Ufficiale e Gentiluomo di Taylor Hackford

Cic, 14 Gennaio 1983 – Convincente
Scuola Ufficiali della Marina degli Stati Uniti. Dopo 4 delle 13 durissime settimane di addestramento, il cadetto Zack Mayo incontra Paula Pokrifki, operaia in una fabbrica della zona, e se ne innamora. Ma la loro relazione è tutt’altro che facile…
«Ci sono solo due cose che vengono da dove vieni tu: i tori e le checche, e io non vedo le corna…» Questo è uno dei più famosi insulti che il Sergente istruttore interpretato in Ufficiale e gentiluomo da Louis Gossett Jr rivolge ai suoi allievi, un insulto talmente tipico dei campi di addestramento militare da essere ripreso cinque anni dopo dal Kubrick di Full Metal Jacket. In effetti, si potrebbe azzardare un parallelo tra l’addestramento raccontato nella prima parte del film di Kubrick e quello qui narratoci da Taylor Hackford. In entrambe le pellicole, infatti, il Sergente istruttore tratta i suoi allievi come degli esseri informi di nessun valore e dalla personalità nulla; in entrambe le pellicole l’addestramento è probante dal punto di vista fisico quanto da quello psicologico e alla fine c’è sempre qualcuno che non ce la fa.
Il tono dei due film è però completamente diverso: Ufficiale e Gentiluomo è un melodramma sentimentale che esalta il potere morale della disciplina militare, proprio la stessa che nella sua pellicola Kubrick demoliva. In più, nel film di Hackford è evidente come sotto la scorza da bastardo – quasi una maschera che si deve indossare – il Sergente istruttore abbia una sorta di affetto paterno nei confronti degli allievi ufficiali: li torchia fin quasi a farli scoppiare perché deve riuscire a plasmarli completamente, non può permettersi di mandare avanti dei cadetti non perfettamente addestrati, ma non dimentica mai che quelli che ha di fronte sono solo dei ragazzi, spesso provenienti da situazioni difficili. Proprio come il protagonista.
La storia d’amore tra Mayo e Paula sembra arrivare da un Harmony d’altri tempi (d’altra parte lo sceneggiatore è quello di Laguna blu), e gli sviluppi dello script sono quanto di più prevedibile sia stato avvistato in un cinema negli ultimi trent’anni. Eppure, il solito Richard Gere che pare imbalsamato e una Debra Winger vigorosa ma capace di momenti di dolcezza riescono a scaldare i cuori e rendere il film efficace. Su tutto il cast, però, giganteggia – una tantum – Louis Gossett Jr, che portò a casa un meritatissimo premio Oscar.
Titolo: Ufficiale e gentiluomo (An Officer and a Gentleman)
Regia: Taylor Hackford
Sceneggiatura: Douglas Day Stewart
Fotografia: Donald Thorin
Interpreti: Richard Gere, Debra Winger, Louis Gossett Jr, David Keith, Lisa Blount, Robert Loggia, Lisa Eilbacher, Tony Plana, Harold Sylvester, David Caruso, Victor French, Grace Zabriskie, Tommy Petersen, Mara Scott-Wood, David Greenfield
Nazionalità: USA, 1982
Durata: 1h. 58′
Ricordo che il film ebbe un grande successo e come le compagne di classe aspettassero sospirando l’arrivo di qualche “ufficiale e gentiluomo” dalle fattezze perlomeno simili a quelle dell’allora ambitissimo Richard Gere, scene che si ripeterono qualche tempo dopo aventi come oggetto del desiderio il Cruise di “Top gun”. 🙂
La cosa piuttosto stupefacente di questo film, che nei presupposti non dovrebbe appunto elevarsi dall’infimo livello qualitativo degli “Harmony” (davvero terrificante il riferimento a Laguna blu) è che perdinci il film funziona davvero!
Oltre ai meriti esplicati in recensione, aggiungerei quello di inserire la figura della Winger in un ambito tutt’altro che dorato, quotidiano, quasi squallido, in contrasto con l’allora imperante “edonismo reaganiano” per il quale (al cinema) quasi tutti gli americani lavoravano con addosso un gessato od un tailleur.
Per ciò che concerne “Majonese” credo che Gere abbia svolto più che bene il ruolo affidatogli (non che richiedesse chissà quali doti, ma il film non avrebbe retto con la sola interpretazione del Gosset) ed alla fine ci si sente quasi colpevoli di aver goduto nelle scene in cui si prende sonore mazzate dal sergente, anzi direi che si propende senz’altro a simpatizzare senza più remore per il nostro divenuto oramai “ufficiale”.
Nonostante quindi la palese impostazione volta al melodramma come da recensione, concordo con il giudizio positivo, per quanto forse in parte edulcorato dal tempo passato: sembra quasi ieri ma sono passati trent’anni…
Esattamente trent’anni dall’uscita italiana…
Il lavoro proletario della Winger è vero che è inusuale in quel periodo di Hollywood, ma non è poi molto diverso da quello della protagonista di “Flashdance”…
Concordo con Albe, anche se lo script non lo trovai prevedibile ma ben congegnato e fruibilissimo (le drammatiche scene finali dell’amico poi mi hanno sorpreso, quasi un cambio di tono del film).
Per me giustamente un cult, sicuramente meglio di American Gigolò dell’anno precedente.
Rivisto e ricondivido le lodi in recensione ed il mio commento.
Scena finale sottolineata dalla bellissima canzone da Oscar trasmette ancora emozioni.