"Nymphomaniac vol. I" di Lars Von Trier
Good Films, 3 Aprile 2014 – Autoreferenziale
Un uomo trova una donna stesa a terra per strada, priva di conoscenza e coperta di sangue. Dopo che lei ha rifiutato l’intervento di medici e polizia, l’uomo la accompagna a casa propria e qui lei inizia a raccontargli la sua storia, per fargli capire che essere umano spregevole lei sia…
«Questa è la versione tagliata e censurata di Nymphomaniac. Lars Von Trier l’ha autorizzata, ma non ha partecipato alla sua realizzazione.» Questo è l’avviso che accoglie il pubblico all’inizio della proiezione, e che mette gli spettatori (troppo) attenti nella spiacevole situazione di sforzarsi per capire quali scelte stilistiche e narrative siano del regista e quali invece del produttore. Va detto che il film si presta particolarmente a questo tipo di elucubrazioni, in bilico com’è tra ironia, filosofia e melodramma.
Diviso in 5 capitoli, questo primo volume di Nymphomaniac sembra voler giocare con chi ha sempre accusato Von Trier di misoginia, mostrando loro ciò che nel suo cinema hanno sempre voluto vedere e suggerendo solamente un punto di vista che loro comunque si rifiuterebbero di accettare, trovando anche il tempo di tornare brevemente sul tema delle controverse dichiarazioni del regista al Festival di Cannes 2011.
Più che uno studio del rapporto della donna col sesso, Nymphomaniac sembra un esperimento sulle reazioni dello spettatore davanti a ciò che vede sullo schermo. La giustapposizione di discorsi su sesso, pesca e musica; l’uso di sovrimpressioni, titoli e split-screen; la colonna sonora propriamente detta utilizzata per colpire e far sussultare; la differenza di tono e stile tra i vari capitoli: tutto sembra studiato per ottenere dallo spettatore una determinata reazione, di volta in volta diversa, sfidandone la pazienza e l’attenzione. Non può essere certo un caso, ad esempio, che le tre attrici che interpretano la protagonista in età differenti abbiano gli occhi di tre colori diversi, vista la cura con cui Von Trier ce li mostra. Ma dove voglia arrivare questo esperimento, se di esperimento effettivamente si tratta, lo si capirà solo vedendo il secondo volume.
Proprio la divisione in due parti è ciò che maggiormente rischia di rovinare il progetto, perché l’interruzione arriva nel momento in cui il racconto della protagonista si fa meno plausibile, con il rischio quindi che lo spettatore decida di non essere interessato a conoscerne il finale. Un altro problema lo crea il doppiaggio eccessivamente impostato, che rende impossibile capire quanto la teatralità di certe scene sia voluta e quanto invece imposta dalla versione italiana. Cosa che, a conti fatti, aggiunge un altro strato ai ragionamenti che lo spettatore troppo attento è portato a fare durante la visione. Ma in fondo è inutile ragionare troppo: in fondo, questo è un film di Lars Von Trier. Forse.
Titlo: Nymph()maniac – Vol. I (Id.)
Regia: Lars Von Trier
Sceneggiatura: Lars Von Trier
Fotografia: Manuel Alberto Claro
Interpreti: Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgård, Stacy Martin, Shia LaBeouf, Christian Slater, Uma Thurman, Sophie Kennedy Clark, Connie Nielsen, Ananya Berg, Jens Albinus, Felicity Gilbert, Hugo Speer, Saskia Reeves
Nazionalità: Danimarca – Germania – Francia – Belgio – Regno Unito, 2013
Durata: 1h. 50′
Mi sembra di capire che questo film ha in parte deluso le alte aspettative che erano andate a crearsi visti i problemi di censura, pubblicità eccetera. Anche se per la coerenza della recensione non era necessario, mi interesserebbe conoscere i pareri di Alberto Cassani per quanto concerne gli attori…
Uma Thurman ha una scena sola ma è molto brava. Charlotte Gainsbourgh e Stellan Skarsgård, che passano tutto il tempo nella stanza della foto, recitano come il loro solito ma forse la voce italiana di lui è un po’ troppo “voce fuori campo”. Stacy Martin, che a conti fatti è la vera protagonista del film, non mi ha convinto troppo. Christian Slater è fuori parte e Shia LaBeouf si vede troppo che si impegna, ma proprio non ce la fa.
