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"Prisoners" di Denis Villeneuve

14 gennaio 2014 Recensioni 4 Commenti
Prisoners

Warner, 7 Novembre 2013 – Intrigante

Nel giorno del Ringraziamento, due famiglie statunitensi vivono il peggiore degli incubi: la scomparsa delle proprie bambine. Mentre la polizia cerca di far luce sul caso, Keller Dover – uno dei genitori – conduce una claustrofobica indagine parallela per tentare di scoprire cos’è successo…


Maria Bello, Hugh Jackman e Dylan Minnette con Erin GerasimovichQuando guardando fuori della finestra non si scorge più l’orizzonte, quando le certezze, che sembravano granitiche, si lasciano trasportare dal vento come polvere, quando le tenebre e l’oscurità riempiono l’abisso che la solitudine, il senso di colpa, l’impotenza di poter risolvere, ora, subito, immediatamente, scavano in modo forsennato dentro il nostro io… si annulla ogni differenza tra l’uomo e la bestia. Denis Villeneuve, regista con alle spalle pochi ma significativi lungometraggi, torna in sala con un thriller che rinuncia ad ogni compromesso di redenzione ed è sostenuto da un fenomenale Jake Gyllenhaal ed uno Hugh Jackman da Oscar.

Jake GyllenhaalPrisoners è ambientato in un indefinito presente, confinato all’interno di una provincia americana in cui ogni abitazione sembra essere uno stato a sé per la totale indifferenza con cui si guarda oltre le proprie mura o la pacatezza con cui “partecipa” agli appelli accorati di Keller – al secolo Wolverine – padre di una delle bambine scomparse, di suo figlio e del padre dell’altra bambina. E mentre gli “uomini” si trovano in strada, in casa si consuma il dramma della madre, che oltre ad essere cliente fissa delle farmacie per l’abuso di psicofarmaci, non si fa troppi scrupoli nel rinfacciare a Keller di non aver protetto la figlia. A questi due piani narrativi si aggiunge quello del detective Loki, che senza dover far ricorso a sovrumane capacità deduttive (vedi CSI) o intuizioni alla Colombo applica il metodo scientifico alla lettera, sminuzzando ogni singolo evento a particella elementare per incasellarlo all’interno di un puzzle intrigante quanto indefinito.

Paul Dano e Jake GyllenhaalSe la seconda parte della pellicola è movimentata e dai ritmi incalzanti, nella prima parte la necessità di creare un background credibile e accrescere nello spettatore quel mix spiazzante di sicurezza/tranquillità – all’inizio – e smarrimento/disperazione – nel seguito – rischia di apparire logorroica, ma il regista prende di petto l’intricata sceneggiatura di Aaron Guzikowski dando voce a ogni singolo attore. Come in un’orchestra, all’unisono, suona la liturgia della Parola, identificata dal sacerdote giudice e carnefice o dai precedenti storici dei personaggi, dai temi musicali ispirati ai canti religiosi che stridono come dita su una lavagna con la crudeltà della violenza mostrata, con le improvvise battute d’arresto tra un’azione e l’altra, come a riprendere fiato, mentre si sprofonda sempre più in basso, nella ragione e nei sentimenti, con un filo sotteso verso il vuoto tra la pazzia e l’ira funesta.

Hugh Jackman in una scenaLa vera forza di Villeneuve è quella di aver ignorato ogni cliché dei film dell’ultimo decennio, lasciando che ogni situazione debordasse e assumesse contorni non più confinati all’interno della pellicola ma estesi e proiettati all’infinito, verso quell’imprevedibilità che caratterizza la vita reale – le situazioni in cui ci si trova per la prima volta e che si affrontano da soli – che sembra in qualunque traversa condurre a un vicolo cieco. Il thriller trasuda riferimenti allegorici in ogni fotogramma e i labirinti percorsi dai singoli personaggi sono una visione microscopica del grande quadro affrescato, perché non è vero che per tutto ci sia una seconda possibilità, che tutte le cose “andranno bene”, che c’è qualcuno disposto ad ascoltare. Gli scatti di ira di Keller possono essere identificati dalle martellate che dà al muro – una, due, tre, quattro… – perché la distruzione fa breccia negli oggetti materiali ma continua a essere coltello nel burro all’interno della mente, e questo – questa impotenza – è la chiave di lettura del film.

Hugh Jackman e Dylan MinnetteLa sceneggiatura è complessa e articolata e reggere due ore e mezza di film senza sbavature sarebbe risultato non di questo mondo; difatti sono presenti numerose incoerenze e forzature che una seconda visione – meno attenta a ciò che si vede e più a quanto viene celato – porta a galla senza tuttavia minare la bontà dell’opera ma lasciando, questo sì, un po’ perplessi.

La colonna sonora è affidata al compositore islandese Jóhann Jóhannsson che anziché fornire riferimenti e coordinate, aggiunge quell’effetto riverbero alle scene: le amplifica, espande e porta all’implosione nelle frazioni di secondo in cui sembrano arrivare i titoli di coda e tutto finire, salvo poi rivelarsi, come accennato, una sosta al pit-stop. Fincher e Nolan sono avvertiti: in sala solo se accompagnati dai genitori.


