"Robots" di Chris Wedge
20th Century Fox, 24 Marzo 2005 – Frenetico
«Puoi brillare comunque, di qualunque materiale tu sia fatto». Rodney Copperbottom è cresciuto con questa frase in mente, lo slogan di un produttore di pezzi di ricambio per robot. Così Rodney parte per Robot City per sottoporre a quella ditta una sua invenzione, ma arrivato in città scopre che le cose sono molto cambiate…
Luci e ombre, in questo secondo secondo lungometraggio dei Blue Sky Studios dopo l’acclamato L’era glaciale. Scritto dal commediografo David Lindsay-Abaire e dalla rodata coppia di sceneggiatori comici Ganz & Mandel (Splash, Scappo dalla città…), Robots ha un’anima in bilico tra il cartone adulto e il divertissement per ragazzini ma non riesce mai a trovare il giusto punto di equilibrio tra le due identità. Certo il film fa ridere, e non poco, ma la struttura sembra meccanica (senza giochi di parole) e i momenti di comicità sempliciotta e quelli prettamente visuali seppelliscono un po’ troppo una trama che avrebbe potuto risultare ben più profonda di quanto non abbia finito per essere.
I bisogni del singolo in contrasto con l’organizzazione consumistica della società moderna, il valore della solidarietà tra pari, l’importanza dei sogni e della perseveranza nel volerli realizzare… Sono alcuni dei temi che il film accenna ma non sembra voler sviluppare appieno, tra mille viaggi sulle montagne russe ed una gara di pernacchie ascellari, tra un’imitazione di Britney Spears ed un insopportabile finale alla Ape Maia.
L’impressione generale è proprio che i produttori abbiano tenuto un occhio sulle previsioni d’incasso, non volendo rischiare di fare un film che avrebbe potuto scontentare una parte del suo possibile pubblico. Il risultato è purtroppo una pellicola che funziona a intermittenza, che si accende e si spegne a seconda dell’età del singolo spettatore (ad esempio la gag migliore del film, quella dell’allegro chirurgo, è incomprensibile a chi non ha vissuto gli anni Ottanta) e che alla fine lascia tutti soddisfatti ma vuoti.
Lascia invece completamente insoddisfatti la scelta della distribuzione italiana di dare al protagonista la voce del DJ Francesco, l’ultima delle nostre “stelle” canore ad approdare in sala doppiaggio. Il figlio del tastierista dei Pooh si dimostra incapace di intonare correttamente la recitazione così come di cancellare il suo accento lombardo, e la cosa risulta ancor più fastidiosa perché ha accanto doppiatori di razza come Carlo Valli e Francesco Vairano. Ma a tutto questo, probabilmente, padri e figli presteranno poca attenzione. Il film è colorato e ricco a sufficienza, e non sapendo cosa ci stiamo perdendo non sentiremo la mancanza di gente come Ewan McGregor, Robin Williams, Mel Brooks, Halle Berry e Paul Giamatti.
Titolo: Robots (Id.)
Regia: Chris Wedge (co-regia di Carlos Saldanha)
Sceneggiatura: David Lindsay-Abaire, Lowell Ganz, Babaloo Mandel
Fotografia: —
Doppiatori: DJ Francesco, Carlo Valli, Francesco Prando, Chiara Colizzi, Alessia Amendola, Francesco Vairano, Roberto Stocchi, Leslie La Penna
Nazionalità: USA, 2005
Durata: 1h. 31′
Concordo con Albe, soprattutto il primo capoverso. Potevano osare di più, rendendolo molto più serioso coi temi trattati invece hanno voluto, giustamente dato che il pubblico di riferimento sono i bambini, dosarlo un pò troppo con gags degne del peggior lungometraggio Dreamworks Animation.
Comunque a me è piaciuto, le molte scene d’azione sono ben montate e divertenti, le battute di “Robin Williams” sono carine e la storia si fa tranquillamente guardare, ovviamente sempre sapendo il target a cui è rivolto si soprassede alla facilità in cui i personaggi arrivino ai loro scopi.
Grafica mogliorata rispetto all'”Era Glaciale” ma comunque in linea con le produzioni di quei tempi sia di Dreamworks che Pixar.
DJ Francesco stona all’inizio ma dopo un pò ci si “abitua”.
Più che abituarsi, ci si arrende…
La cosa che mi lascia perplesso è il fatto di dover scegliere personaggi di stampo televisivo che nulla sanno del doppiaggio come doppiatori.
Insomma…di doppiatori ne abbiamo, in gran quantità e di gran qualità.
Immagino che il ragionamento sia che certi personaggi portano al cinema gente che altrimenti non ci andrebbe. Ma al di là della correttezza di questo ragionamento, la cosa può avere senso con DJ Francesco protagonista di questo film o coi calciatori di “Shaolin Soccer”, ma prendere Ilaria D’Amico per doppiare il drago di “Eragon” senza neanche pubblicizzare la cosa, a che serve?
