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Soundtrack: "Romeo & Juliet" di Abel Korzeniowski

16 giugno 2014 Soundtrack 1 Commento
Romeo & Juliet

Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore* * * ½

Capofila di una corrente neoromantica dai numerosi proseliti, il polacco Abel Korzeniowski è stato chiamato all’ultimo momento a realizzare la colonna sonora della versione di Romeo e Giulietta diretta da Carlo Carlei dopo che i produttori avevano rifiutato la partitura composta da James Horner…


Come molte opere di Shakespeare, anche Romeo e Giulietta è ormai un ipertesto: vi si rincorrono ed enumerano versioni cinematografiche, trasposizioni coreografiche, rivisitazioni letterarie, interpretazioni musicali: solo tra queste ultime, la tradizione classica allinea Bellini e Berlioz, Zandonai e Tchaikovsky, Prokofiev e Gounod. Se poi passiamo alle circa cinquanta versioni filmiche della tragedia di Verona, il parco-compositori si allarga a dismisura, e i modelli con cui confrontarsi si chiamano Nino Rota, Roman Vlad, Craig Armstrong, Leonard Bernstein, Herbert Stothart, Joe Delia, Stanley Clarke, Jack Trommer, Nick Glennie-Smith… Una tradizione frastagliata e diversificata, nella quale non è facile inserirsi con originalità.

Al polacco Abel Korzeniowski, capofila di una corrente neoromantica dai numerosi proseliti, il compito è toccato a tempo praticamente scaduto, dopo che la produzione del film diretto da Carlo Carlei aveva rigettato una partitura già scritta e registrata, a firma del premio Oscar James Horner (e che a questo punto auspichiamo di vedere pubblicata, mossi da legittima curiosità…). Forse per questa ragione la partitura di questa nuova versione della più celebre love story di tutti i tempi vibra di un minimalismo sentimentale delicato e sfuggente, che non può non richiamare alla memoria alcune soluzioni di Philip Glass o più ancora di Michael Nyman. Si ascolti il “Juliet’s dream”, una vacillante melodia del pianoforte su uno staccato compulsivo di archi leggeri che sembra timidamente affacciarsi all’orizzonte leitmotivico: un orizzonte che pare distendersi più compiutamente in “Forbidden love” lasciando gli archi a sciogliersi in un tema principale fluente e accorato, rinforzato da ottoni e percussione sempre però su un ritmo altalenante. Si nota subito l’orchestrazione lussureggiante (la Hollywood Studio Symphony Orchestra suona come un meraviglioso, partecipe strumento sotto la direzione del compositore) e il ruolo protagonistico, concertante del pianoforte solista di Randy Kerber, anche in “Queen Mab”, brano di trasparente impalpabilità e risonanze esoteriche, da cui si dipana una variazione del tema di “Juliet’s dream” e una successiva, toccante idea melodica.
Una voce sopranile, quella di Tamara Bevard, interviene vocalizzando in “The cheek of night”, che affida l’introduzione al violoncello solista di Andrew Shulman e sviluppa poi una melodia spezzata, di sapore quasi morriconiano: è un’andatura che scopriremo ricorrente in tutto lo score, dove il pianoforte ha il ruolo di propositore dei temi, e gli archi quello di contrappunto emotivo inizialmente distanziante e poi enfatizzante. “First kiss” sembra voler asseverare questa struttura nell’esposizione tenue del pianoforte e nella successiva ripresa a voce spiegata degli archi, mentre “Trooping with crows”, più mosso e scandito, ha quasi le sembianze di un esercizio di armonia, con terzine veloci degli archi e scalette del piano. “A thousand times good night” inizia col piano solo, reminiscente di “Queen Mab”, ma poi su un tremolo di violini delega al flauto e successivamente alla viola solista di Andrew Duckles l’enunciazione del tema accalorato di “Forbidden love”, che a questo punto prende la fisionomia di autentico love theme della partitura, arricchito ed espanso in tutta la propria cantabilità nella seconda parte del brano. Il pianoforte assume un ruolo decisamente e virtuosisticamente concertistico in “Come, gentle night”, ma è nell’impasto sonoro di “Wedding vows” che Korzeniowski cesella quell’atmosfera magica, quasi surreale che è un po’ la chiave di volta di tutto il suo lavoro; sul tremolo degli archi, il suono vitreo e siderale del glockenspiel sembra voler fermare il tempo, e l’intervento del soprano sul crescendo di archi e ottoni conferisce una solennità pre-tragica che sfocia in una serie di oscuri accordi dissonanti, presagio di sciagura.
Coro, moto perpetuo degli archi, inserimenti energici, perforanti della viola e sforzandi degli ottoni sul rintocco dei timpani creano in “Fortune’s fool” un’atmosfera di sinistra violenza, destinata a risaltare ancor di più in una partitura che per il resto si spinge raramente oltre il mezzoforte; e tuttavia la seconda parte del brano è un’elegia dolorosa per archi, anch’essa in qualche modo premonitrice. Di nuova energia motoria si carica “From ancient grudge”, con disegni agitati di piano e archi e sforzandi di ottoni, anche se va detto che in questi passaggi muscolari Korzeniowski rivela un certo disagio strutturale; l’apertura solare, perorante di “Death is my heir” riprende la parte conclusiva di “Queen Mab”, mentre “Tempt not a desperate man” fa risuonare il rintocco del glockenspiel su un ostinato di archi, per sovrastare poi il tutto con scultorei disegni dei corni a sormontare l’insieme, in una visione di luttuosa epicità.
I quasi dieci minuti complessivi di “The crypt” parte prima e seconda, eseguiti senza soluzione di continuità, costituiscono in un certo senso l’acme emotivo della partitura: la prima cosa che si rimarca è che qui il pianoforte è totalmente assente, quasi a significare un’esplicita sottrazione sentimentale dal contesto. La prima parte è un adagio meditativo per archi, che trascorre progressivamente dal registro acuto a quello grave e si risolve poi in una variazione dei violini sul tema d’amore, coinvolgendo un coro di sapore quasi mistico; si ode la voce del cello, triste e accasciata, nella seconda parte, prima che il resto degli archi si unisca in una funebre riproposta del tema d’amore, qui straziante e invaso da un dolore incoercibile e avvolgente.
“Eternal love” è un epilogo che richiama tutti gli elementi del lavoro, pianoforte, archi e solisti, soprano e coro, in una sorta di ricapitolazione finale che si conclude bruscamente, crudelmente sulla ripetizione del love theme. Una conclusione che si direbbe volutamente irrisolta ma che sigilla nel segno del destino una partitura antinomica, bipartita fra un romanticismo fluviale ed espansivo da un lato, e una struttura rigidamente, vigorosamente geometrica dall’altro: un connubio che dà come risultante un pathos nervoso, inquieto, drammatico, scarsamente consolatorio e portatore di un insistente, intossicante tormento interiore.


