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Soundtrack: "L'ultima parola" di Theodore Shapiro

7 marzo 2016 Soundtrack 0 Commenti
L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo

Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore* * * ½

Per raccontare la lotta dello sceneggiatore Dalton Trumbo contro la caccia alle streghe del senatore McCarthy, era facile pensare a una colonna sonora piena zeppa di brani d’epoca e musiche dai film da lui sceneggiati. Invece, l’eclettico Theodore Shapiro sceglie di commentare il film come una partitura di jazz riveduto e corretto…


Notoriamente fare film sul cinema, sull’ambiente del cinema, su registi, sceneggiatori, attori, pone non piccoli problemi di identificazione e credibilità da parte dello spettatore che conosca i modelli originari. Ma anche immaginando che una gran parte del pubblico contemporaneo non abbia mai sentito parlare di Dalton Trumbo e poco conosca – o ricordi – del clima hollywoodiano negli anni 40 e 50, non v’è dubbio che questa difficoltà sia qui accresciuta dalla particolarità di quel periodo storico Un periodo nel quale, a Hollywood come in tutti gli Stati Uniti, la paranoia anticomunista del senatore McCarthy e dei suoi lacchè (tra cui la luciferina giornalista Hedda Hopper) scatenò con la cosiddetta “caccia alle streghe” un’ondata di epurazioni, denunce, delazioni, umiliazioni e carriere stroncate, destinata a lasciare un segno incancellabile per decenni. Di questoclima Trumbo, sceneggiatore di successo, scrittore, democratico pacifista vagamente socialdemocratico che forse oggi voterebbe per Hillary Clinton, fu la vittima più illustre: iscritto nella “black list” dei presunti sovversivi, fu costretto per campare a firmare le sceneggiature sotto pseudonimo (Vacanze romane) sino alla sua “riabilitazione” negli anni 60 grazie alle battaglie libertarie di Otto Preminger, Kirk Douglas e Stanley Kubrick, per i quali scrisse film come Exodus e Spartacus.

Un simile tragitto, ricostruito ora nel film di Jay Roach scritto da John McNamara e interpretato da Bryan Cranston, poteva forse chiamare a sé naturalmente una soundtrack d’epoca, costellato di canzoni o comunque musica preesistente; o, in seconda battuta, uno score vintage, nostalgico e ispirato al sound metropolitano (e hollywoodiano) di quei decenni gloriosi e tormentati. Ora è chiaro che nel corpo sonoro del film tutti questi elementi non mancano, da Glenn Miller a Paula Watson, da “Willie the cool cat” di Big Jay McNeely a “Ain’t nobody’s business if I do” di Billie Holiday (queste ultime due comprese nel CD), sino alle storiche partiture di Max Steiner, Georges Auric o Alex North per i film scritti da Trumbo.
Ma per la parte di propria competenza Theodore Shapiro, musicista spiccatamente eclettico della quasi-new wave (generazione over 40) statunitense, con una spiccata propensione per la commedia con venature demenziali (I sogni segreti di Walter Mitty, Lo stagista inaspettato, Zoolander 2), ha scelto invece il percorso più intelligente ancorché arduo: quello di un jazz riveduto e corretto, sarcastico, spigolosamente moderno quando non apertamente sperimentale, che sembra rifarsi, più che agli anni ’50, direttamente ai 70 e a certi score urbani e gelidamente frenetici di Jerry Fielding. “Eighty words a minute” per esempio ingloba un set di percussioni decisamente anomalo, giocando quasi a nascondino col pianoforte, mentre la scattante big band di “Curriculum vitae” o il lento incedere delle trombe in sordina di “Prologue” esprimono due volti complementari di una medesima ispirazione: Shapiro non si dimentica mai infatti di essere all’interno di un contesto drammatico, nel quale lo sberleffo dissacratorio deve spesso cedere il passo a stati d’animo venati di elegiaca cupezza. Bastano a volte brevissimi frammenti pianistici, come “Ping pong”, o lente movenze di archi fruscianti e dissonanti, come “Trumbo goes to prison”, o misteriosi intrecci di “cool jazz” (“Family business”), a rendere il sound di questa partitura una spia a volte minacciosa, altre volte complice, altre infine intimamente partecipe di una tensione che, sottotraccia o in superficie, attraversa tutta la vicenda e i suoi personaggi.
In tal senso la scelta degli strumenti operata da Shapiro è particolarmente lungimirante e significativa: se al pianoforte compete l’unico “tema” propriamente detto, associato a Trumbo (“A letter from prison”), severamente malinconico, la presenza degli archi lungo fasce tenute di accompagnamento, carica di umanità e partecipazione la battaglia di civiltà del protagonista, mentre gli inserti degli ottoni e della batteria provvedono a una ritmica nervosa, tesa, ma a tratti anche ironica e smitizzante come si desume dalle movenze marionettistiche di “A script for the kings”.
Colpiscono poi anche il lato notturno, fascinosamente evocativo di pagine come “Script montage”, che riprende in parte il “Prologue”, o il sound distanziato, irreale degli ottoni di “The Mexican script” e “Benzedrine”, così come il disteso “No bullies” affidato alla dolcezza di un’arpa sul tappeto degli archi; per non parlare del nobilissimo adagio di “The credit”, dove il sarcasmo si trasforma in asciutta meditazione. Una tendenza che si accentua in “The blacklist is alive”, “It’s over” e “It’s a fine picture”, dove il lato più drammatico – ma sempre privo della minima enfasi – dello score prende il sopravvento sull’esercizio di stile, sigillando insieme al tema principale pianistico di “The elephant in the room” una partitura che riesce a essere nel medesimo tempo omaggio civile, squarcio su un’epoca buia, e affettuosa rivisitazione di un clima culturale in cui coraggio e viltà erano spesso le due facce della medesima medaglia.


La copertina del CDTitolo: L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo (Trumbo)

Compositore: Theodore Shapiro

Etichetta: Lakeshore Records, 2015

Numero dei brani: 28 (26 di commento + 2 canzoni)
Durata: 47′ 26”


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