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Parasite di Bong Joon-ho

10 febbraio 2020 Recensioni 0 Commenti
Parasite

Academy Two, 7 Novembre 2019 – Manzoniano

Una poverissima famiglia sudcoreana riesce a farsi assumere con l’inganno da una famiglia di ricchi. Iniziano a vivere nella loro casa, scacciando i vecchi domestici. Ma una sera la vecchia governante fa ritorno, perché lei e la casa nascondono un segreto…


I poveri e i poverissimi che si dibattono per avere un piccolo vantaggio gli uni sugli altri, si azzuffano per una briciola in più del loro avversario diretto, ricordano un po’ i capponi che Renzo Tramaglino porta all’Azzeccagarbugli. Ma se è lecito dubitare che Bong Joon-ho abbia letto I promessi sposi è invece lecito pensare che abbia letto e conosca Questione di scala di Fredric Brown, citato più o meno direttamente nella scena di apertura di Parasite con la disinfestazione che investe anche la famiglia protagonista. Perché i parassiti non sono solo gli insetti, ma anche gli esseri umani che vivono alle spalle e soprattutto nelle case degli altri. E come gli insetti, anche i parassiti umani si nascondono negli anfratti, nelle fessure, sotto i tavoli e nel sottosuolo. E vivono in case (tane) malsane che possono venire sommerse dalla pioggia ed eruttare liquami dai quali sono costretti a fuggire per poi farvi ritorno non appena passata la tempesta.

È un film sulla lotta di classe, Parasite, ma non è una lotta tra classi diverse: è una lotta tutta all’interno della stessa classe. I poveri e i poverissimi salgono e scendono quella scala (reale nel film e metaforica nella vita di tutti i giorni) non per aumentare il proprio stato sociale ma solo per avere la possibilità di servire i più ricchi. Non c’è mai una vera possibilità di salire la scala sociale in una società bloccata e ingessata. E non è un caso che un film che in qualche modo celebra il contrario (e la fine) del “mito americano” del self-made man abbia poi vinto l’Oscar come miglior film. In qualche modo anche l’America certifica la fine del suo stesso sogno.

Non c’è un giudizio morale in Parasite, non ci sono buoni o cattivi: sono tutti contemporaneamente buoni e cattivi, sono umani, in continua lotta per la sopravvivenza. Una sopravvivenza, per i più poveri, che va guadagnata giorno per giorno mentre si striscia – letteralmente – nei bassifondi, mentre ci si accapiglia, con mezzi leciti e illeciti, per entrare nelle grazie del più ricco. Al contrario, i ricchi non fanno altro che vivere all’interno delle loro mura di cemento o metallo, continuamente protetti e sorvegliati (soprav)vivendo senza davvero vivere.
Non c’è redenzione e non c’è speranza, per nessuno: non c’è un piano. C’è solo la possibilità di guadagnare un vantaggio (necessariamente temporaneo) verso il proprio nemico più diretto, in attesa che un disastro più grande o qualcuno di più potente, decida del proprio destino. Come i capponi di Renzo, come gli alieni di Brown.

Bong Jong-ho mette in scena in modo eccezionale la sua visione, con continui dolly precisissimi verso il basso, a simboleggiare la “discesa” metaforica verso le classi più basse, situate fisicamente più in basso, e con una disperata macchina a mano quando si scende ancora più in basso.

Parasite è un grande film, perché è un urlo disperato di una società senza più sogni, in cui la lotta di classe è finita, l’ascensore sociale è finito. In cui resta solo una disperazione cieca e assoluta o – se si è tra i ricchi – una non-vita alle dipendenze degli altri, dai quali non si può far altro che dipendere pur se li si considera “alle dipendenze”.


La locandinaTitolo: Parasite (Gisaengchung)
Regia: Bong Joon-ho
Sceneggiatura: Bong Joon-ho, Han Jin Won
Fotografia: Hong Kyung-Pyo
Interpreti: Song Kang-ho, Sun-Kyun Lee, Choi Woo-Sik, Hyae Jin Chang, Park So-Dam
Nazionalità: Corea del Sud, 2019
Durata: 2h. 12′


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