Per quanto riguarda le aspettative, non saprei. Se il tanto parlare che s’è fatto attorno al film ha portato la gente ad aspettarsi un film alla Catherine Breillat, allora siamo proprio fuori strada. Al di là dell’esplicitezza delle scene di sesso nella versione integrale, che in fondo sono una conseguenza logica del raccontare la vita di una ninfomane, il tono del film non è mai morboso e non dà mai l’impressione di farsi voyeuristico.
Mi sembra di capire, inoltre, visti certi commenti in altre recensioni, che non sei poi un grande estimatore di Von Trier (Antichrist e Melancholia a parte). Ma come mai Antichrist lo “bolli” come semaforo verde e questo come giallo (anche se la recensione sembra quella di un giallo che vira al rosso) pur ammettendo in entrambe le recensioni che sono presenti elementi atti a indurre una certa sensazione nel pubblico? Dov’è che sta la vera differenza di fondo? La questione mi sembra interessante…
Di questo regista ho visto solo Melachonia e ammetto che, a suo modo, mi è piaciuto ma bisogna dire che abbia un talento naturale per fare film su cui poi la critica ci bruca per mesi, sia se capolavori sia se tavanate galattiche.
A questo giro però passo, niente Von Trier
Il problema qui è che il film si blocca in maniera arbitraria lasciando un che di incompiuto, e il tono generale del doppiaggio mette il dubbio che certe sensazioni siano esterne al film in quanto tale. Peraltro Antichrist aveva una potenza visiva che questo non ha e giustamente non vuole avere; Antichrist voleva essere travolgente e riusciva a esserlo, questo vuole sicuramente essere stimolante ma non si sa ancora bene cos’altro.
Il Von Trier pre-Dogma non mi ha mai detto niente (“Dancer in the Dark” invece l’ho odiato), trovo però che da “Dogville” in avanti abbia iniziato a sfruttare appieno il mezzo cinematografico lavorando in maniera molto interessante anche sull’aspetto visivo e riuscendo effettivamente a usare le immagini per trasmettere qualcosa. Poi probabilmente solo Antichrist e Melancholia riescono a non avere quell’aria da esperimento cinematografico, ma trovo che solo di recente sia diventato un autore cinematografico davvero compiuto.
Fabrizio, non c’è dubbio che Von Trier voglia sempre suscitare reazioni forti negli spettatori, e per via del personaggio controverso che lui è a livello di critica si è sempre fatto un gran parlare di lui e dei suoi film. Il problema è che il suo cinema è a conti fatti talmente personale che troppo spesso la critica si affida ad etichette superficiali che finiscono per ingannare il lettore. Il fatto ad esempio che un film sia autoreferenziale non è di per sé un difetto: pure “All That Jazz” è autoreferenziale, ma è un film della madonna. Certo è che il suo cinema non è per tutti.
Sul sito del CorSera ho letto un articolo interessante su questo film. Parlando di attori, mi ha colpito un aneddoto che viene raccontato nell’articolo e che riguarda la Gainsbourg: a quanto pare, la protagonista principale del film di Von Trier ha ammesso di trovarsi estremamente a disagio nel mostrare il proprio corpo nudo alla macchina da presa, al punto tale che, di concerto con i truccatori, sono stati ideati dei particolari “braghettoni” che lei indossava nelle scene di nudo ma che venivano “ritoccati” in modo tale da non essere notati. Ovvero, sembrava completamente nuda ma invece aveva le braghe…
Ora dico io, ma con che criteri fanno il casting? Per interpretare il ruolo di una ninfomane che si deve esibire in una cifra di scene torride scegli un’attrice che si vergogna a mostrare la patonza alla telecamera? Complimenti. Posso capire che le scene più esplicite siano girate da controfigure “professionali”, ma addirittura mettergli i braghettoni durante delle semplici scene di nudo…
Bah, non so che pensare… Si ha come l’impressione che tutto il progetto sia partito con il piede sbagliato…
Ciao Alberto, se così è un lusso che non tutti i registi possono permettersi a meno di autofinanziarsi/prodursi perché soggetti a quello che il pubblico vuole e soprattutto… i produttori decidono che “debba essere”. Un esempio le ultime fatiche della disney per gettare miele a volontà anche laddove ci sarebbe voluto un buon quantitativo di sangue (rosso).
