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Soundtrack: "Noah" di Clint Mansell

7 luglio 2014 Soundtrack 0 Commenti
Noah

Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore* * * ½

Chiosato da una preziosa canzone di Patti Smith, il lavoro di Clint Mansell per il kolossal biblico di Darren Aronofsky coglie e restituisce con coerenza e trasporto, attraverso un linguaggio composito che interpella continuamente l’ascoltatore, il rovello psicologico dell’umanità affrescata dal film…


Visto il contesto, è proprio il caso di dire che… ne è passata di acqua sotto i ponti da quando l’inglese Clint Mansell, nemmeno trentenne, militava tra gli anni 80 e 90 come chitarrista e cantante nella band dei Pop Will Eat Itself. In questo arco di tempo, Mansell si è perfezionato come musicista cinematografico soprattutto sotto l’egida di Warren Aronofsky, sopravvalutato regista New Age ultimamente dedicatosi a più convenzionali produzioni commerciali, per il quale ha musicato cinque pellicole all’insegna di un clima sonoro prevalentemente inquietante, allucinato, psicologicamente labirintico, il cui capolavoro a tutt’oggi resta probabilmente lo score per Requiem for a Dream.

Il nuovo kolossal biblico-familiare del regista parrebbe suscitare quasi istintivamente la tentazione di una partitura in linea con la vecchia tradizione di genere, con sonorità epiche e volumetrie imponenti; ma Mansell non ama le scorciatoie né le soluzioni semplicistiche, e così Noah s’inerpica musicalmente verso sentieri scoscesi e non facili, mescolando epica e tecnologia, fasto sonoro e oasi cameristiche, ritmi martellanti e rarefazioni timbriche. Anche l’organico palesa una concezione precisa, mirata; grande orchestra, coro, ma anche il nuovo (dopo Requiem… e The Fountain) contributo decisivo e strutturale del Kronos Quartet, formazione di punta con la quale evidentemente Mansell ha una sintonia di fondo.

La partitura appare idealmente scandita in quattro movimenti classici, “The Wicked”, “The Covenant”, “Justice” e “Mercy”, a loro volta suddivisi in tracce ognuna recante un titolo tratto dal Vecchio Testamento; il primo e il terzo sono caratterizzati da una forte, turbolenta tensione, gli altri due appaiono addolciti in tonalità tenui e carezzevoli. La prima impostazione appare decisamente più imperiosa e sbalzata, sin dal minaccioso “In the beginning, there was nothing”, ritmato con pesantezza ancestrale dai bassi e frustato dalle percussioni, mentre il côté lirico è affidato a sofferti interventi solistici, come il cello di “The end of all flesh is before me” e “A sweet favour”. Non è una spartizione netta, a volte i due aspetti si incontrano (“The fallen ones”) e creano un sound uniforme, grave, spazialista, raggelato, dove anche la grandiosità è fissata, quasi bloccata in forme squadrate, in armonie ruvide e modali, prive di cromatismi o di sfumature tonali. È un metodo che Mansell ha lungamente sperimentato nella sua collaborazione con Aronofsky; la partitura sembra provenire da lontananze siderali, accresciute dall’intervento puntuale dell’elettronica sia nel delineare gli interventi melodici che nel creare un sottofondo ansimante, continuo e irrequieto.
Si diceva prima di una certa tendenza New Age nel mondo di questo cineasta e conseguentemente nel sound di questo compositore, e se ne trovano riscontri evidenti in “Make thee an ark”, nell’impasto denso e avvolgente degli archi e del coro, nel cantilenare lento e rituale del Kronos in “Every creeping thing that creeps”, evocatore di un mèlos ebraizzante con un tema arcaico che verrà poi ripreso più sinistramente anche in “I will destroy them”, con il lamento ossessivo degli archi che dilaga sorretto dal brulicare elettronico. A tratti la partitura assume dissonanze e spigolosità dichiaratamente horror, come in “The wickedness of man” ma il più delle volte la tensione è trattenuta sul fondo, in disparte, come a voler comprimere una violenza che lotta continuamente per emergere. E infatti Mansell non lascia quasi mai che il suono si gonfi pompieristicamente, preferendo isolarne le componenti e giocarle dialetticamente in un contrappunto timbrico a tratti affascinante, come nel tormentoso, diluito quartettismo cameristico di “Your eyes hall be opened, and ye shall be as Gods”, in cui il Kronos introduce lungamente un’apertura lirica ariosa e luminescente. “By man shall his blood be shed” è forse una delle pagine più impressionanti della partitura, trafitta dagli interventi possenti degli ottoni, fortemente cadenzata da percussioni e tastiere e fomentata dall’intervento apocalittico del coro: forse una delle rare concessioni di Mansell alla “epic music” ascrivibile al genere kolossal, sia pura rivisitata e riscritta in chiave postmoderna. Mentre “The judgement of man” riprende l’andatura ritmica e la plastica grandiosità dell’incipit basata su un possente, ossessivo inciso “fa-re”, la costruzione progressiva di “The spirit of the Creator moved upon the face of the waters”, con un inizio lieve e lirico e uno svolgimento improntato alla consueta imperiosità ritmica, rimuove ogni interrogativo sulla vocazione minimalista o meno del compositore, altrove forse presente ma qui decisamente accantonata a favore di un’imponenza di scrittura mai estroversa o coloristica, ma nondimeno incombente e di laboriosissima concezione.
“Forty days and forty nights” martella una parentesi molto mossa e ansiosa su un ostinato in do, e “What is this that thou hast done?” rioffre in coda l’inciso “fa-re”, a denotare anche un’attenzione particolare della partitura per alcuni baricentri tonali intesi come punti di riferimento e di ancoraggio psicologico; in “The fear and the dread of you” è nuovamente il Kronos a intarsiare con le proprie sonorità penetranti una pagina cupamente rutilante di suoni quasi mentali, laddove “And he remembered Noah” sorprende invece per la squillante, abbagliante introduzione tematica seguita da una meditazione per archi composta e stratificata, abitata da melopee di stampo gregoriano e protesa verso orizzonti sfolgoranti. Sommesso, quasi impercettibile nell’incessante, paziente lavorio degli archi, “Day and night shall not cease” è un distillato di sonorità impalpabili, trasparenti che si trasforma in una nenia ammaliante, sviluppata in un crescendo possente e incontenibile, destinato a precedere il brano “Mercy is”, che Patti Smith ha scritto insieme al fido chitarrista Lenny Kaye e che la cantante di Chicago ripropone qui accompagnata dal Kronos Quartet. Proprio la presenza decisiva della compagine di San Francisco fondata oltre quarant’anni fa dal violinista David Harrington insuffla il brano di un’aura mistica, quasi supplice, trasformandola in una cantata dal pathos toccante, dove il quartetto d’archi sostiene le prodigiose mezze voci della cantante in uno straordinario connubio che ha il sapore di un’invocazione intima.

Chiosato da questa preziosa gemma, si può ben dire, dunque, che il lavoro di Mansell colga e restituisca con coerenza e trasporto, attraverso un linguaggio composito che interpella continuamente l’ascoltatore, il rovello psicologico dell’umanità biblica affrescata dal film di Aronofsky, sulla quale grava inesorabile la furia di un Dio vendicativo.


La copertina del CD di NoahTitolo: Noah (Id.)

Compositore: Clint Mansell

Etichetta: Nonesuch Records, 2014

Numero dei brani: 23 (22 di commento + 1 canzone)

Durata: 78′ 48”


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