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"Signs" di M. Night Shyamalan

9 dicembre 2009 Recensioni 8 Commenti
Signs

Buena Vista, 17 Ottobre 2002 – Autoriale

In seguito alla tragica morte della moglie, il reverendo Graham Hess ha una crisi di Fede che lo porta a dedicarsi totalmente alla fattoria nella quale vive insieme ai due figli e al fratello minore. Un giorno, addentrandosi nei campi di fronte casa, scopre misteriosi segni tracciati nel grano…


Una scena di SignsL’idea di realizzare un film d’impronta intimista utilizzando come scenario un’invasione aliena nascondeva certamente delle insidie. Restare in equilibrio senza finire col ritrovarsi fra le mani un ibrido incompiuto non era impresa facile. Ma M. Night Shyamalan si dimostra autore nel vero senso del termine, come pochi ve ne sono al giorno d’oggi, e confeziona un prodotto personale, coerente e tecnicamente ineccepibile, il cui unico difetto è forse l’artificiosità con cui la sceneggiatura si serve dei propri elementi per risolvere l’intreccio.

Mel Gibson e Rory Culkin in SignsLa base contestuale è di quelle care al regista de Il Sesto Senso: un gruppo di persone racchiuso in un “microcosmo” isolato dal resto del mondo, una sorta di habitat indipendente dove fronteggiano con le loro sole forze un evento inatteso che ne mette duramente alla prova la tenuta psicofisica, scombinando al contempo certezze e convinzioni. In quest’ambito, Shyamalan si sofferma su tematiche quali la perdita della fede in Dio e della speranza in seguito a un lutto improvviso, portando i personaggi a interrogarsi sulla possibilità che anche ciò che di tragico succede nella vita abbia in sé un significato, un messaggio incomprensibile sul momento ma che può illuminarsi di chiarezza in un secondo tempo. Tutto accade per un motivo, dunque.

Mel Gibson e Joaquin Phoenix in una scena di SignsCome accennato, alla luce di quello che è l’epilogo del film si arriva ad affermare che gran parte dei personaggi sono caratterizzati in maniera sin troppo mirata, studiata. E per quanto la “funzione risolutrice” di alcuni elementi ad essi legati sia giustificata dal fatalismo che emerge con la morale di fondo, permane una sensazione di artificialità nell’impiego di questi elementi che può infastidire.

Rory Culkin, Mel Gibson e Abigail Breslin in SignsCiò che invece può – e dovrebbe – destare ammirazione, è l’abilità con cui Shyamalan rende palpabile il senso di minaccia e di angoscia che attanaglia i personaggi (e con essi il mondo intero) attraverso la sottrazione visiva, ovvero negando di volta in volta allo spettatore quello che egli si aspetta gli venga mostrato e procrastinando ad oltranza il momento della “rivelazione”, quasi a voler insinuare un dubbio sull’effettiva veridicità di ciò che sta accadendo.
Una scena di SignsIn un momento della storia del cinema in cui, per creare tensione e sorpresa, buona parte dei cineasti non è in grado di prescindere da effetti sonori sparati a tradimento o dall’accumulo massivo di effetti speciali computerizzati, il regista di Philadelphia riesce a tenere il pubblico sull’attenti mediante silenzi, fruscii e misurati movimenti di macchina da presa. Utilizzando con maestria pochi fattori e pur limitando all’essenziale lo spazio scenico entro cui muoversi, Shyamalan sa rendere l’incombenza di una catastrofe mondiale più tangibile e opprimente di quanto un qualsiasi disaster-movie imbottito di tecnologia digitale sia mai riuscito a fare.

Abigail Breslin in una scena di SignsOttimamente sostenuto da un sonoro che diviene vero e proprio strumento narrativo, dalle musiche “hitchcockiane” di James Newton Howard e contrassegnato da alcune sequenze tecnicamente magistrali (su tutte quella che vede i protagonisti rifugiati nella cantina di casa), Signs è un film intriso di vero cinema. Forse si tratta di un cinema (e di un autore) che non tutti sono pronti ad accettare e apprezzare fino in fondo, ma per quanto manchi di un qualcosa che le consenta un definitivo salto di qualità, questa è una pellicola capace di impartire una solida lezione di linguaggio cinematografico.


La locandina statunitense di SignsTitolo: Signs (Id.)
Regia: M. Night Shyamalan
Sceneggiatura: M. Night Shyamalan
Fotografia: Tak Fujimoto
Interpreti: Mel Gibson, Joaquin Phoenix, Rory Culkin, Abigail Breslin, Cherry Jones, M. Night Shyamalan, Lanny Flaherty, Patricia Kalember, Marion McCorry, Merritt Wever, Michael Showalter, Ted Sutton, Kevin Pires, Clifford David
Nazionalità: USA, 2002
Durata: 1h. 46′


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Attualmente ci sono 8 commenti a questo articolo:

  1. Lorenzo ha detto:

    Io non sono d’accordo. Ho trovato questo film lento, con un finale già svelato e con attori parecchio sottotono. Mel Gibson è forse in una delle sue peggiori interpretazioni. Non riesco a farmi coinvolgere e la sceneggiatura non colpisce nel segno, senza infondere un minimo di suspance come vorrebbe.
    Shyamalan si è adagiato troppo sulla scia del successo del suo “Il sesto senso” e ha toppato qui come farà poi successivamente.
    Ovviamente, de gustibus non est disputandum.