Di solito su queste cose io sono dalla parte del produttore: se pago un pittore per farmi un ritratto non può consegnarmi una natura morta, e se lo pago per affrescarmi una stanza non può pretendere che butti giù i muri per allargarla. In questo caso specifico, però, mi pare che ci sia stata proprio un’incomprensione tra Von Trier e i produttori sul tipo di film che si stava andando a realizzare. La versione corta di Dogville l’ha rimontata lui perché il suo contratto prevedeva che il film fosse lungo al massimo tot minuti; in questo caso invece lui ha realizzato la sua versione di 5 ore e poi ha consegnato tutto il girato ai produttori per farlo rimontare. Al di là di autorialità e proprietà dell’opera, è sempre meglio che ad un film si lavori tutti insieme di comune accordo, perché il rischio è che quello che ne esce non rispecchi le idee di nessuno e scontenti tutti, spettatori in primis.
In realtà è abbastanza comune che un’attrice o un attore si preoccupi di quanto la mdp inquadri del suo corpo, a prescindere da quanto è effettivamente mostrato a chi è presente sul set (o più ancora ai personaggi). Anche usare trucchi per fingere di mostrare le intimità degli attori non è una novità, pare lo avessero fatto anche nella “Vita di Adele”. Il problema è quando l’imbarazzo di un attore impedisce al regista di girare nel migliore dei modi, anche magari per colpa sua che non sa costruire la scena in altro modo (vedi il classico primo piano dell’attrice che si toglie il reggiseno al di sotto del bordo dell’inquadratura). Qui sinceramente non ci sono scene che appaiono girate in maniera forzata per mostrare o non mostrare, e non ci sono momenti in cui l’alchimia tra gli attori sembra non funzionare. Ma è vero che le scene di sesso con la Gainsbourg sono tutte nella seconda parte.
Certo che quando c’è di mezzo il sesso, sia il film di Parenti o Trier, il dibattito decolla subito. Mica scemo il “Von”.
Non so perché ma mi aspettavo le riserve dal recensore. “Antichrist” l’ho trovato fin troppo estremo e criptico; “Melancholia”, così come “Dogville”, invece mi è piaciuto parecchio. Sto valutando quindi se procurarmi un impermeabile e degli occhiali scuri per visionarlo al cinema o aspettare che esca in DVD…
Molto probabilmente in DVD uscirà (anche) la versione integrale. Meglio aspettare quella, anche perché così non c’è bisogno di impermeabile e occhialoni neri.
Il senso di spiazzamento che lascia il finale getta davvero un’alea negativa su tutto il film.
Non so cosa aspettarmi, ma spero che il Vol.2 riesca a dare un senso a ciò che ho visto qui, altrimenti mi sembra che la pellicola non abbia molto altro da offrire oltre la carrellata di volti noti sul cartellone… e l’ego smisurato del regista, o forse è solo la sua firma? Così potente eppure inutile.
Avendolo visto dopo la ‘Venere in pelliccia’ di Polanski e non sapendo cosa aspettarmi da entrambi… con il primo sorpresa è stata deliziosa, qui un po’ stantìa.
Sono abbastanza convinto che il senso alla fine ci sia. Il problema è che non è detto che questo senso sia soddisfacente, tant’è che chi ha già visto la seconda parte me ne parla negativamente.
Tipico Von Trier, o lo ami o lo odi. Personalmente questa prima parte la promuovo.
Particolarmente piaciuti i dialoghi fra la Gainsbourg e Skarsgård, li ho trovati affascinanti ed interessanti.
Qualche punto morto qua e la può nuocere all’attenzione dello spettatore ma niente di che grave.
Ben raccontate le vicissitudini della protagonista.
Antologia il monologo della Thurman.
Finalmente visto il primo volume.. Per me un capolavoro: fare un film intitolato Nymphomaniac usando il sesso per fare digressioni culturali sull’arte, le scienze e le forchette da dolce la dice lunga.
Capitolo preferito: Delirium
P.S: checcé ne dica Alberto il buon Slater non mi è dispiaciuto
“Nymph()maniac” è un’odissea carnale. Von Trier fa del film un dialogo a due, il dibattere schematico tra inconscio e ragione, corpo e intelletto, ma anche, e soprattutto, tra artista e pubblico. Non è solamente un catalogo di una disperata educazione sentimentale, una fiction sessuale, un’enciclopedia completa sul sesso degli esseri umani, ma è anche un film sull’arte del raccontare.