quello tecnico. Chloé Zhao non osa mai. Tiene incollata la macchina da presa alla sua protagonista o ci lascia godere di qualche panorama mozzafiato, ma non ha mai un’invenzione, una ripresa stupefacente, un brivido d’emozione. Le strade degli Stati Uniti sono riprese senza la fascinazione che paesaggi così diversi e immensi dovrebbero comunicare. Emotivamente, si rimane pressoché indifferenti di fronte alla storia di Fern, che sostanzialmente sceglie quel tipo di vita rinunciando a tutto e tutti per superare il suo lutto, anche quando avrebbe altre possibilità.

Quello che Chloé Zhao ci propone è un film ordinario, di certo ben confezionato, con grandi attori che interpretano perfettamente la loro parte, ma purtroppo non offre niente di più. La paura di offendere la sensibilità dei veri “nomadi” che hanno partecipato al film, inoltre, porta la regista a non riprendere mai le loro peculiarità, che avrebbero insaporito la narrazione e reso il film più vero, più particolare, permettendo alla pellicola di essere ricordata più facilmente.


La locandinaTitolo: Nomadland (Id.)
Regia: Chloé Zhao
Sceneggiatura: Chloé Zhao
Fotografia: Joshua James Richards
Interpreti: Frances McDormand, David Strathairn, Linda May Strawn, Charlene Swankie
Nazionalità: USA, 2020
Durata: 1h. 48′


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Attualmente ci sono 2 commenti a questo articolo:

  1. Marco ha detto:

    Il film non mi è dispiaciuto, anzi, però posso concordare col fatto che non riesce a creare empatia con lo spettatore, che si lascia trasportare sì dalle immagini ma poco con le emozioni.
    Se vi è qualche sussulto al cuore è solo grazie alla struggente musica di Einaudi e alla performance della protagonista.
    La regia di Zhao lo trovata di maniera, nulla di eclatante ma adatta al tipo di film.

    Non è riuscito a togliere il posto a “Into The Wild” della mia personale classifica.

    Albe che ne pensi?

  2. Alberto Cassani ha detto:

    Ho controllato l’albo d’oro per curiosità, e mi sono reso conto che dall’affaire La La Land/Moonlight non ho più visto nessuno dei film che hanno vinto l’Oscar come miglior film. Faye Dunaway ha anche me, sulla coscienza!

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