La copertina del CDTitolo: Romeo & Juliet

Compositore: Abel Korzeniowski

Etichetta: Sony Masterworks, 2013

Numero dei brani: 16

Durata: 50′ 22”


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Attualmente c'è 1 commento a questo articolo:

  1. CARLO CARLEI ha detto:

    PUR NON ESSENDO UNA RECENSIONE DI R&J INTESO COME FILM (BENSI’ DI UNA SUA COMPONENTE FONDAMENTALE COME LA COLONNA MUSICALE) IL SUO ARTICOLO E’ COMUNQUE LA DIMOSTRAZIONE CHE SE SI PRENDE SUL SERIO CIO’ CHE SI FA, CI SARA’ SEMPRE UNA PERSONA SENSIBILE E COMPETENTE CHE ESPRIMERA’ UN GIUDIZIO OBBIETTIVO SUI RISULTATI DI QUESTO COMPLESSISSIMO LAVORO. LA RINGRAZIO ANCHE A NOME DI ABEL, CHE IN REALTA’ ERA LA MIA PRIMA SCELTA E CHE A MIO PARERE E’ STATO POI FANTASTICO IN UNA SITUAZIONE DI EMERGENZA, ANCHE IN RAPPORTO AL POCHISSIMO TEMPO E AL BUDGET RISICATO CHE HA AVUTO A DISPOSIZIONE.
    CORDIALMENTE, CARLO CARLEI

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