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Soundtrack: "Passion/Prova d'innocenza" di Pino Donaggio

22 aprile 2013 Soundtrack 0 Commenti
Roberto Pugliese, 8 Marzo 2013: * * * * * / * * * ½
In collaborazione con Colonne Sonore

Due anime della monumentale carriera di Pino Donaggio, le colonne sonore di Passion e Prova d’innocenza dimostrano il forte collegamento tra la musica del compositore veneziano e le immagini dei film per cui è scritta. Tanto che se cambia radicalmente il montaggio…


Se concordiamo con quanto testimoniato da compositori come Paul Chihara o Christopher Young, che l’esperienza l’hanno vissuta direttamente, e cioè che non si è un vero compositore hollywoodiano se almeno una volta non ci si è visti respingere e sostituire una partitura, allora possiamo dire che Pino Donaggio ha subito questo sgradevole “battesimo” quasi trent’anni fa, quando il suo score insinuante, sensuale e sofisticato per il thriller di Desmond Davis Prova d’innocenza venne rimpiazzato da un assemblaggio jazzistico firmato da Dave Brubeck. Vedremo più avanti i motivi, ma ciò che qui preme sottolineare è come, per un musicista cinematografico di deciso profilo, poco disponibile a compromessi – se non nella misura di una giusta collaborazione fra le parti – e dotato di personalità forte, la strada spesso si riveli in salita anche quando sulla carta sembrano esservi tutti gli elementi per un’intesa totale con il regista e la produzione. Ecco perché, forse un po’ arbitrariamente, abbiamo accostato l’ultimo, raffinatissimo e intrigante lavoro del compositore veneziano per il “suo” Brian De Palma, e la pregevole edizione integrale che la californiana Kritzerland ha voluto dedicare al recupero della partitura “rejected” nell’84.

