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Soundtrack: "Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo" di Ernest Gold

19 settembre 2011 Soundtrack 2 Commenti
Roberto Pugliese, 15 Settembre 2011: * * * * *
In collaborazione con Colonne Sonore

Pellicola decisamente anomala nella filmografia di Stanley Kramer, Questo pazzo, pazzo, pazzo mondo si avvale di una colonna sonora che si appella ad ogni mezzo e linguaggio sinfonico e popolare, e ad ogni tecnica possibile per sottolineare un commedia surreale e scatenata…


Nella filmografia “radical”, civilmente impegnata e battagliera di Stanley Kramer spicca, piazzato esattamente tra due titoli diversamente e intensamente dedicati al tragico tema della Shoah e della guerra (Vincitori e vinti e La nave dei folli), un excursus che definire anomalo è un eufemismo: una commedia scatenata e surreale, che ha per spunto la ricerca del bottino di una rapina ma che si srotola in un caleidoscopio di situazioni pirotecnicamente farsesche, fra cammei illustri e gag desunte dal cinema comico muto, fino a costituire un precursore del filone che oggi chiameremmo “demenziale”.

Girato con una tecnica che risaliva agli anni ‘40, il Cinerama, ma che era stata abbandonata per i suoi costi eccessivi e lo scarso successo commerciale riportato, Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo rappresentò anche per il compositore di fiducia di Kramer, l’austriaco naturalizzato americano Ernest Gold, una grandissima sfida. Che il compositore affrontò con entusiasmo, scegliendo la sola strada possibile: un polistilismo scatenato, un appello a ogni mezzo e linguaggio, sinfonico e popolare, non disdegnando talora tecniche di mickeymousing (la musica che “mima” alla lettera gli eventi sullo schermo, come nei cartoon di Disney o di Chuck Jones per la Warner), e lavorando di cesello sulle infinite elaborazioni di due temi principali: una sorta di valzer “pazzo” martellato su un disegno fondante di due note e un controtema elegante e sornione, che del primo rappresenta una sorta di sviluppo, sempre in 3/4. Intorno a questa gigantesca impostazione variativa, Gold ha accumulato un materiale musicale immenso e frastagliato, eterodosso e cosmopolita, che la La-La Land ripropone in un sontuoso cofanetto doppio in tiratura limitata a 2000 copie, frutto di un poderoso lavoro di ricerca, ripristino e rimasterizzazione digitale firmato da Ray Faiola, prodotto da Ford A. Thaxton, e ben illustrato dalle note nel booklet dello studioso di musica per film Jeff Bond. In sostanza il primo CD offre l’integrale della partitura ricostruita attraverso i “cues” di Gold, con il compositore stesso sul podio della Los Angeles Philarmonic, mentre il secondo, con la Hollywood Studio Orchestra, è la ristampa stereo della versione utilizzata per il vecchio LP United Artists, con il reintegro delle due canzoni delle Shirelles (gruppo canoro femminile in voga negli USA negli anni ’60), “You satisfy my soul” e “Thirty-one flavors”, originariamente espunte.
Enormi, come ha spiegato Faiola, i problemi tecnici nel ricostruire uno score i cui trace erano miscelati a sequenze di dialogo, effetti, rumori, e quindi su canali diversi e con sbalzi di audio e di livello continui, tuttora avvertibili. Si è optato, alla fine, per ricombinare il materiale su due canali monoaurali “puri” piuttosto di avere due canali stereo con un segnale parziale, salvo i brani chiusi “a programma” come Ouverture, Entr’acte e Exit Music, che sono in full stereo. Data la condizione dei materiali di base, e malgrado l’ascolto risulti senz’altro imperfetto per i parametri contemporanei, è davvero un autentico miracolo quello compiuto dai tecnici dei leggendari Chelsea Rialto Studios.

Sul piano artistico, come si diceva, siamo di fronte a un polittico di stili e linguaggi inusuale per il compositore, e fondato su un’estrema frammentazione e una mobilità incessante, vertiginosa. Il tono complessivo è quello di una gaiezza livida, stravinskyana o prokofieviana: se l’Ouverture declama il titolo del film con un coro quasi parlato e voci recitanti (i fantasiosi testi sono di Mack David, l’autore della “Bibbidi-bobbidi-boo” per la Cenerentola disneyana e fratello maggiore di Hal David, il paroliere di Bacharach), i Main title, riprendendo il tema che diverrà ossessivo, virano verso una circensità grottesca e bandistica, intessuta di sberleffi degli ottoni e sibilanti figurazioni dei legni. Il secondo tema, molto “viennese”, che appare ben declinato negli archi a partire da “Smiler fades out”, è l’altra anima melodica dello score, la cui marcia in più è costituita dalla impressionante unitarietà stilistica che Gold riesce a imporre su andature, climi e singoli anfratti di questa commedia senza regole. Lo stesso secondo tema, in “Follow the leader”, si ritrova trasformato in marcia funebre e, nei pochi secondi di “Stealthy pike”, evocato in lontananza dalle trombe in sordina su un accompagnamento degli archi che cita incredibilmente l’inizio del terz’atto dell’“Aida” verdiana!

