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"Sacro GRA" di Gianfranco Rosi

18 settembre 2013 Recensioni 10 Commenti
Leone d'Oro

Officine Ubu, 19 Settembre 2013 – Inaspettato

Un viaggio quasi sconclusionato sull’anello stradale più famoso d’Italia, un giro intorno alla Capitale soffermandosi nelle periferie più inaspettate, dipingendo i ritratti più impensati di chi la vive ai margini…


Cesare in una scena di Sacro GRARegista-documentarista che il Lido conosce già molto bene, Gianfranco Rosi approda per la quarta volta al Festival del cinema di Venezia e con Sacro GRA stavolta si aggiudica addirittura il Leone d’oro. Dopo l’India, la California e il Messico si dedica a un’ambientazione altrettanto sacra e redditizia: il Grande Raccordo Anulare. Apre il suo film come diversamente non poteva fare: un incidente stradale, elemento di raccordo appunto, per chiunque abbia mai attraversato almeno un tratto di questo percorso. E poi si perde nei meandri dei dimenticati e lascia la strada per addentrarsi in palazzoni periferici, le cui finestre sembrano piccole arnie da cui tutti contemplano le splendide villette disabitate dirimpettaie; poi si concentra sulla vita scomposta di due prostitute di età avanzata; e ancora su tutte le fasi curative che un esperto botanico attua per salvare le palme dall’attacco del punteruolo rosso; fino allo strano tipo che vive come fosse un nobile in una reggia nella quale ambienta fotoromanzi e per concludere col pescatore di anguille nel Tevere che si preoccupa delle contaminazioni esterofile sul mercato del pesce.

Paolo e Amelia in una scena di Sacro GRAQuella di Rosi è una scelta inconsueta, abbandona la Roma colorita e vivace per una Roma diversa, meno chiassosa e sicuramente più grigia, si perde quasi il senso dell’orientamento e tutto a un tratto quelle periferie non assomigliano più ai quartieri capitolini più caratteristici, ma addirittura hanno la capacità di proiettarci verso un altrove indefinito. Un esempio a tal riguardo è la finestra attraverso cui vediamo padre e figlia piemontesi, che parlano con la loro cadenza tipica, lontana anni luce dall’accento romano e la stessa villa colonica, set fotografico ideale per giornalini romanzati, sembra fuori da qualsiasi ambientazione reale, tutto è un po’ un mondo a parte, senza nessi logici o legami narrativi, è il solo anello stradale che unisce realtà così eterogenee discordanti.

Filippo in una scena di Sacro GRASacro GRA è un documentario giocato sulle caratterizzazioni dei protagonisti, che si svelano mano mano che si procede verso la nostra strada, non è il luogo a creare l’intreccio filmico, ma la finzione-realtà nasce direttamente da questi incontri fortuiti e inaspettati. La macchina da presa si fa strumento di conoscenza di queste persone più per la loro eccezionalità che per lo spazio che abitano, la loro dislocazione diventa protagonista più della sacra autostrada urbana stessa che dà il titolo al film. Rosi trasforma il cerchio in una sorta di retta infinita dipinta a tratti da quadri diversi, senza nessun tipo di continuità ecco perché quando meno te l’aspetti scende anche la neve!


La locandina di Sacro GRATitolo: Sacro GRA
Regia: Gianfranco Rosi
Sceneggiatura:

Fotografia: Gianfranco Rosi
Interpreti: Cesare, Paolo, Amelia, Roberto, Francesco, Filippo, Xsenia, Gaetano

Nazionalità: Italia, 2013
Durata: 1h. 33′


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Attualmente ci sono 10 commenti a questo articolo:

  1. skumkyman ha detto:

    …quasi a completamento de “La grande bellezza” di Sorrentino, in cui primeggia la Roma bene , qui sembra quasi di essersi fermati per qualche tempo a vivere nella casa dello sceneggiatore in erba interpretato da C.Verdone (che esteticamente assomiglia anche molto a G.Rosi)

  2. Alberto Cassani ha detto:

    A dir la verità, secondo me i ritratti mostratici da Rosi restano troppo distaccati dalla città e dal Raccordo Anulare. Se li si vedesse singolarmente, non ci sarebbe nulla che farebbe pensare ad un collegamento tra di essi.

  3. Guido ha detto:

    Questo “film” è di una noia abissale.
    “La grande bellezza”, che non mi è piaciuto, almeno aveva qualcosa da dire, ed era interpretato benissimo.
    Qual è il messaggio di questo film? Quali emozioni lascia? Io ci ho visto il vuoto totale.

  4. Alberto Cassani ha detto:

    Be’, ma questo è un documentario. E’ ovvio che le interpretazioni non possano essere gran che…

  5. Guido ha detto:

    Sì, ma cos’ha di interessante?

    Emblematica è la scena in cui riprende una donna a letto nel suo appartamento. La luce è spenta, c’è solamente la tv accesa, e per un paio di minuti lo schermo rimane buio con la sola luce dello schermo ad illuminare il tutto.
    O ancora, il ricercatore intento ad “ascoltare” i rumori all’interno delle palme… altri silenzi estenuanti.

    Veramente insostenibile. Mistero su come abbia vinto il Leone.

  6. Alberto Cassani ha detto:

    Il suo non essere interessante è un’altra questione. Alcuni segmenti sono divertenti, ma il ritratto nel suo insieme è confuso e senza la potenza che invece avevano gli altri documentari di Rosi.
    Sul Leone invece nessun mistero: Bertolucci e Barbera avevano deciso fin dall’inizio di premiare un italiano, e hanno ritenuto che questo fosse il più meritevole.

  7. Sebastiano ha detto:

    Visto.
    Si lascia guardare, pero’ premiandolo si scredita l’intero festival e si sminuisce il premio. Era il caso?

  8. Alberto Cassani ha detto:

    Come diceva Rino Tommasi, l’importanza di un torneo la si capisce guardando il palmares.

  9. Sebastiano ha detto:

    Purtroppo ci siamo giocati la faccia al cineforum, e basta poco per mandare a monte le cose.
    Casualmente, avevo saputo che a Rho la meta’ della gente presente in sala e’ uscita durante la proiezione, e l’altra meta’ e’ rimasta perche’ addormentata.
    Da noi e’ uscito uno solo, ma chi e’ rimasto lo ha fatto per dirci una sola cosa: “Mai piu’!”
    Coro unanime.
    Gente che abbiamo educato a vedersi senza problemi film tipo “Post mortem”, per dirne uno. Mica gli ultimi arrivati.
    Ora, io sono sempre il piu’ possibile dalla parte degli autori, ma mi sa che non potremo proporre Gianfranco Rosi per i prossimi due o tre secoli.

  10. Alberto Cassani ha detto:

    Direi che ci sta, proporre un documentario italiano vincitore del Leone d’Oro in un cineforum impegnato, a prescindere dalla qualità. Però con un prodotto del genere è meglio avvisare il pubblico a cosa sta per andare incontro, perché chiaramente le attese sono alte e il prodotto veramente inaspettato.

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