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Soundtrack: "The Vatican Tapes" di Joseph Bishara

25 aprile 2016 Soundtrack 0 Commenti
The Vatican Tapes

Roberto Pugliese, in collaborazione con Colonne Sonore* * * ½

Con la colonna sonora di The Vatican Tapes, il 45enne Joseph Bishara conferma ancora una volta di saper creare scenografie e mondi sonori terrificanti utilizzando con spregiudicatezza tutte le risorse dell’avanguardia musicale, a partire dal ‘900 storico fino alla musica aleatoria di Cage o Boulez…


Nel vasto e variegato panorama dell’horror film music c’è un nome che negli ultimi anni spicca su tutti gli altri, ed è quello di Joseph Bishara. Il 45enne compositore, produttore e occasionalmente attore statunitense (di solito in parti di demone o creatura soprannaturale, complice il suo look decisamente inquietante) intrattiene infatti col genere un rapporto assolutamente esclusivo e totalizzante, e ciò nonostante la sua carriera nella musica per film sia iniziata nel ’98 con Joseph’s Gift di Philippe Mora, una rivisitazione in chiave moderna del dramma biblico di Giuseppe, figlio di Giacobbe. In realtà, il “dono di Joseph” si sarebbe ben presto dimostrato la straordinaria capacità di creare scenografie e mondi sonori terrificanti utilizzando con spregiudicatezza sconosciuta ai suoi colleghi specializzati tutte le risorse dell’avanguardia musicale, a partire da quelle del ‘900 storico (con un intransigente rifiuto della tonalità e il ricorso sistematico alla dodecafonia) per arrivare alle suggestioni della musica aleatoria di Cage o Boulez, passando attraverso uno sfruttamento intensivo e parallelo sia delle potenzialità orchestrali che del vasto parco di esperienze offerto dall’elettronica. Bishara è in altre parole, oggi, il compositore horror più radicalmente d’avanguardia esistente sulla piazza (in confronto, il Roque Baños di La casa sembra un rassicurante discepolo mozartiano), e la sua fedeltà al genere pare ribadire la vecchia equazione, risalente sin dagli anni 40 del secolo scorso, secondo la quale al cinema modernità e sperimentazioni musicali sono sinonimo di incubi e angosce inesprimibili. Il che, però, può anche essere letto specularmente come segnale della predisposizione che il genere horror, più di qualsiasi altro genere cinematografico, dimostra verso l’innovazione del linguaggio e dello stile, divenendo di fatto un immenso laboratorio di idee e di invenzioni nel quale la musica è spesso il fattore scatenante e principale.
Bishara è, di questo laboratorio, lo scienziato in assoluto più determinato e lungimirante, come hanno dimostrato le sue esplosive partiture per Dark Skies, L’evocazione, Annabelle e soprattutto per la trilogia di Insidious, nei primi due capitoli della quale (diretti da James Wan, regista di settore con cui Bishara vanta un rapporto preferenziale) il ruolo del musicista si è rivelato decisivo sin dalla fase delle riprese. Inutile ricordare come la discontinuità qualitativa di questa produzione dal punto di vista cinematografico, a volte notevole ma spesso di mera, ripetitiva e truce routine, non influisca minimamente sulla propulsione creativa del compositore, per il quale ogni titolo è fonte di nuove ricerche e assemblaggi timbrici, e ulteriore pilastro di un’architettura della paura in musica che non sembra conoscere limiti di concezione.