Il fatto è che in verità anche Passion, settimo titolo di un sodalizio iniziato nel ’76 con Carrie lo sguardo di Satana, e ripreso solo di recente dopo uno stacco di vent’anni (quanti ne sono trascorsi da Doppia personalità), è un film nel quale Donaggio ha dovuto combattere le proprie battaglie e trovare non pochi punti di mediazione rispetto alle richieste del regista sia in termini di scelte strumentali che di tipologie di brani che di colori psicologici, in particolare confrontandosi con il vincolo dei “temp-tracks”, quella “temporary music” o musica provvisoria che molti registi inseriscono nelle copie di lavoro dei film da inviare ai musicisti perché “capiscano” più o meno cosa devono scrivere…
Una prassi che ha accompagnato tutta la storia della collaborazione De Palma-Donaggio, quasi sempre vedendo uscire vincente ed elogiato il compositore, il quale – ricordiamolo – è abituato a lavorare rigorosamente sulle immagini, sul girato, mai sulle sceneggiature o su un progetto generico. Anche Passion perciò ha avuto i suoi momenti… di passione, di conflitto e di discussione, risolti tuttavia da Donaggio nel segno di un rispetto di fondo e di una lealtà assoluta verso i desiderata del regista unita a un formidabile e ormai consolidato intuito drammaturgico che permette al musicista di arrivare al nocciolo, al cuore delle scene seguendo percorsi non sempre preordinati o precostituiti, ma egualmente – e spesso assai più – efficaci.
Il primo e più forte elemento diciamo così cogente della partitura – imposto da De Palma a Donaggio sin dalla prima telefonata – è come si sa la presenza del “Prélude à l’après-midi d’un faune” di Claude Debussy, caposaldo dell’impressionismo musicale composto dall’autore di “Pelléas et Mélisande” tra il 1890 e il ’94 per il poema bucolico di Stéphane Mallarmé ma mai andato in scena con questa destinazione, e approdato invece al pubblico come breve quanto folgorante poema sinfonico. Fulcro narrativo del film, integralmente rappresentato in una versione coreografica (e riproposto nel CD nella lettura morbidissima e onirica dei Berliner Philharmoniker diretti da Sir Simon Rattle), il “Prélude” entra ovviamente come elemento di parafrasi, ovvero preciso segnale diegetico, anche nella partitura originale di Donaggio: a cominciare dalla splendida versione per il pianoforte di Gianluca Podio in “The breakdown”, che somiglia a un’autentica trascrizione più che a una rivisitazione (qualcuno ricorderà che tra il 1892 e il ’93, prima dell’esecuzione orchestrale definitiva del ’94, fu lo stesso Debussy a farne ascoltare una versione pianistica), suggellata dallo struggente intervento del violoncello solo in coda. E trattandosi anche, in un certo senso, di un segnale d’allarme, ecco il tema debussyano del flauto, quel “Très moderé doux et expressif” marcato dal compositore, riapparire negli archi brevemente e sinistramente in due parentesi di “Know that know”, costruito su un’incessante pulsazione dei bassi e frasi smorte degli archi, sino all’agghiacciante guizzo delle “frustate” conclusive.
Tuttavia, al di là dei vincoli citazionistici, l’intero score evidenzia una scrittura in qualche modo “francese”, impressionistica, allusiva, dove il dialogo fra archi e legni è costante e dove lo spettro dinamico supera raramente il mezzoforte: merito anche di una sapiente orchestrazione a sei mani (Donaggio, il fido Paolo Steffan co-autore anche dei brani più “techno” nonché responsabile, con l’assistenza di Andrea Bandel, del reparto-tastiere, e l’inseparabile Natale Massara) e dell’attenta, scandagliata esecuzione della Czech National Symphony Orchestra nei suoi studi praghesi, diretta con particolare, miniaturistica cura dei dettagli da Massara. Il tutto, va detto, esaltato