E’ un eclettismo funambolico ma funzionale, che all’ascolto si trasforma in una gallery spiazzante ed entusiasmante di stilemi. La suspence music di “Old Fitzgerald/Truck on down”, con i tremoli sospesi e sovrapposti degli archi, gli accordi violentissimi degli ottoni, l’assenza leitmotivica, il cenno bandistico in chiusura, sottolineano come si diceva prima la sostanza cartoonistica, quasi improvvisatoria di questa partitura, che è di fatto impossibile qui descrivere compiutamente e pedinare in tutti i suoi interstizi senza incorrere nel rischio di un’elencazione amorfa. Segnaliamone però alcuni picchi, perché costituiscono altrettanti esempi della metodologia di Gold nel dare veste musicale a un film che, di fatto, assomma in sé più generi decantati nella satira metatestuale: l’assolo di violino e cello di “Benny” che in pochi secondi sbocca in un disegno vertiginosamente virtuosistico degli archi e in un’enunciazione spezzata del motivo principale; le inquietantissime dissonanze di archi e ottoni in “Mired Meyer/Meter still Mired/Down there?” e le successive scale a salire e scendere di ottoni e archi, con le onnipresenti due note del tema conduttore ad affacciarsi continuamente; il blues nebbioso e insinuante di “Whole tone blues”; “Wheeling along” e brani a seguire, dove il secondo tema è triturato in un’orchestrazione rimskykorsakoviana dalle fasi rutilanti e incredibilmente coloristiche nell’alternanza dei contrasti dinamici (“The living End – End of Part I”).
Girata la boa con lo strepitoso Entr’acte, una pièce di virtuosismo orchestrale con epicentro nel secondo tema per archi ma dalla struttura sinfonica secca, brutalmente ironica, riecco lo stesso tema su staccato in pianissimo dei legni e tremolo acuto dei violini in “Fizzied Fuse” per finire con i “Three chords” morti e discendenti. Mandolini e stornellate ci attendono in “No more calls”, mentre “The plot thickens” (dall’andamento elgariano) e “Good old X-27” ci dicono molto anche della drammaturgia sonora goldiana, capace come poche altre di trasformare l’orchestra in un personaggio – o come in questo caso, in una folla di personaggi – in più.
L’assolo del cello in “Adios Santa Rosita”, l’attacco fulminante di “Unhappy landing” preso di peso da quello delle “Feste romane” di Respighi (!), le inesauribili invenzioni variative intorno ai leitmotiv, spesso resi fantasmatiche evocazioni (“Cab Ballet”, “The big W”), gli ostinati ritmici, l’ebbrezza citazionistica, i beffardi ritmi militareschi (“The Marcus March”, ennesima variazione su flauti e ottavini perforanti intorno al 2° tema), l’accorato fraseggiare degli archi (“Emmeline knows”, uno dei momenti più toccanti dello score), i cori siderali, il travolgente crescendo di “Turnabout” e brani a seguire, con richiami fra gli ottoni e una movimentazione tellurica negli archi e nelle percussioni, vanno a saldarsi in una cattedrale musicale dalla struttura inafferrabile e continuamente mutevole; sino al trionfo del primo, danzante e gioviale tema conduttore negli End Title e nella Exit Music, dove Gold dà fondo a tutte le risorse della propria orchestra, accentuando sino al parossismo la segmentazione della melodia e i cambi di registro timbrico.

Il confronto con i materiali del secondo CD (tematicamente e strutturalmente di fatto i medesimi, ma concepiti e “chiusi” per la realizzazione discografica dell’epoca) è ingeneroso nei confronti del primo, giacché la brillantezza squillante, il luccichìo dei legni e la presenza degli archi, il rilievo fisico degli ottoni (si ascoltino solo i tromboni in “Away we go”) la pienezza e la ripulitura dell’effetto stereofonico non possono essere paragonati con la splendida “imperfezione” dei cues originari. Ma ciò che conta è che l’insieme forma uno dei più straordinari, adrenalinici e ipercinetici concentrati di inventiva e di fantasia creativa, poliglotta e polisemica, che la musica hollywoodiana del secondo dopoguerra abbia mai creato.


Titolo: Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo (It’s a mad, mad, mad, mad world)

Compositore: Ernest Gold

Etichetta: La-La Land Records, 2011

Numero dei brani: 39 (37 di commento + 2 canzoni)

Durata: 112′ 08”


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Attualmente ci sono 2 commenti a questo articolo:

  1. Sergio ha detto:

    Grandissimo film! I migliori comici in circolazione hanno dato fondo alle loro energie per girare questa stupenda pellicola. Per me deve rientrare nei primi cinque film comici di tutti i tempi. Dopo 50 anni ( dico cinquanta anni!) sembra girato ai nostri giorni. La sceneggiatura e la regia di Stanley Kramer sono di primissima qualità e quando il film finisce ti dispiace. Da far vedere alle attuali generazioni che si rincretiniscono con i loro film demenziali carichi di effetti speciali di plastica.

  2. Alberto Cassani ha detto:

    Purtroppo non escludo che le nuove generazioni possano trovarlo per nulla divertente, ma è un gran film.

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