The Vatican tapes di Mark Neveldine, ad esempio, modestissima variante sul tema satanico ormai più che usurato, non è certo film che resterà iscritto negli annali del genere, ma per Bishara (subentrato a una prima scelta che si era appuntata su Mike Patton, il leader dei Faith No More) è un territorio in cui andare a nozze con il proprio audace lessico”borderline”. Un lessico che non contempla quasi mai l’utilizzo di qualcosa che somigli anche lontanamente a un “tema” (peraltro con le dovute eccezioni nel ciclo Insidious, dove a tratti si affacciano pagine di dolente, raccolta malinconia) ma che pare piuttosto muoversi in un magma sonoro alienante, indistinto e materico, dove gli strumenti procedono con tecniche improvvisatorie o perlomeno con ampia libertà dell’esecutore, e l’elettronica fa da collante generale ma senza prevaricare mai la manipolazione del suono acustico, che nella filosofia del compositore è evidentemente portatore di effetti assai più destabilizzanti.
Il brano d’apertura, ad esempio, che mutua il titolo dal film, introduce un pianoforte oscuro e casuale, caotico, sul quale gli archi incidono malignamente una nota insistita e sinistra, che resterà la cosa più simile a un “tema” dell’intero score; gli stessi archi e lo stesso disegno che ritroviamo, gementi e trascinati, nel brevissimo “Sleeping possessed” e, isolati solisticamente nonché accerchiati da tintinnii della percussione, in “Unconscious possession”. La tecnica appare consapevole della prassi strumentale cara a Penderecki, nume tutelare (anche se il maestro polacco non ne sarà presumibilmente molto orgoglioso) dell’horror music più avanzata: ossia gli archi più che suonare determinate note si limitano a rimanere entro fasce prestabilite di altezza, all’interno delle quali possono crearsi oscillazioni e arcate che producono un effetto irreale di disagio acustico. Mescolando dunque queste tecniche con l’esigenza di un vero e proprio sound design del terrore, Bishara crea una serie di frammenti sonori allucinati e letteralmente “insidiosi”, mai soltanto rumoristici ma sempre governati da un controllo tecnico-strutturale ferreo; così sono “Goat eye”, ad esempio, o “Critical”, che inizia tra scampanii e rintocchi ma si arresta poi in pianissimo su lunghe e incerte note tenute degli archi. Voci dell’altro mondo, sempre inseguite dal suono di violini amplificati e perfidi come serpenti velenosi, perdipiù inchiodati su note accentratrici e martellate, caratterizzano poi “Drowning innocents”, mentre il pianoforte torna da profondità abissali in “Bulb blinded”, a precedere un repentino soprassalto sonoro di puro effetto. In realtà però Bishara non ama ricorrere troppo ai cosiddetti “stinger”, le irruzioni sonore secche, esplosive e terroristiche che sono tipiche di queste partiture; queste di certo non mancano ma sono spesso annunciate e accompagnate da elaborazioni strumentali più sofisticate e complesse, come in “Hall follower”, e comunque lasciano il passo a raffinati esercizi di contrappunto atonale in puro stile da scuola di Darmstadt, come nell’intrico tra flauto, percussione ed elettronica di “Whispering tongues”, che ricorda non poco alcune pagine del primo Stockhausen.

Misterioso e regolare, un tamburo quasi tribale introduce in “At the Vatican” fasce di suoni da fantascienza, nei quali paiono echeggiare i lontani ricordi di un organo da chiesa, ma distorto e mortifero. Riappaiono qui, immobilizzati sul registro acuto, gli archi a sostenere un monotono disegno del cello, ma sono poi suoni completamente artificiali e “non umani” a predominare, evocando una tensione angosciosa che sembra basata più sull’attesa della catastrofe che sulla liberazione di una catarsi; in questo Bishara è maestro, capace com’è di suscitare e dare consistenza musicale alle più inconfessabili e nascoste pieghe/piaghe della psiche. “Egg vomit” (titolo che rivela abbastanza la natura del film…) è magistralmente scritto per gli archi, che si contorcono e strisciano rigorosamente divisi in una specie di contrappunto da incubo, proseguendo il loro funesto lavorìo in “Exorcism escalates”, di nuovo associati a voci da un aldilà al quale nessuno vorrebbe avere accesso. Sono invece nuovamente le percussioni, particolarmente scatenate, a farsi largo in “Possessed above”, quantunque sempre assecondate dagli archi. Si accennava sopra alle rare occasioni in cui il compositore newyorchese si lascia andare a qualche momento di contemplazione melodica, sia pure sui generis: se ne ravvisa un accenno iniziale in “Exorcism turning”, con un mesto lacerto tematico ricorrente, anche se l’assedio elettronico e l’affilata, malevola presenza delle percussioni, su cui i violini cesellano una gelida, mossa ragnatela di note, mantengono il clima sempre allarmante. Percussioni che riaffermano il proprio primato in “The stigmata”, ancora caratterizzato da agghiaccianti effetti vocali, per cederlo di nuovo a movimentati inserti degli archi in “Anti-resurrection”, una sorta di manifesto quasi teorico di caos sonoro programmato, suoni campionati e stilemi di pura avanguardia nel quale risulta veramente arduo separare le varie componenti costitutive, a parte forse il rapido e nitido inciso finale degli archi.

Preceduto dal breve episodio ululante e premonitore di “Tell them I am here”, il congedo di “Basement tapes” non concede alcuna gratificazione o scioglimento liberatori ma si limita a ribadire, ancora più cupo e deciso, il “simil-tema” della traccia d’apertura, per abbandonare poi l’ascoltatore in un’atmosfera di assoluta, ansiosa insicurezza. Tuttavia non senza una curiosità: quella di poter un giorno testare l’indubbio, grande e coraggioso talento di Joseph Bishara in occasioni filmiche dal respiro qualitativo un po’ più ampio.


La copertina del CD di The vatican TapesTitolo: The Vatican Tapes (Id.)

Compositore: Joseph Bishara

Etichetta: Lakeshore Records, 2015

Numero dei brani: 19

Durata: 44′ 09”


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