The Manchurian Candidate di Jonathan Demme

Uip, 12 Novembre 2004 – Vibrante
Durante la Guerra del Golfo l’eroismo del sergente Shaw salva la sua compagnia da un’imboscata. Dopo la guerra Shaw diventa un importante politico, ma il capitano della sua compagnia ha dei dubbi che nel golfo le cose siano andate davvero come ricorda…
Conservando poco più dell’idea di partenza, Jonathan Demme realizza con The Manchurian Candidate il suo secondo remake consecutivo dopo i discreti risultati commerciali ottenuti con The Truth About Charlie. In realtà, nel mezzo c’è stata l’uscita statunitense del bellissimo documentario The Agronomist, ma dato che i piccoli documentari sui personaggi politici di Haiti non pagano le bollette, eccolo tornare a lavorare con la Universal/Paramount in questa nuova versione di cinematografica del romanzo di Richard Condon.
Gli sceneggiatori Daniel Pyne e Dean Georgaris hanno fatto un notevole lavoro di adattamento del materiale originale, fortemente connotato dal clima della guerra fredda, e hanno trovato una chiave interpretativa particolarmente intrigante, anche se forse un po’ “facile”. Non è particolarmente nascosta, infatti, la critica al sistema politico statunitense e in particolare alla politica della famiglia Bush. Dall’aggressiva politica estera all’escalation della paura dei terroristi voluta dal Governo, passando per una gustosa presa in giro del sistema di conto dei voti che tanti danni ha fatto in quel della Florida. Ma in fondo, questo è tutt’altro che un tradimento del libro che Condon scrisse nel 1959 e che John Frankeheimer portò sullo schermo tre anni dopo con la produzione e l’interpretazione di Frank Sinatra.
Se la storia di Va’ e uccidi appare un fanta-thriller un po’ stereotipato ma abbastanza violento nei confronti del Nemico, quella di The Manchurian Candidate appare sempre un fanta-thriller abbastanza violento nei confronti del Nemico. L’unica differenza è che, mentre il Nemico originale era riconosciuto come tale (e spesso in quei termini) dalla vasta maggioranza degli statunitensi, questo “nuovo” è inteso solo da una parte. Perché? Perché, come dice Meryl Streep durante il film, questa nuova minaccia all’American Way of Life arriva dall’interno…
Al di là dell’aspetto politico, comunque, il film sfronda l’intreccio di alcuni sviluppi tutto sommato inutili ed elimina personaggi che sarebbero apparsi poco credibili al giorno d’oggi. Il risultato è di compattare i tempi e dare maggior peso ad alcuni personaggi secondari. Demme, dal canto suo, tiene alto il ritmo nonostante i molti discorsi che affollano la sceneggiatura e si avvale ottimamente della buona interpretazione di Denzel Washington e del resto del cast, così come del buon lavoro del suo direttore della fotografia abituale e del compositore Rachel Portman.
Forse non un thriller che potrà lasciare davvero il segno, ma decisamente un prodotto di ottima fattura, con un sottotesto che le pellicole di questo genere solitamente non hanno.
Titolo: The Manchurian Candidate (Id.)
Regia: Jonathan Demme
Sceneggiatura: Daniel Pyne, Dean Georgaris
Fotografia: Tak Fujimoto
Interpreti: Denzel Washington, Meryl Streep, Liev Schreiber, Kimberly Elise, Jon Voight, Ted Levine, Bruno Ganz, Miguel Ferrer, Jeffrey Wright, Roger Corman, Zeljko Ivanek, Tom Stechschulte, Pablo Schreiber, Anthony Mackie
Nazionalità: USA, 2004
Durata: 2h. 10′
Visto non da molto su qualche canale tv. Mi trovo concorde con l’Alberto in quanto ho trovato il film intrigante, ben diretto e privo delle inutili complicazioni che sovente aggravano pellicole sul generis.
Per essere riuscitissimo però il film avrebbe dovuto, secondo me, mantenere nella seconda parte le peculiarità della prima, ovvero un approccio piuttosto “realistico” sottolineato anche dalla buona prova di quasi tutti gli attori, Washington in testa; dico “quasi” poiché la Streep mi è sembrata francamente sopra le righe, andando a manifestare un personaggio piuttosto stereotipato e molto “jankee” cinematograficamente parlando.
La seconda parte, come già ho espresso, mi ha convinto un po’ meno e mi è sembrata svilupparsi con minor efficacia ed oggettività, un peccato che comunque non si rivela sufficiente a sminuire il valore complessivo della pellicola, che si rivela anche inquietante per taluni versi. Demme ancora una volta si palesa come regista capace. Da vedere secondo me.
Sì, la seconda parte diventa decisamente esagerata, ma non comunque a sufficienza per mandare all’aria il film. Da noi è passato inosservato, e forse anche negli Stati Uniti, ma è un peccato.