Soundtrack: Girl di Valentin Hadjadj
Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore – * * * * *
Non è casuale che la dolente e miseriosa colonna sonora composta da Valentin Hadjadj per il “Girl” di Lukas Dhont giri in realtà attorno all’aria di Haendel “Ombra mai fu”. Le musiche originali delineano un lirismo sofferto, ma antiretorico e antisentimentale…
Partiamo da quello che sembra un dettaglio, ma forse non lo è: si tratta dell’aria “Ombra mai fu” che il protagonista del “Serse” (1738) di Georg Friedrich Haendel canta in apertura d’opera e in solitaria, rimirando l’ombra di un platano. La pagina, di malinconica e apollinea bellezza, è scritta in fa maggiore e in tempo di ¾, e, benché a eseguirla siano poi stati tenori celeberrimi, da Enrico Caruso a Franco Corelli e Andrea Bocelli, originariamente prevedeva che a cantarla fosse un castrato (o in epoca più moderna un controtenore, ossia un cantante in possesso del registro vocale da contralto), secondo quella consuetudine – in voga sino a tutto il XVIII secolo – che produsse all’epoca autentiche star del firmamento e dei palcoscenici operistici. Tra queste primeggiò Carlo Maria Michelangelo Nicola Broschi, in arte Farinelli, la “voce regina” evocata nel 1994 dal film di Gérard Corbiau e interpretata da Stefano Dionisi: e non a caso nel soundtrack di quel film l’aria haendeliana è presente, come lo era nelle Relazioni pericolose di Stephen Frears, e come lo sarà poi, più recentemente, interpretata dalla protagonista Daniela Vega, nel finale di Una donna fantastica di Sebastián Lelio, Anche in Girl, folgorante opera prima del giovanissimo belga Lukas Dhont pluripremiata a Cannes, “Ombra mai fu” occupa la scena finale nella metro, eseguita dal controtenore contemporaneo più celebre, Franco Fagioli, accompagnato dall’ensemble d’epoca Il Pomo d’Oro e dalla violinista barocca Zefira Valova, firmatari di uno splendido album Deutsche Grammophon di arie haendeliane, da poco pubblicato.
Ora, che cosa accomuna tutti questi titoli? Con la parziale eccezione del film di Frears (che comunque enucleava dal romanzo di Choderlos de Laclos una gelida riflessione sulla seduzione come arma a doppio taglio di rivalsa e di potere), tutti riguardano il tema della transessualità, e nello specifico i tormenti di anime e psicologie rinchiuse in un corpo nel quale non si riconoscono. Tale è Farinelli, che paga la propria fama con il sacrificio della virilità, tale è la “fantastica” trans Marina di Lelio, anche lei (aspirante) cantante, ma soprattutto disperatamente protesa a far accettare la propria vocazione femminile. E tale è Lara, il/la ballerino/a di Dhont interpretato/a dal miracoloso Victor Polster, quindicenne transgender che lotta per farsi accettare con il solo – e insperato – appoggio di un padre straordinariamente partecipe e affettuoso.
Preso atto di quella che con tutta evidenza è una precisa scelta di riferimento e contesto culturali, la dolentissima e misteriosa partitura dell’emergente ma già pluripremiato compositore francese Valentin Hadjadi (molti corti in carnet, oltre a un bel saggio di animazione “adulta” quale Avril et le monde truqué di Franck Ekinci e Christian Desmares) si muove in un paesaggio sonoro che ricorda quello evocato da Carl Davis in La donna del tenente francese o da un altro grande francese di origini mediorientali, Gabrel Yared, in Camille Claudel: ossia un trattamento estenuato, sfibrato della sezione degli archi, in un tipo di scrittura che si appropria degli estremi, stilizzati lasciti del tardoromanticismo viennese a cavallo tra Otto e Novecento (quello della “Notte trasfigurata” schönberghiana, per intenderci). Il dramma interiore di Lara viene così avvolto in una fitta trama contrappuntistica, segnale di una grande perizia di scrittura e di altrettanto profonda assimilazione di modelli classici, svolta secondo la forma del tema con variazioni. Tale è il sommesso, impalpabile “Girl theme”, innalzato da lentissimi accordi di violini divisi sul registro acuto, preparatori di una serie di incessanti e virtuosistici, rapidissimi ed evaporanti arpeggi sul ponticello, ripetuti con lievi modifiche dinamiche e agogiche nella “Variation 1”.
Si delinea così un lirismo catafratto, assolutamente antiretorico e antisentimentale ma sofferto da una vibrante tensione interiore e da un’espressività che l’agitazione motoria e la palpitante inafferrabilità degli archi rendono particolarmente inquietante. Muovendosi sul registro di suoni a volte appena percepibili (“Summer”), in cui ai pregevoli esecutori è richiesto un tocco di gomito più che di polso, cosicché l’archetto sfiori appena le corde producendo un effetto di gelida delicatezza, Hadjadi più che preoccuparsi di esigenze leitmotiviche (il tema del/la protagonista è poco più che un semplice giro di accordi la maggiore-la minore) inserisce questo elemento in un paesaggio abitato da misteriose figurazioni elettroniche (“Flying”, “Fall”), o da contenuti ma intensi slanci orchestrali, ottenendo una cifra onirica, quasi fantastica, cui si deve gran parte della particolare, intima e struggente atmosfera del film.
La tessitura degli archi e la finezza della scrittura si apprezzano particolarmente nella splendida, luminescente “Variation 2”, con le sue arcate dinamiche instabili e il gioco cangiante delle modulazioni, e nella sospirante “Winter”, una sorta di lunga frase avvolta su se stessa e continuamente interrotta da pause e sospensioni interrogative; è una musica restia ad abbandonarsi, quasi timida oltre ogni aspettativa, innervata da una commozione trattenuta eppure inequivocabile, ma fermamente ancorata alla propria compostezza. E raramente si è udita in tempi recenti l’elettronica utilizzata con altrettanta sorvegliata attenzione e sensibilità come in “Mathias” e “Lara”, al punto da riuscire a integrarne pienamente il timbro e la dolorosa intensità con il reparto acustico, in una compenetrazione reciproca estremamente suggestiva.
Appare così chiaro che anche l’inserto haendeliano, lungi dallo svolgere funzione meramente ornamentale, diventa parte di un edificio musicale complesso e colto, la cui ambizione riuscita è quella di restituire la tenerezza, il pudore e la dignità di un essere umano ostaggio dell’imprevedibilità della natura.
Titolo: Girl (Id.)
Compositore: Valentin Hadjadj
Etichetta: Deutsche Grammophon/Universal Music, 2018
Numero dei brani: 10
Durata: 39′ 29”
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