La locandinaTitolo: Prisoners (Id.)
Regia: Denis Villeneuve
Sceneggiatura: Aaron Guzikowski
Fotografia: Roger Deakins
Interpreti: Hugh Jackman, Jake Gyllenhaal, Paul Dano,
Viola Davis, Maria Bello, Terrence Howard, Melissa Leo, Dylan Minnette, Zoe Borde, Erin Gerasimovich, Kyla Drew Simmons, Wayne Duvall, Len Cariou, David Dastmalchian, Brad James, Anthony Reynolds, Sandra Ellis Lafferty

Nazionalità: USA, 2013
Durata: 2h. 23′


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Attualmente ci sono 4 commenti a questo articolo:

  1. Fabrizio Degni ha detto:

    In sede di recensione si è sottolineato come la complessità della trama ed un dosaggio non ottimale dei tempi dedicati alle tematiche affrontate (nonostante 2 ore e 30 di proiezione…) hanno generato numerosi nei, peccati di superficialità nel giustificare o nel chiarire ma anche di palese contraddizione. Per talune, difatti, ripensandoci, viene da chiedersi come possano essere state ignorate perché sono quest’ultime che separato un ottimo thriller da un capolavoro assoluto.
    Quanto a seguire svela dettagli e aspetti della trama per cui aprite lo spoiler solo se avete già visto il film o la tentazione di scoprirli per poi identificarli alla “prima visione” dovesse avere il sopravvento.

    • Alex appare con un evidente ritardo mentale eppure giuda con scioltezza un camper e nessuno si pone il problema, polizia in primis, che lo faccia…
    • Il labirinto, chiave di lettura degli enigmi, ritrovato sul corpo del marito ucciso/segregato dal prete… tutto ruota intorno a questo enigma e quando Loki è a un punto cieco, il più classico degli eventi, una foto che gli finisce sotto i suoi piedi…, gli chiarisce ogni cosa. Troppo scontato e, per quanto possibile, inverosimile. Una scappatoia per uscire da un palese punto morto.
    • Cosa ha Loki tatuato sul collo? Segni massonici? Cosa nasconde il suo passato? Il regista sorvola totalmente quando avrebbe potuto approfondire per giustificare alcune azioni che, con tempistica di un interruttore, lo portano dalla quiete alla tempesta.
    • La corsa in ospedale per quanto appagante visivamente sembra più la finestra sul cortile sui sogni onirici di un drogato… assurdo pensare che se realmente vedesse in quel modo fosse in grado di guidare una vettura…
    • La macchina che blocca la botola dove è sepolto (amen…) Keller non viene presa minimamente in considerazione della scientifica che bruca ovunque… Keller forse non è morto? Sequel in arrivo?
    • Quando Keller rapisce Alex e lo segrega in casa nessuno si pone la domanda di dove sia finito quest’ultimo, il detective si accorge che non è sorvegliato dopo giorni, la moglie di Keller non si fa problemi se il marito sparisce per intere giornate e nonostante le torture al limite di Jack Bauer, Alex ha una resistenza da marine;
    • Riallacciandoci al punto precedente, quando lo “scrupoloso” Alex va ad ispezionare la casa-prigione, fa una perquisizione a metà (gli basta una telefonata per la perdita di memoria su cosa stesse facendo…) e non nota minimanete che Keller finga di essere ubriaco perché gli risponde a tono a qualsiasi domanda (e neanche barcolla… quando prima era sdraiato tipo zerbino).

  2. Guido ha detto:

    Quanto ho adorato questo film. Due ore e mezza inchiodato alla poltrona. Jake Gyllenhaal straordinario.
    Bravissimi tutti gli altri attori e altra grande regia di Villeneuve.

    Per quanto riguarda i legittimi aspetti segnalati da Fabrizio nel commento:
    • Alex comunque deve aver sostenuto un esame di guida ;
    • Scontato sì, ma quante volte abbiamo visto espedienti simili in un film? Non sarà certo l’ultima volta ;
    • L’oscuro passato di Loki poteva essere approfondito, ma aggiunge, in senso positivo, mistero alla vicenda e non è fondamentale ai fini della storia ;
    • E’ vero, forse è un po’ eccessivo, ma la scena è innegabilmente intensa e coinvolgente ;
    • E’ possibile che sia stato fatto in precedenza, sarebbe stato un po’ didascalico mostrare tutto ;
    • Una volta accertata l’estraneità ai fatti di Alex la polizia non necessita più di quest’ultimo, la moglie di Keller ha più di qualche problema, quindi non so quanto possa “intervenire” nella questione, sulla resistenza di Alex non c’ho proprio pensato ;
    La telefonata è piuttosto urgente, può succedere di “scordarsi” (anche volutamente) di tutto il resto.

  3. Fabrizio Degni ha detto:

    Ciao Guido,
    ti ringrazio anzitutto per il commento che riquoto con piacere…

    1) Ma anche se fosse… per gli accertamenti non gli hanno richiesto tale documento…
    2) Certo… ma appunto perché così singolare, cadere in una tale banalità poteva benissimo essere passata.
    3) Concordo… magari ne farà un sequel ^_^

  4. Marco ha detto:

    Ottimo thriller, intrigante ed appassionante.
    Quando il connubio di regia, attori e sceneggiatura s’incastrano alla perfezione.
    Come sempre eccezionale la fotografia di Deakins e musica adatta.
    Lo consiglio.

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