Io non sono tra coloro che a priori criticano il doppiaggio italiano… anzi a volte m’è parsa migliore la versione doppiata dell’originale (un esempio? “Aliens” di Cameron) ma Shaolin Soccer santo cielo è stato a dir poco massacrato, e la colpa purtroppo non è solo del Francesco a quel che ricordo.
“Shaolin Soccer”, come ho scritto nella recensione, è arrivato in Italia nella sua versione statunitense tagliata e con musiche diverse, ed è stato pure azzoppato dal doppiaggio di melma. Io posso anche capire l’idea di farlo doppiare a calciatori, ma calciatori stranieri (e solo di Roma e Lazio, tra l’altro)?
Comunque neanch’io sono a priori contro il doppiaggio, tant’è che preferisco vedere i film doppiati perché è così che li vede il pubblico italiano (e per questa opinione a Venezia mi son preso degli insulti), ma sono profondamente contrario al doppiaggio fatto male. Che purtroppo è ormai tanto frequente che quello fatto bene sta diventando un’eccezione.
Si comprendo, un doppiaggio fatto male ovviamente può rovinare, anzi, rovina senz’altro un film.
Spiacente per gli “insulti” presi a Venezia; personalmente apprezzo la scelta controcorrente ma sicuramente oculata e, soprattutto, professionale.
Purtroppo per molti “intellettuali” dire di aver visto un film della regione sud del Kafiristan in dialetto originale con sottotitoli in ungherese è l’unico modo per avere accesso alle virtù di qualche femminea commensale.
Che poi è un discorso pieni di controsensi, il loro. Al di là del rispetto per il lettore. E’ vero che il doppiaggio cambia molto il film, e proprio per questo più il film cambia più è importante vedere la versione doppiata. Nessuno dei miei colleghi, se dovesse fare recensioni editoriali, leggerebbe un libro in inglese per scrivere della sua versione italiana… E nessuno si sognerebbe di parlare della cover di una canzone avendone sentito solo la versione originale. Mah… Poi comunque io predico bene ma razzolo male, visto che la maggior parte dei film ormai li vedo sul pc.
Beh ma questo è un discorso diverso. Se anche io fossi in grado di comprendere a sufficienza perlomeno l’inglese guarderei molti film in streaming sul PC, in lingua originale perché ovviamente arrivano prima.
Invece le considerazioni inerenti le recensioni dei libri e/o canzoni mi trovano concorde: al cinema o in DVD i flm si vedono in italiano: è giusto quindi che il recensore visioni la versione doppiata, anche per mettere eventualmente in guardia lo spettatore su eventuali o possibili incongruenze inerenti il doppiaggio che appunto incide moltissimo sulla valenza generale dell’opera.
Fallo capire ai critici…
Giusto pour parler… vorrei che i “Critici” mi spiegassero come fanno a carpire la “vera” essenza di un film in lingua originale ad esempio cinese, in cui i toni usati ed i suoni sovente striduli propri di quella cultura sono totalmente avulsi dai nostri (non lo dico in senso dispregiativo).
Sarà banale ma… se i culturisti usano i muscoli solo per guardarsi, molti intellettuali fanno lo stesso con la cosiddetta “Cultura”.
Purtroppo questo è uno dei tanti aspetti per cui la concezione artistica che del cinema hanno critici e addetti ai lavori è profondamente diversa che c’è nelle altre arti. Differenze che balzano prepotentemente all’occhio quando si parla di lavori su commissione, ad esempio: un film su commissione è una marchetta, nelle altre arti spesso è un capolavoro (oltre che la normalità)…
Anch’io preferisco i film doppiati (tranne quelli massacrati a livello di adattamento) certo però che le versioni originali sono tutt’altra cosa.
E’ proprio questo il punto, Riccardo: la differenza tra versione originale e doppiata è spesso enorme, ed è per questo che professionalmente è molto importante vedere (anche) la versione italiana. Al di là che, personalmente, se non conosco la lingua originale mi serve a poco vedere il film in originale perché non sono in grado di capire le sfumature della recitazione e dei dialoghi.
Naturalmente, ma ci sono dei casi, prendo in causa la sit-com Friends, in cui l’adattamento italiano ha stravolto completamente il senso delle frasi in originale.
Be’, ma questi casi ricadono sotto la categoria dei doppiaggi fatti male, è un altro discorso. Poi le sitcom in generale sono difficili da doppiare perché l’enfasi della recitazione è parte integrante della riuscita delle scene e non sempre si può riuscire a renderla in un’altra lingua. Io parlavo proprio di quanto cambi l’atmosfera di un film con i personaggi che si esprimono in una lingua diversa ed eventualmente la colonna sonora con un peso diverso per via del rimissaggio.