dal perfetto e trasparente missaggio effettuato nello Stone Recording Studio di Roma da Marco Streccioni coadiuvato da Gabriel Conti. Aggiungeremo infine per completezza d’informazione che il cd, sotto la direzione artistica dello stesso Donaggio e prodotto da Josè M.Benitez per la Sud Ovest Records Srl con la supervisione musicale di Elise Luguern, esce in una doppia versione, francese e inglese, entrambe con la grafica molto “dark” di Nacho B. Govantes e le foto di scena di Guy Ferrandis/SBS Productions: la prima però in formato digipak con l’ulteriore contributo di Laurent Fufroy, la seconda nella tradizionale confezione in box.
““Twin souls”, il track d’apertura sui titoli di testa, è un brano di acuto depistaggio psicologico: ritmato e ironicamente danzante, quasi brillante, si muove lungo una linea pulsante e irregolare di bassi e legni, suggerendo beffarda instabilità e apprensione. Ma il punto di riferimento dello score è il “Passion theme” (intro del piano, sviluppo composto e riflessivo degli archi), melodia molto lunga e sviluppata nel più tipico “Donaggio’s touch”, con una “conversazione” assai fitta tra violini e celli che, ripresa in “The last drop” in un fraseggio legato e sommesso, acquista quasi le caratteristiche di un toccante requiem. Partitura meno “scaring”, meno terroristica di altre “alla De Palma-Donaggio”, Passion non lesina tuttavia momenti “disturbanti” e manipolatori, soprattutto nei brani scritti con l’ausilio tecnologico di Steffan (a cominciare da “Perversions and diversions”, notturno e visionario), e riserva nel lungo “Journey through a nightmare” una sorta di suite – calibrata non a caso nella sequenza-clou – dove Donaggio rivisita sistematicamente i principali passaggi d’atmosfera del film mantenendo una sommessa ma inquietante ambiguità di fondo. Dissonanze dei violini, brevi frasi iterate dei legni e un forte, imperativo inciso tematico dei celli più avanti ripreso dai corni e dal vibrafono sul tremolo ansiogeno degli archi costituiscono un paesaggio che sembra quasi rinviare alle soluzioni fortemente “audiovisive” adottate a suo tempo per Omicidio a luci rosse e Blow Out, soprattutto nella violentissima “coda” a effetto degli archi e degli ottoni.
A suggellare il sapore “francese” della partitura c’è infine “Last surprise”, che costituisce l’eredità di una scelta iniziale poi rivista nella complicata fase finale di missaggio, ovvero quella che prevedeva la presenza della “Pavane pour une enfante défunte” di Maurice Ravel, altro brano-epitome dell’impressionismo francese, scritto per piano nel 1899 e orchestrato nel 1910 dall’autore di quel “Boléro” che aveva già attratto De Palma nel 2002, precettando a una sua implacabile, arcigna parafrasi il compositore giapponese Ryuichi Sakamoto. Ancora una volta, questo “hommage à Ravel” prende vita nel tocco pianistico di Gianluca Podio, raggiunto subito dal violoncello solo: saranno poi i violini a cantare espressivamente e scopertamente il tema principale, semplice e “povero”, scegliendo nello schema variativo, peraltro sempre riconoscibilissimo, un andamento a salire anziché quello originario raveliano, declinante e mesto.
Va da sé che in questo caso la “trattativa” fra compositore e regista, pur lasciando sul campo e nella penna del musicista opzioni alternative e scelte strutturali e orchestrali diverse, ha comunque ottenuto grazie agli sforzi di Donaggio quale esito conclusivo la (parziale) salvezza di un film altrimenti confinato in uno schema e in un’atmosfera irrimediabilmente rétro, provvedendo a ravvivarne i meccanismi con una partitura coltissima e abilmente, misteriosamente sfuggente. Nel caso di Prova d’innocenza le cose erano forse destinate ad andare storte sin dall’inizio.