    Un saluto.

  2. Claudio ha detto:

    ” Mel Gibson è forse in una delle sue peggiori interpretazioni”

    beh, forse non hai visto We Were Soldier…

  3. Claudio ha detto:

    ops: Soldier”s”

  4. Fabrizio ha detto:

    Sì, Lorenzo, diciamo che “Signs” è sicuramente un film che difficilmente conosce vie di mezzo: o piace completamente o non piace del tutto. E d’altronde, al di là del “Sesto Senso”, apprezzato a livello di massa, questo vale per tutti i film di Shyamalan che è sicuramente un autore particolare.

    Probabilmente in certe valutazioni entrano in gioco le aspettative dello spettatore, ma secondo me la suspance c’è eccome, e Shyamalan si dimostra un autore tecnicamente straordinario nel crearla e gestirla facendo dell’ottimo cinema, perchè questo film da un punto di vista registico è splendido. Può non piacere per come è concepito e per i suoi sviluppi, e d’altronde nella recensione sottolineo i limiti di una sceneggiatura comunque valida, ma il risultato è sicuramente interessante e apprezzabile.

    Mel Gibson l’ho trovato adatto, secondo me offre un’interpretazione adeguata. Come qualcun altro ha detto, in “We Were Soldiers” è ben peggiore, anche se lì influisce l’intero contesto di un film assai scarso. E comunque non è che Gibson sia di base un attore fenomenale.

  5. Lorenzo ha detto:

    Purtroppo (o per fortuna, viste le vostre opinioni) non ho avuto la possibilità di vederlo in “We were soldiers”. In questo film però mi sembra legato, impacciato. Non so bene come spiegarlo; come se fosse sempre alla ricerca di quell’ispirazione che non arriva.

    Non discuto il talento di Shyamalan. Questo film però, come altri suoi (e come dici giustamente tu, Fabrizio), o piace o non convince fino in fondo. Personalmente ho apprezzato più il recente “E venne il giorno”. L’idea di partenza era ottima, e anche l’interpretazione di Wahlberg. Si è perso solo un po’ nel finale.
    Dal mio punto di vista però lasciatemelo dire, dopo “Il sesto senso”, Shyamalan non si è più ripetuto. Almeno per ora.

  6. noir83 ha detto:

    Il sesto senso è forse il peggiore dei film di Shyamalan. E’ sì un ottimo film ma è una sorta di giocattolo costruito tutto sul finale. Ben altra storia sono Sign e soprattutto The Village, il suo film più maturo. Film costruiti dall’inizio alla fine, film a tutto tondo e non solo forti di un finale sorprendente.
    L’abilità di Shyamalan è quella di giocare con i generi come pochi hanno fatto. In Signs utilizza il genere fantascienza per parlare di Dio. The Village non è un film di paura ma un film “sulla” paura e su come nella società moderna la paura permetta di condizionare la mente del popolo, così come gli anziani del villaggio attraverso la paura per le creature cercano di difendere i loro figli. Unbreakble è un film sui supereroi spacciato per dramma. Il sesto senso per quanto sia molto ben fatto e costruito si regge tutto sul finale, togli quello il resto non ha la stessa forza. Non è un caso che tutti dicano che i film successivi sono peggio de il 6° senso solo perchè non trovano il finale twist di quel film.

  7. Fabrizio ha detto:

    Il problema di Shyamalan è che lui l’idea geniale la inventa sempre e spesso la sviluppa anche brillantemente, solo che ai suoi film manca sempre un quid che li renda dei capolavori o comunque un qualcosa di eccelso in senso assoluto. “E venne il giorno”, ad esempio, presenta un sacco di ottimi elementi e belle idee, ma non riesce ad ingranare la quinta quando servirebbe.

    “Il sesto senso” è costruito sul finale ma è quella la cifra del film ed è giusto che tutto ruoti intorno al plot twist conclusivo. Fra l’altro ogni ingranaggio gira perfettamente quindi è giusto parlare di un gran film, all’epoca quasi rivoluzionario, che ha in pratica creato un filone negli anni successivi. Anche “I Soliti Sospetti” è costruito tutto sul finale, ma è un capolavoro assoluto.

    “The Village” è forse il miglior film di Shyamalan, l’unico (al di là di quanto detto del Sesto Senso) che davvero si esalta quasi alla perfezione. “Unbreakable” fu un pò una delusione ma in realtà è un film pieno di risvolti affascinanti, che se fatto da uno sconosciuto e non “dal regista del Sesto Senso” forse godrebbe oggi di maggiore considerazione.

    “Signs” lo trovo un prodotto decisamente valido. E’ tecnica cinematografica allo stato puro, un film d’autore mascherato da blockbuster. Poi, ripeto, può non piacere e Shyamalan è un autore che divide il pubblico.

  8. Marco ha detto:

    Concordo con la recensione e con i commenti di Fabrizio riguardo il film in questione: tolto letteralmente le parole di bocca!
    Dopo 15 anni si lascia ancora ben vedere e sa ancora appassionare e far pensare.
    Farà sempre parte della mia cineteca.

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