Tutti gli uomini del Re di Steven Zaillan

Sony, 22 Dicembre 2006 – Prevedibile
La parabola di Willie Stark, da idealista portavoce delle classi sociali più deboli a corrotto Governatore della Louisiana, risucchiando anche l’irreprensibile giornalista Jack Burden. Sempre con il ricordo di un amore giovanile mai superato…
Nonostante il forte legame narrativo che esiste tra i due personaggi co-protagonisti di Tutti gli uomini del re, ciò che contribuisce in maniera decisiva alla loro amalgama è proprio la radicale diversità che producono sulla storia e sul modo di dominare la scena. Stark/Penn concede enfasi al suo “zotico” e sanguigno personaggio articolando una gestualità spesso sopra le righe e un perenne sguardo alterato, ora dall’alcol, ora dalla sete di potere, ora dai richiami della carne. La fisicità misurata e statica di Burden/Law funziona da perfetto contraltare alla presenza quasi macchiettistica del Governatore, evidenziando e stemperando in egual misura i suoi deliri onnipotenti, il suo barcamenarsi tra corruzione ed ogni genere di degradazione morale.
Osservatore silenzioso, a tratti persino troppo remissivo, Burden si trova ad agire costantemente sul sottilissimo confine tra il bene e il male, indagato dalla voce interiore che in fuori campo dona un tocco di poesia. Di altra materia è fatta la sfrontatezza di Stark, i suoi movimenti scomposti, la facilità con cui cede il passo ai privilegi, non appena assaporato il gusto inebriante del potere, e la sorprendente velocità con cui cambia davanti alla macchina da presa, e agli occhi degli spettatori. Entrambi i personaggi passano in maniera (troppo) repentina da uno spiccato senso del rigore e dell’onestà ad una fase di abbrutimento crescente, e questo non può che creare disorientamento nel messaggio globale del film.
Manca in sostanza il passaggio d’atmosfera, la morbida sfumatura che avrebbe potuto realmente mostrarci il conflitto tra il bene e il male, senza ricorrere sempre alla semplicistica spiegazione dell’ambiguità intrinseca dell’animo umano, nozione astratta e fin troppo abusata. Nonostante la sceneggiatura appaia molto riuscita nella costruzione dei dialoghi e nella sovrapposizione delle dicotomie (Zaillian è già vincitore di un Oscar per quella di Schindler’s List), la sua principale colpa è di non aver saputo inserire un acuto di ribellione in grado di destrutturare il passaggio troppo netto dall’idealismo alla sua totale mancanza. La ribellione arriva solo nel finale, dall’unico personaggio che riesce a prestare fede ai propri principi, ma è del tutto acefala, non porta più a nulla di buono.
Il difetto più evidente di Tutti gli uomini del re risiede però nella regia (dello stesso Zaillian), che si preoccupa soltanto di costruire un film in grado di accontentare il grande pubblico, con una cura meticolosa dei costumi, delle ambientazioni, con una ricerca spasmodica dell’inquadratura ad effetto, con uno stile tipicamente “hollywoodiano” che, non è una novità, spesso dimentica l’importanza della spontaneità e dell’ironia dello sguardo.
Consigliata la visione in lingua originale (da dimenticare il forzato accento meridionale con cui stato doppiato Sean Penn).
Titolo: Tutti gli uomini del re (All the King’s Men)
Regia: Steven Zaillan
Sceneggiatura: Steven Zaillan
Fotografia: Pawel Edelman
Interpreti: Sean Penn, Jude Law, Anthony Hopkins, Kate Winslet, James Gandolfini, Mark Ruffalo, Patricia Clarkson, Kathy Baker, Jackie Earle Haley, Talia Balsam, Travis Champagne, Frederic Forrest, Paul Desmond, Kevin Dunn, Tom McCarthy
Nazionalità: USA, 2006
Durata: 2h. 05′
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