Tratto dal romanzo di Agatha Christie Le due verità e prodotto dalla Cannon di Golan e Globus per cui Donaggio aveva in quegli anni scritto alcune partiture molto “muscolari”, a cominciare dall’Hercules dell’83, il film era un thriller familiare psicologico ambientato nell’Inghilterra degli anni 50 e annoverava un cast stellare (Donald Sutherland, Sarah Miles, Faye Dunaway, Christopher Plummer). Possedeva però il difetto di una dilagante verbosità, che non contribuiva certo alla comprensione dell’intrigo, e ciò rese non poco difficile il compito al compositore veneziano. Che tuttavia optò per un largo uso ancora dell’orchestra d’archi, individuando un tema principale soavemente sentimentale, arioso, melanconico, prediligendo invece il pianoforte solo per accompagnare con discrezione i numerosi e ingombranti dialoghi. A questo punto le versioni si biforcano, come in un vero “giallo”, recando forse ciascuna con sé una parte della verità: secondo Bruce Kimmel, produttore del CD Kritzerland e autore delle note nel booklet, un “cambio di destinazione d’uso” del film lo dirottò sul piccolo schermo, obbligando a un nuovo montaggio e quindi a una nuova partitura musicale. Compito per il quale Donaggio, nel frattempo impegnato altrove, non era più disponibile. Secondo Gergely Hubai invece, autore di Torn music, il lavoro del musicista, troppo “europeo” e ricercato, non era piaciuto sin dall’inizio al protagonista Sutherland e alla coproduttrice del film Jenny Craven, che presero a utilizzare dei “temporary track” jazzistici. Sempre più orientata su questa scelta, la produzione dietro le insistenze dell’attore finì per chiedere i servigi di Dave Brubeck, leggendario pianista e compositore jazz. Brubeck tuttavia accettò solo a patto di poter improvvisare dei brani su suoi pezzi preesistenti, a causa dello scarso tempo concessogli per scrivere una partitura ex-novo. Il risultato, prima e ultima esperienza di Brubeck per il grande schermo, fu una serie di variazioni su brani storici come “Take five” o “Blue Rondo à la Turk” delle quali non è rimasta traccia discografica, e che – anche per colpa di un missaggio assai infelice – non servirono a salvare il film da un cordiale fiasco.
Il recupero completo e la masterizzazione digitale di James Nelson sulle sessioni originali di registrazione dello score di Donaggio (in precedenza esisteva solo una suite di 17 minuti intitolata “Suite for a Dying Venice” raccolta in una compilation Silva Screen/Edel del ’92), realizzate ai Forum Studios di Roma sotto la supervisione di Sergio Marcotulli, con la prestigiosa Orchestra Sinfonica Unione Musicisti di Roma diretta con particolare sensibilità e attenzione ai piani sonori da Gianfranco Plenizio, ci permette oggi di capire che forse con questa partitura il film avrebbe potuto avere qualche chance supplementare.
I main title suggeriscono ad esempio un climax incerto, sospettoso, opportunamente ambiguo, con l’inizio ronfante dei bassi, il tintinnio della spinetta, l’apparizione nebulosa e incerta nei violini del bel tema principale, disteso e romantico, ostacolato da tremoli e sinistre dissonanze di archi e ottoni in pianissimo e quindi reso molto precario nel suo incedere.
La spinetta che apre “The visit”, seguita da ulteriori dissonanze di archi e dal disegno enigmaticamente triste dei celli chiamati a una presaga e ostile figura discendente, ci ricorda che in quegli anni Donaggio era immerso nel “De Palma-world”, da cui mutua l’alternanza tra passaggi sinfonici ed episodi solistici, oasi melodiche e repentini raggelamenti armonici: contrasti che si insinuano nella partitura anche in “Flashback”, in una continua frammentazione tra archi e legni che crea uno stato di ansietà permanente. Così come in “These woods could prove fatal” la riproposizione dell’inciso dei celli, ripreso poi dai violini, colora di ulteriore drammaticità la pagina; la ripartenza, più mossa e irrequieta, del tema conduttore intrecciata al secondo tema in “We’re all suspects now/Flashback 2” e “Family by adoption/Calgary in danger” sfocia, nel secondo, in un tremolo spaventato degli archi su cui guizzano rapidi, quasi beffardamente, i legni. Questo gioco di contrasti d’atmosfera sembra essere la chiave di volta della partitura, che si caratterizza anche per un utilizzo particolarmente acuto e allarmato dei Leitmotiv o di loro frammenti come in “A death in family/And then there were less”, dove l’ostinato di celli e bassi e la frase fatalistica degli archi fungono quasi da epicedio funebre. Uno schema che, su un registro timbrico più alto, pervade anche “The mystery solved”, arricchendosi di evoluzioni del flauto e inoltrandosi poi in modulazioni oscure, tonalmente incerte e intimamente irrisolte.
Il clima pare rasserenarsi negli end titles con il cantabile dispiegato nei violini che riassaporano in tutta la sua pienezza la melodia principale, insistendo però molto (con l’intervento di oboe, arpe e altri legni) sul colore intrinsecamente crepuscolare della partitura. La “Bonus suite of alternate cues” offre come suggerisce il titolo una lunga serie di soluzioni alternative a brani e passaggi già uditi, in alcune dei quali risulta accentuata la sapiente tecnica strumentale che Donaggio aveva messo al servizio del film: i flautandi dei violini, i tremoli impressionisti o carichi di tensione (vera “scary music”), il liquido risuonare dell’arpa, e più in generale l’utilizzo dei segmenti melodici come fattori di insinuazione psicologica e quindi di efficacissima suspense.
Ne risulta una conclusione che agli amanti dell’Ottava Arte non può che far piacere: se del film non rimane un grande ricordo, la riscoperta e riproposta dello score di Donaggio sono destinate a rimanere come documento di una partitura il cui mancato utilizzo si è di fatto tradotto nella possibilità di apprezzarne per intero tutte le qualità puramente e assolutamente musicali.


Titolo: Passion

Compositore: Pino Donaggio

Etichetta: Quartet Records, 2012

Numero dei brani: 12

Durata: 48′ 04”


Titolo: Prova d’innocenza (Ordeal by innocence)

Compositore: Pino Donaggio

Etichetta: Kritzerland, 1984

Numero dei brani: 10 + 1 bonus suite

Durata: 33′ 58”


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